IL CINEMA DI GENERE DI UMBERTO LENZI 04 – PARTE 04

Il cinema cannibalico di Umberto Lenzi – Parte 04

Nel 1981 Lenzi ci riprova con Cannibal Ferox, altro film a ispirazione di Cannibal Holocaust ma che riesce ad andare oltre per quel che concerne la violenza verso gli animali. Tra l’altro pare che le scene siano tutte vere e ce lo conferma un’intervista all’attore Giovanni Lombardo Radice che abbiamo reperito sulla rete. Assistiamo alla esecuzione di un maialino, scena motivata dalla volontà di seguire Cannibal Holocaust sino in fondo, che Lombardo Radice si rifiutò di girare. Lenzi cercò di convincerlo dicendogli che De Niro lo avrebbe fatto. Radice rispose: “Noi stiamo facendo Cannibal Ferox, per cui non venirmi a parlare di De Niro. Non ammazzerò nessun maialino e ringrazia il cielo che siamo in mezzo alla giungla, se no ti denunciavo subito alla protezione animali”. Fu il tecnico degli effetti speciali a interpretare la scena. Altre scene disturbanti sono quelle che vedono una testuggine squartata con cura e poi mangiata, un formichiere dato in pasto a un’anaconda, una farfalla divorata da un indigeno e una pantera che fa fuori una scimmia.

La distribuzione del film venne vietata in ben trentadue paesi proprio a causa dell’eccesso di esibizione della violenza e questa cosa ne ha fatto un cult underground. In Italia c’è solo un divieto ai minori di anni quattordici per un film girato con poche lire (350 milioni) e facendo grandi economie su tutto. Il cast comprende: Giovanni Lombardo Radice (si fa chiamare John Morghen), Walter Lucchini (sotto lo pseudonimo di Walter Llloyd), Lorraine De Selle, Zora Ulla Keslerowa (detta Kerowa), Danilo Mattei (sotto lo pseudonimo di Bryan Redford), Venantino Venantini e l’immancabile Robert Kerman, ormai un simbolo dei cannibal movies. Lenzi scrive il film ed è ancora una volta regista e sceneggiatore. La fotografia è di Giovanni Bergamini, il montaggio di Enzo Meniconi, mentre le musiche intense e ossessive sono di Budy Maglione e Roberto Donati. Produce Giovanni Masini per Dania Film.

La storia non è il massimo dell’originalità. C’è la solita spedizione in Amazzonia e questa volta la capeggia una laureanda in antropologia (Lorraine De Selle nei panni di Gloria) che vuole studiare i popoli indigeni per dimostrare che il cannibalismo non esiste. Da notare l’ennesimo errore di Marco Giusti su “Stracult” quando afferma che la protagonista della pellicola è Zora Kerowa, nella parte di un’antropologa. Non è vero. La Kerowa impersona Patty, l’amica disinibita di Rudy (Danilo Mattei), il fratello di Gloria, che completa il terzetto di esploratori. Da notare che vengono alternate le parti che si svolgono a New York e che mostrano le indagini del tenente di polizia (un poco utilizzato Robert Kerman) con quelle girate nella foresta amazzonica e per la precisione in Colombia, nei pressi di Paraguayá. La fotografia è una delle cose migliori del film, soprattutto quando mostra il contrasto tra le due diverse civiltà con lo stacco netto dalla Baia di Hudson alla foce del fiume amazzonico. La location tropicale è indovinata e quando la spedizione si avventura nella foresta si entra nel vivo della pellicola con le immagini più forti. La jeep si impantana nel fango e i tre ragazzi incontrano un selvaggio che si ciba di vermi in modo ributtante. Un anaconda divora un formichiere al termine di una sequenza selvaggia che vede il gigantesco serpente soffocare la vittima indifesa. Durante il viaggio la spedizione incontra due individui: Mike (Lombardo Radice) e Joe (Walter Lucchini), che sembrano in fuga dai cannibali, ma in realtà sono due cercatori di smeraldi e spacciatori di droga. I due raccontano una storia inventata dove sembrano le vittime ma in realtà sono i carnefici. Questa parte del film ci mostra anche alcune scene di vita della giungla che sembrano tratte da un mondo movie come una pantera che sbrana una scimmia. Il terzetto giunge al villaggio indigeno che pare distrutto e popolato solo da vecchi spaventati, mentre al palo della tortura si nota un cadavere in decomposizione. Gloria cade in una trappola insieme a un maialino selvatico e quando Mike la libera assistiamo alla scena cruenta dello squartamento del porcellino che serve a far capire il sadismo dell’uomo. Un’altra sequenza di vita della foresta amazzonica ci mostra un’iguana che ammazza un serpente e se lo divora. Mike e Patty si piacciono e c’è una breve sequenza erotica soltanto intuita tra Lombardo Radice e Zora Kerowa. Il piatto forte del rapporto però sarebbe una ragazzina india che Mike ha deciso di violentare ed è per quel motivo che si reca al fiume. Patty impugna un coltello ma non ce la fa a far del male alla ragazza ed è così che Mike la fredda con due colpi di pistola. Patty fa scappare un indio che assiste impotente al delitto mentre Rudy ferma in tempo Mike. La malattia di Joe obbliga i cinque uomini a fermarsi al villaggio e il regista può mostrare una testuggine squartata e cucinata alla fiamma dagli indigeni. A un certo punto, in fin di vita per le ferite riportate, Joe racconta la terribile verità: gli indigeni, primitivi e ingenui ma non certo cannibali, sono stati massacrati da Mike che non è soltanto un criminale ma anche un folle tossicomane. Un indio chiamato Soares (detto il portoghese) è stato legato al palo, torturato, privato di un occhio con un coltello (scena gore ad alto effetto) e infine evirato con un colpo di machete. Mike per sapere dove nascondeva gli smeraldi ha ucciso e squartato alcuni indios davanti ai suoi occhi. I giovani sono fuggiti dal villaggio e Mike ha ucciso l’indio al temine di una notte di agonia, per scappare con un ostaggio. In quel momento è avvenuto l’incontro con il terzetto di esploratori.

