FATTUCCHIERE E DURA REALTA’ NE “LA SCORDANZA” DI DORA ALBANESE

E’ un territorio senza tempo, un paese remoto della Lucania dove si crede ancora al malocchio, ai filtri d’amore e alle fattucchiere quello che Dora Albanese fa emergere nel suo romanzo “La scordanza” (Rizzoli, 2017). Si tratta di un romanzo denso e drammatico ambientato in un Sud feroce impastato di magia oscura quello con il quale la scrittrice materana, collaboratrice di Rai Uno, torna in libreria più grintosa che mai.

Un libro duro, che affronta la tematica della maternità e dell’abbandono, tra la vita e la morte, in una terra considerata matrigna, vista a metà del guado tra una società contadina arcaica e una modernità che fa fatica a farsi strada.

Un romanzo imbevuto di cultura antropologica, d’altronde la formazione universitaria dell’autrice è proprio quella e, come ci ha riferito la scrittrice “si nutre anche dei racconti, delle favole e di storie reali che mi narrava mia nonna di Stigliano (paese dell’interno della provincia di Matera, ndr)”.

Una cultura orale contadina dal lontano sapore “leviano” che la nostra autrice ha ben saputo amalgamare e rielaborare in un percorso personale di scrittura tutto suo. E ciò è ampiamente emerso nella discussione durante la presentazione del libro tenuta a Matera nella quale è intervenuto il saggista Mimmo Calbi che attualmente insegna al Liceo classico “E. Duni” della Città dei Sassi, ma che è stato docente e guida sotto l’aspetto della formazione culturale quando la scrittrice era allieva del Liceo delle Scienze umane “T. Stigliani”.

Presente anche il giornalista di Mediaset, Luigi Galluzzo che ha abilmente condotto la serata. E Gabriella Armandi, studentessa di lettere all’Università di Bari che ha attivamente partecipato dando il suo parere di lettrice.

Il prof. Calbi nel suo intervento ha subito detto che inizialmente ha avuto una naturale difficoltà nel discernere l’ex alunna dalla scrittrice, problematicità che poi si è sciolta quando si è via via addentrato nel romanzo. Un testo che si sviluppa in un ambiente di paese nel quale valgono ancora i riferimenti fatti da Ernesto De Martino che analizzò i vari comportamenti sociali e le conseguenti reazioni delle popolazioni, anche sotto l’aspetto psicopatologico, dove per difendersi dalle disgrazie si eseguiva “l’affascino”, pratica magica messa in atto dalle “masciare”.

Relativamente alla trama del romanzo la protagonista Caterina, bella donna ribelle, mal sopporta la “prigione” di questo mondo remoto impermeabile ai cambiamenti della modernità. Per questo abbandona il suo paese, la famiglia e soprattutto i figli per vivere la sua vita in tutta libertà sino alle estreme conseguenze. Nella narrazione sono proprio i comportamenti e le consuetudini e la vecchia cultura arcaica che pesano nelle scelte della protagonista che, per il docente e saggista, rimangono comunque criticabili in quanto la donna per vivere in totale autonomia abbandona i figli e ciò rimane un atteggiamento moralmente discutibile.

La riflessione ha dato modo a Dora Albanese di rilevare che la vicenda narrata in “La scordanza” si inserisce in una sorta di continuità con la sua precedente prova narrativa “Non dire madre” (Edizioni Hacca). Qui l’ambiente meridionale, la cultura maschilista e la stessa condizione di madre di Caterina rappresentano una zavorra per la vita della donna. Un testo, quindi, che ancora una volta indaga e analizza la condizione femminile in una piccola realtà meridionale e Dora Albanese lo fa a modo suo e con l’audacia che indubbiamente non le manca.

In chiusura è stato proiettato un cortometraggio sul libro, sceneggiato dalla scrittrice, diretto da Pietro Micucci e con l’attrice Annalisa Insardà nei panni di Caterina.

Filippo Radogna