IL CINEMA DI GENERE DI UMBERTO LENZI 04 – PARTE 05

Il cinema cannibalico di Umberto Lenzi – Parte 05

Nei cannibal movies troviamo due tipi di pellicole: i film a soggetto che utilizzano riprese documentaristiche vere per dare alla storia maggior credibilità, e i film documentaristici puri che inseriscono riprese finte per dare più orrore alle scene. Il risultato è in entrambi i casi lo stesso: dare un’immagine raccapricciante della società contemporanea dipinta con tinte sadiche e scellerate in quella che molti critici hanno chiamato un’apologia del selvaggio.

Per completezza di trattazione citiamo alcune pellicole successive che rientrano nel genere dei cannibal movies ma che non sono state così importanti da lasciare il segno.

Savana violenza carnale (1979) di Roberto Bianchi Montero è un film che dei cannibal movies ha soltanto l’ambientazione (in parte è girato nelle foreste di Bogotà) ma che in realtà è un puro film d’avventura. La storia si sviluppa attorno al rapimento e la violenza carnale ai danni di una giovane donna e un bandito che continua a tormentarla anche dopo che si è sposata con un proprietario terriero. Ci sono alcune scene efferate come una mano mozzata dopo un morso di serpente e alcune uccisioni gratuite e sconvolgenti. Resta più un film di violenza, uno slasher, che un cannibal movie. Oltre tutto la recitazione e la storia sono a livelli di totale insufficienza.

Guayana: Cult of Damned (1979) di René Cardona Jr. è un pessimo film americano che illustra il massacro della Guayana e ci riguarda poco, così come solo poche cose legano al filone cannibalico italiano Dove sognano le formiche verdi, un buon lavoro di Werner Herzog.

Buio Omega (1979) di Joe D’Amato mette in scena un originale cannibale schizofrenico, forse solo in parte debitore di qualche slasher movies americano. La storia ci presenta un giovane ricco reso folle dalla morte della fidanzata e la sua diabolica governante, che lo asseconda in ogni impresa nella speranza di sposarlo ed ereditare la sua fortuna. Il ragazzo imbalsama la fidanzata e ne mangia il cuore per tenerla sempre con sé. Questo è l’unico atto di cannibalismo di tutto il film. Da allora in poi il folle rapisce le donne, le violenta sul letto accanto al cadavere della fidanzata e le uccide. La sorella della ragazza uccisa risolve tutto in un sanguinario finale. Qui c’è di tutto, secondo lo stile D’Amato che ha fatto sempre del gusto per l’eccesso la ricetta del suo cinema. Necrofilia, cannibalismo, schizofrenia, feticismo sadico. Un blood and gore più che un cannibal movie, o almeno una cosa che sta a metà strada.

Apocalypse domani (1980) di Antonio Margheriti (che si firma Anthony M. Dawson) presenta invece una variante metropolitana del tema cannibale. Alcuni reduci dal Vietnam si trasformano in famelici zombies vampireschi affamati di carne umana. Un virus (altro titolo del film è infatti Virus) che hanno contratto in guerra si propaga e miete vittime. Un film che è piaciuto più negli Stati Uniti che in Italia.

Antropophagus (1980) di Joe D’Amato (ormai sappiamo che è Aristide Massaccesi) è un film molto splatter che fornisce un’altra variazione sul tema. Un uomo durante un naufragio si è dovuto cibare dei corpi della moglie e del figlio per sopravvivere. Tutto questo lo fa impazzire e l’uomo diventa un mostro schiavo del cannibalismo. Quando una comitiva di turisti sbarca nell’isola l’attacca e divora alcune persone. Alla fine viene catturato e rinchiuso in fondo a un pozzo, dove finisce per mangiare se stesso strappandosi le viscere a morsi. D’Amato non mette in piedi la solita scopiazzatura con gli uomini bianchi che vanno nella giungla e trovano i cannibali. Il film è originale ed è costruito attorno a una storia piacevole ed efferata al punto giusto. Certo che bisogna essere amanti del genere e sapere quel che si va a vedere quando si comincia a guardare un film di D’Amato. Qui il disgusto è messo in mostra al massimo grado: il cannibale strappa il feto a una donna (una giovanissima Serena Grandi) e se lo divora, poi c’è il finale cult con il mostro che si mangia le viscere quasi fossero un piatto di spaghetti. Per finire con Joe D’Amato citiamo anche Porno Holocaust (1980) che è un esempio di contaminazione di più generi (hard, horror e cannibal movie). Anche qui troviamo la figura di un cannibale su di un isola deserta, ma è una specie di mostruoso zombie che uccide le donne sfondandole con un membro gigantesco e poi se le divora. Il titolo ricorda Cannibal Holocaust per motivi di cassetta ma in realtà si tratta di un lavoro che ha una sua precisa identità.