Il regista è molto bravo a staccare tra Amazzonia selvaggia e New York per farci seguire le gesta di Robert Kerman che scopre dove si nasconde il pregiudicato Mike. In Amazzonia non ci sono cannibali, ma è il male subito che provoca la feroce reazione degli indigeni quando tornano al campo. Una papaia marcia piantata davanti alla capanna dove dormono i bianchi è il segno della vendetta dei giovani del villaggio. Prima di tutto squartano il morto e si cibano delle sue interiora, poi catturano gli altri, legano al palo Mike e lo torturano con ferocia. Rudy, Patty e Gloria vengono chiusi in una gabbia di bambù e assistono alla scena cruda e ben girata della evirazione di Mike. Il taglio netto del pene si vede in modo distinto e il successivo pasto dei testicoli conclude l’orrore, accompagnato da una colonna sonora intensa e ossessiva come un lamento funebre. Mike non muore perché gli indigeni cicatrizzano subito al ferita per farlo soffrire ancora. La fuga di Rudy porta solo alla sua morte perché prima viene addentato dai pirañas e quindi ucciso da una freccia indigena lanciata da una cerbottana. Mike viene messo in una fossa, le due donne familiarizzano in un’altra prigione e per sentirsi vive si mettono a cantare. “Noi siamo i responsabili della nuova ferocia. La violenza porta sempre violenza” afferma Lorraine De Selle. Altre scene portano in primo piano alcune prelibatezze come il cuore di Rudy dato in pasto a Patty e Gloria (ma non lo mangiano) e un coccodrillo squartato con gli indigeni che si cibano delle sue interiora. Mark scappa e lascia le due donne nella fossa, ma viene ripreso dai selvaggi che, in un crescendo di effetti gore, per prima cosa gli amputano la mano destra. A questo punto assistiamo alla scena clou del film, quella per cui è giustamente famoso. Zora Kerowa viene appesa per i seni dopo che i selvaggi le hanno infilzato le mammelle con due ganci. Il sangue scorre in abbondanza e la scena è molto credibile per quanto gli effetti speciali sono ben realizzati. La De Selle prega che l’amica muoia prima possibile e intanto gli indigeni fanno fuori Mike. La testa dell’uomo viene inserita in un foro tra due tavole e con un colpo di machete gli spazzano via la calotta cranica per poi cibarsi del suo cervello. Terribile e ben realizzato. Un indio aiuta Gloria a fuggire per ringraziarla di quando Patty gli salvò la vita dal folle Mike. L’antropologa rimane sola nella giungla perché l’indigeno è ucciso da una trappola e alla fine viene trovata da due cacciatori di frodo che sentono i suoi lamenti. Si salva soltanto lei, ma rimane scioccata dalla traumatica esperienza e non racconta a nessuno la triste verità, ma dice che i suoi compagni sono morti quando la canoa si è rovesciata. Mesi dopo, a New York, Gloria si laurea a pieni voti con una tesi che dimostra che i cannibali non esistono. Il mito del cannibal ferox è solo un’invenzione dei conquistadores bianchi.

