IL CINEMA DI GENERE DI UMBERTO LENZI 03 – PARTE 05

Umberto Lenzi e Tomas Milian – Parte 05

Il trucido e lo sbirro (1976) è ancora di Umberto Lenzi su sceneggiatura di Dardano Sacchetti, la fotografia è di Luigi Kuveiller e Nino Celeste, il montaggio di Eugenio Alabiso, le scenografie sono di Carlo Leva e le musiche di Bruno Canfora (ottime e indispensabili).

Interpreti: Tomas Milian (per la prima volta nella parte di Sergio Marazzi detto Monnezza), Claudio Cassinelli (il commissario Satti), Nicoletta Machiavelli (la donna del boss Brescianelli), Henry Silva (il boss Brescianelli), Claudio Undari, Biagio Pelligra, Giuseppe Castellano, Umberto Raho, Mario Erpichini, Dana Ghia, Tano Cimarosa, Susanna Melandri, Valentino Macchi e Tom Felleghi.

Il commissario Sarti (un ingessato Claudio Cassinelli) aiuta a evadere dal carcere di Rebibbia il ladro buono, ma volgare ai limiti del turpiloquio, che si fa chiamare Monnezza. Il commissario vuole essere aiutato a liberare una bambina rapita bisognosa di un trapianto di rene e vuole pure mettere fine alle imprese criminali del boss Brescianelli (Henry Silva). Per far questo si serve di Monnezza e di una banda di feroci criminali convertiti al servizio della legge. Il film è un vero poliziottesco, la mano di Sacchetti scrittore d’avventura si sente, però è una pellicola che si ricorda soprattutto perché segna la nascita del personaggio di Monnezza, maschera importante del nostro cinema popolare. Tomas Milian è ancora ingabbiato nei dialoghi di Lenzi e Sacchetti e non ha campo libero come invece gli capiterà nei successivi La banda del Gobbo (1977) e La banda del Trucido (1977). In questo film non si parla del Gobbo, ma vedremo nel successivo lavoro che Sergio Marazzi, detto Monnezza, è il suo fratello gemello buono. Monnezza, figlio di una battona e di un ladro, si esprime in un linguaggio scurrile e spontaneo da borgataro che la voce di Ferruccio Amendola rende a dovere. D’altro canto il carattere rissoso e violento del Monnezza è esaltato dalla mimica tutta cubana di un Tomas Milian in stato di grazia che si scaccola, tira su col naso e bestemmia senza sosta. Monnezza veste panni borgatari un po’ cenciosi, composti da una tuta blu sudicia e sdrucita con una papalina in testa che diventerà un simbolo irrinunciabile. Per dare a Cesare quel che è di Cesare dobbiamo dire che l’invenzione di Monnezza è merito dello sceneggiatore Dardano Sacchetti. Umberto Lenzi e Tomas Milian poi hanno perfezionato il personaggio studiandone il trucco e il modo di parlare in rima romanesca che ne fece una bomba comica originale.

Tomas Milian ha detto in un’intervista: “Dato che non c’era sostanza nel personaggio (e non è un bel complimento per Sacchetti nda), perché era tutto basato sull’effetto, io ho cercato di dargli una coscienza sociale, quella che ho assimilato frequentando tutti i sottoproletari in America. Più andavo avanti e più calcavo la mano nelle parolacce, ma sempre… musicalmente. Veniva giù il cinema e all’uscita mi dicevano: A Tomasse, anvedi che forza!”

L’inizio del film è spiazzante e pare quasi che Lenzi voglia porre l’accento sul fatto che il poliziottesco deriva dallo spaghetti-western. Infatti la scena su cui scorrono i titoli di testa è puro cinema nel cinema e scorrono le sequenze di un bel western all’italiana. Si capisce solo dopo che ci troviamo in galera e che i carcerati stanno guardando un film. La camera inquadra Monnezza che si presenta al pubblico con la prima battuta di una volgarità unica: “Reggeme er posto che vado a caga’”. Nelle sequenze successive c’è un’altra parte che ricorda lo spaghetti-western e rende omaggio al genere, infatti vediamo un gruppo di banditi che assalta un treno e pare proprio un’aggressione alla diligenza o a un convoglio ferroviario del Far West.

Il trucido e lo sbirro per stile e materia raccontata è ancora un poliziesco puro, la virata comica ci sarà nei successivi lavori quando Milian avrà campo libero. La struttura della pellicola è molto tradizionale e prevede un commissario dai metodi spicci e contro il regolamento (Cassinelli non è certo il massimo della recitazione) che viene a patti con spietati banditi pur di raggiungere il suo scopo. La trama poliziesca viene condita da un po’ di volgarità che è la connotazione originale della pellicola. Le battute di Milian sono divertenti e inconsuete. Ne citiamo alcune per dare un’idea del tenore di un poliziesco sui generis come questo. “Tu sei uno sbirro e io un trucido. Siamo una coppia der cazzo”, “C’è chi nasce co’ piedi storti e chi nasce co’ piedi piatti, che ce vo’ fa’?”, “Pe’ colpa de’ li preti e de’ Santippe vivemo solo de’ cambiali e pippe”, “Ma che so’… Fregoli?”, “Tu te impulsivisci” (invece che sei troppo impulsivo), per non parlare del finale con Monnezza che scappa sopra un tram e dice: “O tornavo in galera o me attaccavo ar tram. Me so’ attaccato ar tram!”.

Le scene violente comunque ci sono e fanno parte integrante del film. Per esempio si vede una banda di terroristi che ammazza un politico mentre i protagonisti pedinano la donna del boss Brescianelli. La scena non c’entra niente con la trama, ma forse Sacchetti l’ha voluta inserire per creare uno spaccato d’epoca e testimoniare una situazione reale. La sequenza del latte con Monnezza che uccide un bandito, pure se ha vinto la scommessa e ha scelto il bicchiere giusto, è un’altra parte piuttosto dura e gratuita. Le scene finali sono ancora molto crude e la figura del bandito chiamato il Cinico viene caratterizzata da un crescendo di violenza che lo porta a uccidere persone senza motivo, violentare donne e alla fine pure ad accoltellare il boss Brescianelli. Il Cinico viene ucciso da Monnezza in un sanguinoso epilogo e poi si finge ferito pure lui per scappare alla sorveglianza del commissario Sarti. Nel film ricordiamo anche alcuni spettacolari inseguimenti tra auto tipici del poliziottesco e sono girati piuttosto bene da un esperto in materia come Lenzi. Da citare infine la bella colonna sonora di Bruno Canfora, apprezzato direttore d’orchestra di trasmissioni televisive popolari come “Canzonissima” e altri show del  sabato sera. Merita una menzione anche la stupenda “Ma come hai fatto” di Ornella Vanoni che si può ascoltare in una delle prime scene del film e a livello di musica trash anche la sigla finale “La ballata del trucido e lo sbirro” di Giorgio Cascio.

Umberto Lenzi mi ha confidato: “Il trucido e lo sbirro venne girato col titolo della sceneggiatura di Sacchetti, Carta bianca per un poliziotto, che a mio parere era moscio. Durante la postproduzione ebbi un’illuminazione e proposi al produttore Ugo Tucci il titolo che ha contribuito al successo del film”.

(3/5 – continua)

Gordiano Lupi