CARLO ZANNETTI E IL TORMENTO DEL GENIO POP

Con stile squisitamente giornalistico culturale, il musicista (e scrittore) Carlo Zannetti, residente a Padova e originario di Ferrara, distilla una sorta di microstoria della musica rock pop: in IL TORMENTO DEL TALENTO – RACCONTI (Asino Rosso eBook, Ferrara, a cura di R. Guerra) capitoli su Chuck Berry, Elvis Presley, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin, Edith Piaf, Whitney Houston, Carole King, Cher, Madonna, Annie Lennox, Kate Bush, Tracy Chapman, Sinéad O’ Connor, Adele,  i Beatles (John, Paul, George e Ringo), Johnny Cash, Jimi Hendrix, Janis Joplin,  Bob Marley, Ray Charles, Freddie Mercury, Brian May, Johnny Cash, Elton John, David Bowie, Sting, Peter Gabriel, Prince e George Michael, Donna Summer/Giorgio Moroder, le italiane Patty Pravo e Mia Martini, le francesi Sylvie Vartan e Dalida. Racconti saggistici e biografici, in una scansione intenzionalmente non cronologica storica, ma originalmente affettiva e pulsionale dell’autore.

Questa esplorazione testimonia la memoria della pop cultura come ultima rivoluzione culturale del nostro tempo di massa propulsiva, dopo lo stesso, ovviamente, Andy Warhol e le analisi degli stessi Marshall McLuhan (e poi Derrick de Kerckove), Edgar Morin (“L’Industria Culturale”) e lo stesso Umberto Eco. Nello specifico, l’anno zero vincente per certo Immaginario concettualmente Fantasy e anche fantascientifico, elettronico e postmoderno doc, segnalato nell’e-Book dai racconti dedicati agli stessi Beatles (certo sperimentalismo in Sergent’ Peppers… ecc.), David Bowie, Peter Gabriel, Giorgio Moroder/Donna Summer, Madonna, Annie Lennox (Eurythmics) in particolare, sorta di cyberpunk musicale a volte popolare.

Dall’e-Book leggiamo il capitolo su David Bowie:

CARLO ZANNETTI David Bowie, il Duca Bianco: la fragilità tra gli incubi ed i suoi delfini

Era un giorno di novembre della fine degli anni ’80. Io, allora, mi trovavo ad essere uno dei tanti giovani che camminava per le strade di Londra alla ricerca di una nuova vita e di una pace interiore mai raggiunta in Italia. La vita mi insegnò solo più tardi, che la serenità non é geografica e che l’insoddisfazione, quando c’è, è una sorta di “bagaglio a mano” che sei costretto a portare in ogni luogo con te. E’ proprio così, dovunque tu sia, il primo incontro prestabilito è sempre quello con te stesso. 

Ricordo che ero nei pressi di Oxford Street, quando vidi delle ragazze che correvano verso di me. Sembravano pazze. Io in quel momento sostavo in piedi vicino ad un semaforo e, per raccontarla tutta, essendo a quei tempi molto magro probabilmente assomigliavo al palo di ferro che lo sorreggeva. In contemporanea sopraggiungeva una rumorosa Ferrari nera che precedeva di poco quel gruppo di giovani urlanti e che, dopo qualche metro, si fermò proprio di fronte a me. I suoi occhi incrociarono i miei per un secondo, era lui, era David Bowie. Era davvero bellissimo, quasi sembrava un manichino. 

Per sua fortuna il semaforo divenne subito verde, perché stava rischiando di essere raggiunto e quindi di trovarsi qualche ospite non gradito all’interno della sua lussuosa automobile. 

Dopo pochi anni, una volta tornato in Italia, andai a suonare in un locale di Venezia per lo più frequentato da ragazzotti in gran parte gondolieri, facchini o trasportatori di laguna, i quali tra una birra e l’altra, spesso si contendevano la possibilità di fare colpo su qualche malcapitata turista straniera. Le proposte erano sempre le stesse e sempre descritte attraverso un inglese maccheronico: gite notturne in motoscafo, oppure in gondola, per vedere le meraviglie della città…… Uno di questi baldi giovani, forse il più tranquillo, mi propose alla fine del mio concertino prettamente targato rock, di seguirlo a casa sua perché doveva per forza raccontarmi una storia pazzesca e farmi vedere un dipinto. Era un gondoliere molto gentile che aveva apprezzato il mio modo di cantare e suonare. Lo seguii e poco dopo mi trovai di fronte ad una parete piena di disegni che raffiguravano persone, animali e cose strane. In un angolo c’era una firma: “David”. 

In breve, mi spiegò che David Bowie aveva fatto quel grande disegno, che lui era stato a casa sua, dopo che si erano incontrati casualmente una notte in giro per Venezia. Rimasi esterrefatto quando mi disse che si era seduto proprio dov’ero seduto io. A riprova della veridicità di quanto detto mi fece vedere una foto. Era tutto vero! Ho sempre creduto che qualcosa di noi rimanga nelle cose che tocchiamo e nei luoghi nei quali ci soffermiamo. In quel momento, per la seconda volta, mi ritrovavo molto vicino a David. 

In un’intervista David Bowie dichiarò che spesso girava il mondo da solo, perché diceva che nessuno lo riconosceva. Aveva un cappello con frontino, un giubbino verde e gli occhiali da sole. 