Rio Savage El cannibal (1980) è un film spagnolo diretto da Jesus Franco. In un paese dell’America Latina l’attrice Lara Crawford è rapita da una banda di criminali che si rifugiano in un’isola da dove chiedono il riscatto. Qui c’è una tribù che venera una creatura antropofaga che si scatena contro i banditi e li divora. Il regista Peter Weston, giunto con i soldi del riscatto, uccide il mostro, libera Laura e fugge insieme a lei. Il film si fa ricordare soprattutto per le molte scene di violenza sessuale, per le torture e per l’antropofagia esibita.

Citiamo pure Primitiv (1980) come mito del trash. Il film è una scadente produzione giapponese realizzata da Sam Gardner e si limita a copiare Cannibal Holocaust senza averne la stessa geniale originalità. Segnaliamo: serpenti palesemente finti, uccisioni poco realistiche, sangue incredibilmente rosso, cannibali che sembrano scimmioni, intere scene girate in studio invece che nella giungla. E poi non c’è tensione, manca la storia e la recitazione è a livelli scolastici.

Terror Cannibal (1984), noto anche come La Dea cannibale, è attribuito a Jesus Franco e Franco Prosperi ma pare che sia di Julio Perez Tabernero (o di tutti e tre, resta un mistero). Coproduzione italo-spagnola con Al Cliver (Pier Luigi Conti) e la bella Sabrina Siani nella parte della bambina rapita che diventa regina dei cannibali. Vediamo la trama. Un gruppo di turisti in vacanza si avventura in una giungla equatoriale e si imbatte nei cannibali. La storia si ripete, qui l’unico accenno di originalità sta nella motivazione vacanziera. Inevitabile il massacro. Viene rispettata soltanto una bambina che i cannibali portano via e allevano tra di loro. Il padre, sebbene monco di una mano, riesce a fuggire. Passano gli anni, la bambina cresce e diventa la regina dei cannibali. Dieci anni dopo il padre torna sull’isola, sconfigge i cannibali e la porta via con sé. Da citare come effetto trash non da poco la scena in cui gli indigeni ballano il tuca – tuca.

Anche Il cacciatore di uomini (1984) è di Jesus Franco ed è un film spagnolo, però ha per protagonista Al Cliver (Pier Luigi Conti). Qui c’è un altra cosa molto trash: il cannibale stupratore con gli occhi a palla. La comicità è soltanto involontaria, la storia è davvero scarsa e si salva soltanto per l’ottima resa cinematografica e per la bella colonna sonora. Jesus Franco è un regista che ha tanto mestiere.

Nudo e selvaggio (1984) di Michele Massimo Tarantini è un cannibal movie avventuroso e molto splatter che si ricorda soprattutto per la scena del cuore strappato e divorato.

