PARLA COI MORTI 03

BREVE INCONTRO

- Si chiamava Luisa ed era la figlia del farmacista. Io avevo una ventina d’anni e sulla sua età preferisco sorvolare. Andava a scuola a Torino, abitava da sua zia e veniva in paese solo la domenica. Alta, i capelli d’un biondo brunito, occhi fondi e luminosi e lunghe sopracciglia: una bellezza in erba. In principio, quando ci incontravamo per strada, non mi guardava. Poi, ebbi modo di notare che, da lontano, volgeva altrove gli occhi, salvo poi fissarmi d’improvviso negli ultimi metri. In tutti questi incontri non ci fu mai un sorriso. Data la sua età e il fatto che fosse la figlia del farmacista, non mi passò mai per la testa di avvicinarla. Finché una sera d’estate c’incontrammo qui, nella Stretta. Lei veniva dalla direzione opposta e la riconobbi da lontano alla luce di un lampione. Anche Luisa doveva avermi riconosciuto. Arrivata a un metro, si fermò senza dire una parola; mi fissava con gli occhi seri, senza sorridere. Io l’attrassi a me e Luisa poggiò sulla mia bocca le sue labbra di purpurea rosa. Intorno a me, percepii un silenzio impressionante.

- Ma qui siamo in pieno clima romantico!

- Non direi. Ebbi l’impressione che era capitato quel che doveva capitare. Non c’era nulla da commentare. Così doveva essere, così era.

- E il farmacista come la prese?

- Se avesse avuto sentore della relazione, m’avrebbe mandato in prigione o, se era un tipo sbrigativo, m’avrebbe fatto assestare qualche randellata sulle spalle, una sera, in qualche strada poco illuminata. Forse non avrei visto il postino, ma di sicuro avrei capito chi aveva mandato la lettera. Ma Luisa non si tradì mai, né con le amiche del paese, né con le compagne di scuola. Del resto, in paese fingevamo di non conoscerci. Ci incontravamo a Torino, in una soffitta che mi prestava un amico. Quando Luisa arrivava a poca distanza da me, si gettava tra le mie braccia, in modo così violento che, se non fossi stato pronto ad afferrarla al volo, sarebbe caduta malamente a terra.

- Un tipo sensuale?

- Non direi che fosse la parola giusta. Del resto, anch’io non ho mai potuto capire quale fosse il fondo, il senso della nostra relazione. Ma sentivo chiaramente che con lei c’era un’energia primordiale che affiorava, un’ardente lava, una notte profonda solcata dai bagliori. E così non c’era bisogno di parlare; bastavano gli sguardi e toccarci con una mano. Con le altre non è più capitato.

- Magnifico; e quale poesia poi! Ma, con tutto questo, non mi risulta, poi, che tu l’abbia sposata!

- Se fai così, mi fai pentire d’aver sposato tua madre!

- Se è per quello l’hai già fatto diverse volte. Ma vorrei sapere com’è finita.

- Eh, tutti noi abbiamo delle giornate scure. D’altra parte, il destino della nostra relazione era già racchiuso nel suo nome.

- Ma non mi dire! Di sorpresa in sorpresa!

- Tu ti meravigli, ma ci sono cose che puoi percepire solo se sei dotato e affini l’animo. Fai caso al suo nome, Luisa: le prime due sillabe sono i simboli della notte profonda, la terza si collega alla profondità e le ultime due indicano il trapasso delle cose, la caducità della vita.

- Spero che tu non parli sul serio.

- Tu vuoi la certezza, ma la maggior parte degli avvenimenti e delle situazioni ci sfuggono, perché sono ambigui; non puoi scrutarli a fondo e dar su di loro un giudizio una volta per sempre, perché si muovono anche loro nel tempo. Così, se io penso alla relazione con Luisa, oggi mi appare diversa dall’anno scorso o da vent’anni fa e in un domani la mia visuale cambierà ancora, perché son cambiato io. Di conseguenza non c’è un passato e un presente, ma un presente del passato, perché tu guardi il tuo passato da quale punto? Dal presente d’oggi e, poi, lo guarderai dal presente di domani. Ma è sempre un presente. Un presente, per giunta, ambiguo, sfuggente, perché in continuo divenire.

- Qualcosa devo aver capito; ma tu raccontami della fine.

- Fu improvvisa, così come fu fulmineo l’inizio.

- A Torino, una domenica mattina. Sicuro che Luisa fosse andata a far visita ai suoi a Saluggia, com’era solita tutte le domeniche, passeggiavo nel centro con Enrica: io avrei evitato, ma la fanciulla ci teneva a prendermi per mano…

- Ma come, e il grande amore, la fedeltà?

- Non fu un tradimento, ma una questione morale.

- Nientemeno!

- E invece sì. Avevo conosciuto Enrica qualche tempo prima di Luisa. Lei era quasi agli antipodi: dolce, remissiva, una di quelle fanciulle che poggiano il capo sulla tua spalla e si abbandonano a te. Non meno bella dell’altra, ma completamente messa in ombra dalla nuova relazione. Da tempo sapevo che non avrei trovato il coraggio di abbandonare Enrica, perché qui la parola giusta è proprio: abbandono. Così, invece di decidere, lasciai decidere la sorte e, come sempre avviene, il caso decise per il peggio. Improvvisamente, mi vidi venire incontro Luisa, bella come non mai. Giunta a pochi passi, quasi si fermò, poi mi passò accanto con degli occhi che non avrei potuto dimenticare facilmente.

- Rimprovero, odio?

- Non era nel suo carattere altero. Solo delusione, amarezza. Poi, attraversò la via e continuò sull’altro lato. Io non avevo neppure capito cos’era successo. Guardavo la scena come un estraneo, come se non fossi stato uno degli attori. Non dissi una parola.

- Avrai cercato di rivederla.

- Per mesi, ma fu tutto inutile. A scuola si faceva accompagnare dalla zia e in paese la vidi solo in compagnia dei genitori. Ai miei biglietti non rispose mai. Feci tutto questo per dovere, ben sapendo che Luisa non sarebbe tornata. Poco tempo dopo, seppi che continuava gli studi a Parma, ospite di sua sorella. Per anni non la vidi più in paese, finché mi giunse la notizia che s’era sposata. Ma quel matrimonio ebbe breve vita, come avevo previsto. Anni dopo la incontrai coi genitori, proprio qui, vicino alle chiese. Per quanto non fossi in gran relazione col farmacista, mi avvicinai e salutai, nella speranza di parlare con Luisa. Ma Luisa se ne stava ad alcuni passi da noi e mi guardava. Non posso dirlo con sicurezza, ma quello sguardo non era molto diverso da quello che mi rivolse quel mattino. Poi mi trasferii anch’io e di lei non seppi più nulla.

- Quindi fu una relazione irripetibile.

- Sì, talmente speciale che io, pensandoci sopra, son venuto dell’idea che Luisa non fosse una donna.

- E cosa poteva essere?

- Qualche emissario, un messaggero.

- Veniva dall’inferno o dal paradiso?

- Da uno o dall’altro, ma tra i due opterei per l’inferno, anche perché Luisa non aveva nulla di paradisiaco. Era la notte, il fuoco.

(3 – continua)

Bruno Vacchino