Ma chi era realmente David Bowie? David Robert Jones nacque a Londra l’8 gennaio del 1947, era un attore, un cantautore ed un vero giramondo. Era anche una celebrità, sotto certi aspetti, a dir poco inquietante. All’età di quindici anni prese un pugno nell’occhio sinistro che gli causò un lieve danno alla vista ed una dilatazione permanente della pupilla. Questo brutto episodio creò uno degli sguardi più particolari della storia della musica. Il cantautore britannico fu un vero camaleonte, unico nei suoi travestimenti ed allo stesso tempo misterioso nell’invenzione di strani personaggi che a volte divennero dei veri e propri suoi “alter ego”. Quanti viaggi, quante case cambiate. David nella vita ne fece di tutti i colori per raggiungere quella notorietà internazionale che sicuramente meritava. Un uomo, come già detto, molto bello, con una splendida voce, munito di una gestualità importante ed un autore di musiche meravigliose. I suoi testi personalmente li trovo quasi tutti incomprensibili. Egli collaborò con tutti: Jimmy Page, Andy Warhol, Lou Reed, Iggy Pop, Brian Eno, Robert Fripp, Pete Townshend, Freddie Mercury, Tina Turner, Mick Jagger, Annie Lennox, David Gilmour, Bing Crosby, Queen. 

La sua vera consacrazione avvenne nel 1972, con l’album “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”. Sempre nello stesso anno, in un’intervista, arrivò al punto di dichiarare la propria omosessualità, anche se si pensa più ad una trovata pubblicitaria piuttosto che ad una realtà della sua vita. 

Nell’aprile del 1975 si trasferì in California, in una casa sulle colline di Los Angeles, dove trascorse uno dei periodi più difficili della sua vita, ossessionato dalla passione per l’occultismo e debilitato dall’abuso di droghe pesanti. In quel contesto nacque un nuovo personaggio, il “Thin White Duke”, ovvero lo “Snello Duca Bianco”. La cronaca di quel periodo narra di vicissitudini ed affermazioni non proprio consone ad uomo così famoso come lui. Un giorno disse che la Gran Bretagna avrebbe tratto un grande beneficio dall’avvento di un leader fascista e sempre in quel periodo fu bloccato sul confine russo-polacco, dove fu segnalato dalla Polizia per possesso di alcuni cimeli nazisti. 

David arrivò al punto di affermare in un’intervista fatta a Cameron Crowe, allora giornalista del famoso magazine “Rolling Stone”, che Hitler era stato, secondo il suo parere, una vera rockstar. 

Bowie in seguito si scusò pubblicamente per questi suoi allarmanti atteggiamenti, imputandoli alla sua dipendenza dalla cocaina ed auto-definendosi pazzo. 

Nel 1976 si trasferì in Svizzera, dopo avere acquistato una grande villa vicino a Losanna sulle colline a nord del Lago di Ginevra. In quel luogo iniziò a dipingere producendo svariate opere in stile moderno. 

Il 23 settembre del 1977 uscì “Heroes” che include il celebre brano omonimo scritto insieme a Brian Eno e registrato a Berlino. 

Nel 1980 uscì la meravigliosa “Ashes to Ashes” e nello stesso anno fece un’apparizione nel film tedesco “Christiane F.- Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino” la cui colonna sonora, è composta esclusivamente dai suoi brani tratti da “Station to Station”, “Low” e “Heroes”. 

Nel 1986 scrisse il capolavoro “Absolute Beginners”, colonna sonora dell’omonimo film e dopo pochi anni tornò definitivamente ad abitare a New York, trasferendosi in un grande appartamento affacciato su Central Park. 

L’8 gennaio 2016, giorno del suo sessantanovesimo compleanno, uscì il suo ultimo album “Blackstar”. Due giorni dopo, nella notte tra il 10 e l’11 gennaio, l’artista britannico morì nel suo attico di New York in Lafayette Street, sembra a causa dell’aggravarsi di un tumore al fegato contro il quale combatteva in gran segreto da circa diciotto mesi. 

Un uomo fragile che aveva bisogno di un suo mondo purtroppo creato in modo artificiale per riuscire a vivere decentemente. Un uomo da settecento canzoni, un altro artista da 100 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. 

“Molto presto sarai un po’ più vecchio, il tempo può cambiarmi, ma non riesco a inseguire il tempo, ho detto che il tempo può cambiarmi, ma non riesco a inseguire il tempo”. (Changes -1972) 

David Bowie, le sue trasformazioni, le sue melodie meravigliose, quelle magnifiche foto, un grande artista equilibrista costretto a camminare per tutta la vita sul filo del rasoio. “Io, io vorrei che tu sapessi nuotare, come i delfini nuotano” alcune parole della canzone “Heroes” che divenne nel 2009 la colonna sonora del film documentario premio Oscar, “The Cove”, che metteva in luce la vergogna della macellazione annuale dei delfini a Taiji in Giappone. Bowie in quel frangente si rivelò anche essere un grande animalista, permettendo al regista di utilizzare la sua musica per una tariffa minima perché desiderava in quel modo contribuire personalmente agli sforzi per salvare i delfini. Allora pensiamolo così, David con i suoi delfini, finalmente libero di nuotare in un mare tutto vero. 

Roberto Guerra