Schiave bianche – Violenza in Amazzonia (1984) di Mario Gariazzo (Roy Garrett), pur essendo la solita scopiazzatura di altri film più importanti, ha qualcosa di nuovo da dire. Gariazzo non è un regista eccelso ma in questo lavoro raggiunge livelli di sufficienza. Il film si apre con una scena ambientata in un’aula di tribunale, dove è in corso un processo per duplice omicidio e l’imputato è Catherine Miles (Elvire Audray). Il processo si alterna ai ricordi della protagonista. Catherine, subito dopo la licenza liceale, è andata in Brasile dai ricchi genitori che mandano avanti con l’aiuto degli zii un’importante piantagione. La famiglia riunita festeggia il compleanno di Catherine  e decidono di partire per una gita sul fiume all’interno della foresta amazzonica. Purtroppo subiscono l’assalto dei Guanijrà e pare che siano proprio loro a uccidere i genitori di Catherine con terribili frecce al curaro. Subito dopo tagliano le teste ai malcapitati e se le portano via per esporle al villaggio a mo’ di trofei. La ragazza viene salvata dall’indigeno Umukai che le succhia il veleno da una ferita mortale, quindi viene rapita e condotta al villaggio. Per prima cosa viene assegnata a un uomo e sverginata quasi fosse una festa. Catherine apprende che i Guanijrà tolgono la verginità alle loro donne a soli quattro anni durante un rituale prestabilito. Poi instaura un rapporto di amore-odio con Umukai che in un primo tempo crede l’assassino dei genitori. È lo stesso Umukai a confessarle la terribile verità: sono stati gli zii a uccidere suo padre e sua madre. La ragazza studia un diabolico piano di vendetta e si fa condurre alla piantagione dove compie massacra gli zii con frecce al curaro e colpi di machete. A questo punto Catherine vorrebbe tornare nella giungla e vivere per sempre con Umukai, ma lui è costretto a rifiutarla perché secondo le leggi della tribù una donna non può commettere omicidi. Non solo: lascia che la canoa si capovolga e muore nel fiume perché sa che non può più averla. Catherine torna nel mondo civile, è processata e condannata a otto anni di manicomio criminale perché le viene riconosciuta la infermità di mente. Sono da ricordare le sequenze finali con Catherine e suo figlio in un parco di Londra. Il bambino chiama la mamma e le fa vedere che la sua barchetta giocattolo si è capovolta nell’acqua. Il pensiero di Catherine subito corre a Umukai che è morto per amore. Il finale è da dramma sentimentale più che da cannibal movie. Tra gli attori è molto brava la bella protagonista francese Elvire Audray. L’amante delle scene sanguinarie (decapitazioni, frecce negli occhi, uccisioni rituali) può trovare molti motivi di interesse in questo lavoro che tutto sommato è da salvare.  Direi che questo è l’ultimo film italiano di una certa importanza per quel che riguarda il cannibal movie. Dopo il 1985 il cinema italiano di exploitation non ha prodotto niente o quasi.  Negli anni Ottanta c’è una ventata di moralizzazione che limita molto gli autori di exploitation. La dipendenza dai modelli Statunitensi (prima reaganiani e oggi bushiani) impone l’abbandono dei generi pericolosi e contro corrente. Il genere cannibalico si spenge, rantola e poi muore, però ha una fine gloriosa prima con Schiave bianche – violenza in Amazzonia e poi con Inferno in diretta di Ruggero Deodato.

Al giorno d’oggi resta solo Bruno Mattei che ha il coraggio di riesumare il genere con Nella terra dei cannibali (2003) e Mondo cannibale (2003), due pessime pellicole uscite solo per il mercato DVD. Si tratta di due lavori di serie Z che si ispirano al mitico Cannibal Holocaust e che rendono omaggio alla pellicola simbolo del genere.

Vediamo adesso di citare qualche pellicola che appartiene al filone dei documentari puri, quelli sulla scia dei mondo movies.

Le facce della morte (1981) di Conan Le Cilaire (pseudonimo collettivo che comprende di sicuro Mario Morra) è una rassegna di orrori vari: esecuzioni di condannati a morte, dissezioni di cadaveri in obitorio, macelli comunali, disastri…

