Il cinema dell’orrore secondo Umberto Lenzi – Parte 02
Nightmare beach (1988), noto anche come La spiaggia del terrore è un thriller poco visto di ambientazione statunitense che Lenzi contamina con alcune atmosfere horror. Tra l’altro il regista maremmano non risulta nemmeno citato nei titoli, dato che Henry Kirkpatrick non è un suo pseudonimo anglofono (come molti critici sostengono), ma il nome dello sceneggiatore. Nightmare beach è una pellicola che Lenzi ha ripudiato e a questo proposito è utile leggere le dichiarazioni che mi ha rilasciato.
“Henry Kirkpatrick è lo pseudonimo di uno scrittore americano, autore della sceneggiatura del film (orrenda), e che lo firmò quando il sottoscritto – a riprese pressoché ultimate – lasciò il film (di produzione americana) – per dissapori con il produttore. Il film fu massacrato al montaggio, con tagli e aggiunte stupide in fase di post produzione. Secondo gli accordi, io avrei dovuto dirigere un altro film (su mia sceneggiatura originale), ma una volta arrivato a Miami, il produttore, pressato da un importante personaggio molto interessato ai suoi progetti, mi pregò di girare questo thriller senza capo né coda. Il soggetto era di Vittorio Rambaldi e il film avrebbe dovuto girarlo lui come opera prima. Anche gli attori (tre cani spaventosi) erano stati scelti da loro, prima che io arrivassi. Finì che Rambaldi realizzò un film tratto dalla mia storia sulla contaminazione genetica, che venne completamente stravolta da lui e dal Kirkpatrick in sede di riscrittura della sceneggiatura. Ne risultò ovviamente un film brutto e banale. Io chiesi e ottenni di togliere il mio nome da Nightmare beach. Solo che oggi il film viene distribuito ovunque con il mio nome sulla copertina dei DVD e delle VHS. I mercanti di film sono imbattibili!”.
Nightmare beach, secondo i titoli di testa, è scritto da Vittorio Rambaldi e sceneggiato da Henry Kirkpatrick, mentre Lenzi cura solo la regia (ma non è accreditato e i titoli parlano di Kirkpatrick) e si avvale della fotografia di Antonio Climati e della bella musica di Claudio Simonetti. Interessanti gli effetti speciali che strizzano l’occhio al gore e allo splatter e sono ben realizzati da Alex Rambaldi. Interpreti: Nicholas De Toth (Skip), Michael Parks (il dottor Willet), Rawley Valverde (Ronnie), Sarah Buxton (Gail), Lance Le Gault (il reverendo Bates), Tony Bolano (Diablo) e John Saxon (il poliziotto Strycher).
Il film è costruito sullo schema delle pellicole televisive come Baywatch e Miami Beach, tra esibizioni di belle ragazze in vesti discinte, giornate in spiaggia, uomini che fanno i galletti in discoteca, musica anni Novanta, con spruzzatine di sesso ed esibizioni a base di tette scoperte per deliziare il pubblico statunitense. Lenzi svela anche molti trucchi del cinema horror ricorrendo a un personaggio che si diverte a inscenare stupidi scherzi e a fingersi morto nei modi più orrendi. Vediamo un finto cadavere nel sangue della piscina, un trucco da falso squalo, un coltello piantato su una mano di plastica e la finzione di un corpo bruciato. Il protagonista dei macabri scherzi alla fine muore davvero, vittima del killer che lo elettrizza con i fili della corrente. Si parte da un antefatto con il presunto assassino Diablo (un motociclista della banda dei Demoni) giustiziato sulla sedia elettrica.
La storia è ambientata nella località turistica di Springbreak e racconta di un serial killer motociclista che uccide studenti, villeggianti e personale di un albergo durante le vacanze. Non si vede mai il suo volto perché è sempre coperto da un casco di colore nero e si pensa che si tratti di Diablo, condannato ingiustamente, che torna dall’inferno per vendicarsi. In realtà non c’è niente di soprannaturale, ma il colpevole è il reverendo Bates che combatte una folle guerra per moralizzare i costumi. I personaggi sono macchiette fumettistiche che mancano di spessore psicologico, soprattutto i tre ragazzi protagonisti. Nicholas De Toth (Skip), Rawley Valverde (Ronnie) e Sarah Buxton (Gail) sono attori di bella presenza, ma dotati di scarse qualità recitative. Una sceneggiatura e dei dialoghi davvero scadenti fanno il resto, perché il soggetto sarebbe anche di un certo interesse, se fosse realizzato con maggiore cura e inserendo più tensione nelle scene fondamentali. Resta solo una trama giovanilistica con un pizzico di giallo e diverse morti per folgorazione che il killer motorizzato esegue con cadenza quasi monotona. Pochi i momenti degni di nota, come la sequenza di un occhio estirpato per mezzo di cavi elettrici e una scena ad alta tensione all’interno dell’albergo, quando una squillo di lusso viene uccisa dentro l’ascensore. Lenzi è bravo a disseminare di elementi orrorifici una pellicola che in definitiva è soltanto un giallo realizzato con molti effetti speciali.
Tra gli attori salverei l’esperto John Saxon nei panni dello squallido poliziotto Strycher che conserva in casa le foto dei morti e non esita a mandare sulla sedia elettrica un innocente pur di consegnare alla giustizia un colpevole. Va da sé che pure il suo personaggio è molto fumettistico e anche il suo odio immotivato verso la banda di giovani non ha ragione di esistere. La trama zoppica anche quando il poliziotto e il medico decidono di non rendere note le uccisioni di giovani e seppelliscono il cadavere della prima vittima in un luogo isolato.
Nel finale mi è venuto a mente Non si sevizia un Paperino di Lucio Fulci (1972): anche in quel film scopriamo che il prete è il colpevole dei barbari assassini. Le motivazioni però sono diverse. Nel film di Fulci il parroco (Marc Porel) vuole evitare ai ragazzini di crescere e di corrompersi, mentre nel lavoro di Lenzi il reverendo Bates (Lance Le Gault) elimina per vendetta chi vive un’esistenza scellerata e si comporta fuori dalla grazia di Dio. Il reverendo, per una sorta di pena del contrappasso di dantesca memoria, finisce elettrizzato dai fili della corrente e muore folgorato a bordo della moto. Nicholas De Toth (Skip) e Sarah Buxton (Gail) possono coronare il loro amore mentre l’estate volge al termine e la spiaggia pare “uno stadio al termine di una partita”. Una pellicola senza infamia e senza lode, che si può ancora guardare per merito di alcune parti orrorifiche che ricordano il miglior cinema di Lucio Fulci.
(5/2 – continua)