Lenzi ha detto che a Zora Kerowa è servito molto coraggio per interpretare la scena nella quale finisce infilzata sui ganci. La Kerowa è molto credibile e si propone come vittima sacrificale esemplare per il cinema di genere italiano che la utilizzerà spesso in situazioni simili. Ricordiamo soltanto La vera storia della monaca di Monza, dove viene flagellata e murata viva, e Lo squartatore di New York, dove muore con una bottiglia infilzata nella pancia.

Il film è superiore come qualità tecnica di scenari e fotografia al precedente Mangiati vivi! e soprattutto fa a meno degli spezzoni prelevati da altre pellicole. Ma siamo sempre nel campo dell’imitazione e dello sfruttamento di un genere che ormai aveva raggiunto l’apice con Cannibal Holocaust. Gli effetti speciali di Giannetto De Rossi e Giuseppe Ferranti sono da ricordare: un corpo squartato e i cannibali che ne mangiano le interiora, una donna appesa per i seni con dei ganci acuminati, un cranio spaccato con un colpo di machete, piatti a base di cervello umano fresco, evirazioni con successivi pasti a base di testicoli, torture efferate, cuori sventrati e serviti per cena, pirañas che si mangiano uomini… Il film però risente dei limiti recitativi di alcuni attori e di una trama già sentita e costruita a imitazione del precedente lavoro di Deodato. Umberto Lenzi dà il meglio di sé nel cinema avventuroso, nell’horror puro e nel poliziottesco, piuttosto che in questo genere di pellicole.

Il film ha qualche pretesa intellettuale e di denuncia sociale. La storia parte dalla tesi che il cannibalismo sarebbe solo una scusa inventata dai conquistadores bianchi per giustificare atti di violenza gratuiti. Un assunto molto interessante, ma il problema è che  a dirlo troviamo una Lorraine De Selle così poco credibile che pare recitare una lezioncina mandata a memoria. Poi c’è la denuncia di stampo ecologico. La contrapposizione tra civiltà occidentale e mondo inesplorato è un discorso che troviamo in tutto il cinema cannibalico. Nel film di Lenzi, il cannibale reagisce con violenza solo per reazione alle atrocità degli invasori ed è la natura stessa che pare ribellarsi ai malvagi che vengono dal mondo civilizzato. Infatti la spedizione incontra sul suo cammino ogni sorta di pericolo che sbarra  la strada all’invasione di un territorio incontaminato. Troviamo di tutto: ragni velenosi, serpenti, coccodrilli, sanguisughe, cannibali….

Cannibal Ferox è un film girato a imitazione di Cannibal Holocaust, però ha una sua originalità e una sua importanza, soprattutto per merito di alcune scene splatter, delizia degli amanti del genere. Molte sequenze sembrano uscite da un film di Herschell Gordon Lewis e Lenzi pare aver appreso a dovere la lezione di un maestro del gore. Poi ci sono anche aspetti di sexploitation nella sequenza che vede un tentativo di rapporto sessuale tra i due amanti diabolici (Mark e Pat) con una ragazzina india. Lei si ribella, tenta di fuggire e Mark la fredda con un colpo di pistola.

Resta solo da dire che per Cammarota (opera citata, pag. 287) Cannibal Ferox sarebbe una riedizione di Mangiati vivi! con un nuovo titolo più affine a quello di Deodato per sfruttare sino in fondo il successo commerciale (sic!). L’affermazione si commenta da sola. Certi critici prima di parlare dei film che non amano per principio dovrebbero almeno vederli e documentarsi.

(4/4 – continua)

Gordiano Lupi