Le facce della morte 2 (1982) sempre di Le Cilaire cavalca il successo del precedente ed è ancora più allucinante nel mostrare tutti i possibili modi di morire corredati da un fastidioso commento fuori campo. Africa dolce e selvaggia (1982) di Angelo e Alfredo Castiglioni si pone sulla scia di Ultime grida dalla Savana e dei mondo movies. Molto sensazionalismo e scene di selvaggio naturalismo. Cannibali domani (1983) di Giuseppe Scotese è forse il film documentario meno violento e professionale. Il regista si sforza di fare un lavoro di denuncia e di commossa partecipazione. Dolce e selvaggio (1983) di Mario Morra e Antonio Climati (gli stessi autori di Ultime grida dalla Savana) è un film datato che descrive la violenza tra animali e la caccia tra uomo e animale. Dimensione violenza (1984) di Mario Morra è un documentario internazionale che mette in mostra esecuzioni sulla sedia elettrica, taglio delle mani a ladri arabi, cuccioli di foca abbattuti e molte altre delicatezze. Nudo e crudele (1984) di Adalberto Albertini (Albert Thomas) ricerca orrori di ogni genere e ci mostra gli uomini proboscide, gli ultimi cannibali, gli alligatori antropofagi e un transessuale operato. Love duro e violento (1985) di Claudio Racca ci mostra frattaglie varie, un ripugnante cambio di sesso, la macellazione dei maiali e un inserto snuff dove una ragazza viene scuoiata dal vero. Mondo senza veli (1985) di Adalberto Albertini (Albert Thomas) è solo un contenitore di cose macabre e bizzarre che ne fanno una chicca per gli amanti delle curiosità da baraccone. Mondo cane oggi – L’orrore continua (1985) di Paolo Bianchini (Max Steel) rimanda al Mondo cane di Jacopetti e lo fa rimpiangere. Ci sono storpiamenti di bambini e altre pratiche ripugnanti. Mondo cane 2000 – L’incredibile (1988) di Gabriele Crisanti. Si esagera ancora di più: vivisezione, bambine prostituite, droga pesante, omosessualità, borsa nera, organi umani da trapianto, pornografia, corpi lacerati e distrutti e altre cose di questo genere.

Per completare in modo esauriente la panoramica generale sul cinema cannibalico in Italia dobbiamo accennare anche al sottogenere horror degli zombies che ha alcune tematiche comuni.

Il filone zombie esiste sin dalle origine del cinema horror (Ho camminato con uno zombie, 1943 di Jacques Tourneur) ma è stato riportato in auge dai film di Romero (La notte dei morti viventi, 1968 e Zombi, 1978). In Italia i primi film che parlano di zombies sono degli anni Sessanta e attraversano vari generi (Ercole al centro della terra, 1961 e Terrore nello spazio, 1965, entrambi di Mario Bava), ma il primo vero filone zombies lo avvia Lucio Fulci con l’inimitabile Zombi 2 (1979) e lo prosegue lo stesso regista con Joe D’Amato, Umberto Lenzi, Pupi Avati e Michele Soavi.

Tra i film di zombi che contaminano il sottogenere cannibalico ricordiamo Zombi Holocaust (1980) di Marino Girolami (Frank Martin) che ha anche un altro titolo: La regina dei cannibali ed esce un anno dopo Cannibal Holocaust. È un classico esempio di cannibal-zombies ricco di tremendi effetti splatter che aggrediscono lo spettatore sin dalle prime sequenze. Gli effetti speciali sono di Maurizio Trani e di Rosario Prestopino, mentre la sceneggiatura è di Romano Scandariato. Il cast è composto da: Donald O’ Brien (il dottore pazzo), Ian Mc Culloch, Sherry Buchanan, Richard Johnson ed Alexandra Delli Colli.  In un ospedale di New York spariscono parti di cadaveri, un infermiere viene scoperto e si suicida lanciandosi dalla finestra.  La dottoressa Lory, il dottor Peter Chandler, il suo assistente George e una giornalista (Susan) partono per Kyto, nelle Molucche, terra di cannibalismo. Qui vengono accolti dal dottor O’Brien che vive là da tempo e li mette in guardia sulle strane cose che accadono. A Kyto il gruppo è aggredito da indios cannibali, Lory e Peter si salvano e scoprono che O’Brien è un folle che resuscita i morti e crea zombies artificiali. Il dottore tenta di zombificare anche i nostri due eroi ma non ci riesce. Sono i cannibali a  risolvere la situazione e a uccidere il dottore dopo aver acclamato la donna come loro dea. Il film ebbe un grosso successo all’estero proprio per la particolare efferatezza delle scene e per gli effetti speciali truculenti, ma non si tratta certo di un capolavoro. Fa il verso qua e là a Zombi 2 di Fulci e soprattutto ai capolavori di Romero. Per quel che riguarda il cannibal movie invece è Deodato il punto di riferimento più vicino, a partire dal titolo ammiccato molto furbescamente. Buona la musica di Nico Fidenco, anche se spesso si tratta di temi già sentiti nel precedente Emanuelle e gli ultimi cannibali. Cosa non si fa per risparmiare! La fotografia di Franco Zuccoli è pessima e spesso troppo scura nelle scene notturne.

Virus (1980) di Bruno Mattei (si firma Vincent Dawn) è noto pure come L’inferno dei morti viventi. Lo ha scritto lo stesso regista insieme a Claudio Fragasso ed è interpretato da una sensuale Margit Eveline Newton e da Franco Garofalo. Gli effetti splatter anche qui sono notevoli (d’altra parte in un film di zombies non possono mancare…) e li ha curati Giuseppe Ferranti. Non possiamo fare a meno di notare che siamo in presenza di uno zombie movie contaminato dalla moda imperante del cannibal movie, vuoi per l’ambientazione in Nuova Guinea, vuoi per il tentativo di messaggio ecologista. Da sottolineare poi la presenza quasi ingombrante di scene tratte da un mondo movie giapponese diretto da Akira Ide (Nuova Guinea: l’isola dei cannibali) che si vanno a sovrapporre al film e si intersecano (male) con le scene di azione. La trama ricalca qualcosa di già visto. Da un’industria chimica che ha sede in Nuova Guinea esce per errore un gas radioattivo che trasforma uomini e animali in zombies assassini (il primo contaminato è un topo che divora un tecnico della centrale in una scena molto trash). Il contagio si espande agli indigeni e ai tecnici della centrale con effetti incontrollabili. Il governo invia quattro improbabili poliziotti per indagare sull’accaduto ed eliminare le prove delle malefatte commesse. In Nuova Guinea il gruppo votato al massacro incontra anche una coppia di fotoreporter d’assalto. Finale scontato. Si tratta di un film scadente che è piaciuto molto ai giapponesi notoriamente amanti del trash. Ci sono tante sequenze splatter (mitica quella del bambino zombie che si divora il genitore a morsi), la storia è incoerente, la recitazione pessima, si copiano scene e musiche di altri film. Tutto questo dà un sapore kitsch al film, ma in realtà è più opportuno parlare di trash perché non c’è niente di voluto o di intellettuale in Virus, l’unico colpevole è il budget scarso. Tanto per dire: le divise della polizia sono le uniformi degli spazzini spagnoli, poi mancavano i soldi per comprare le munizioni a salve e via di questo passo. Virus è un sottoprodotto di una comicità involontaria, un horror trash appunto, perché era impossibile poter fare meglio.

Per chiarire l’uso dei termini dobbiamo dire che trash e kitsch significano entrambi spazzatura ma indicano due realtà estetiche diverse. Come dice Umberto Eco kitsch è il prodotto di pessima fattura che rivendica validità culturale e valore di bello, il trash invece è pienamente consapevole della propria bruttezza e non aspira a riconoscimenti culturali, anzi vive proprio di questo suo essere trash che richiama particolari fasce di pubblico, tra cui i giovani.

After Death (1988) di Claudio Fragasso sfrutta le atmosfere dei cannibal movies ma è in tutto e per tutto un puro film di zombies.

Concludiamo con un altro film sugli zombies che rasenta il trash e che ha qualcosa in comune con i cannibal movies: Le notti erotiche dei morti viventi (1980) di Joe D’Amato. Si tratta di una variazione in chiave erotica sul tema degli zombies e l’ambientazione caraibica lo avvicina come atmosfera alle pellicole del filone cannibalico. Un horror curioso che alterna momenti orrorifici, scene splatter e parti di puro cinema erotico.

(4/5 – fine)

Gordiano Lupi