Penelope ha appena ricevuto la comunicazione che non avrebbe mai voluto sentire. Oddio, sarebbe meglio dire leggere, visto che è stata informata tramite una lettera infilata nel suo armadietto. Poche parole, per la verità, ma sufficienti a destabilizzare il suo piccolo mondo. È andata in questo modo: ore sei del mattino, termine del turno di notte. Dopo aver servito cappuccini e caffè, preparato brioche e panini per i viaggiatori del mattino, Penelope va a timbrare il cartellino e poi nello spogliatoio. La pipì di fine turno, il suo sguardo stanco nello specchio mentre si dà una lavata al viso e alle mani e poi va all’armadietto, pronta a raccattare la sua sciarpa e la giacca. Quasi non si accorge della busta che scivola per terra, ma gliela passa una collega, assonnata anche lei. Un sorriso e un grazie, Penelope la apre subito, speranzosa, ed invece eccole quelle quattro righe, quelle in cui le viene comunicato che l’azienda non ha più bisogno del suo aiuto.
Quindi Penelope esce dall’autogrill, ancora non piange, prende la macchina, torna a casa, si fa un caffè, si siede sul divano al buio, aspetta che la casa si svegli. Fuori sta già albeggiando e sa che fra qualche istante sua nonna si alzerà e le augurerà il buongiorno. Da quando suo padre e suo nonno non ci sono più, le donne della famiglia vivono insieme: Marcella, la nonna, e Beatrice, la mamma. La nonna ha settant’anni portati divinamente e la mamma ne ha solo cinquantacinque. È rimasta vedova che ne aveva quaranta, praticamente Penelope era una bambina, aveva dieci anni, ed ha avuto una sorta di tracollo nervoso. Il suo papà si era ammalato e nel giro di un anno era morto, pertanto, per poter garantire un pochino di stabilità emotiva alla figlia, Beatrice aveva deciso di tornare a casa con i genitori, entrambi in pensione. Da quell’evento tragico erano iniziati i problemi della ragazza: la carriera scolastica estremamente difficoltosa, le amicizie sbagliate, errori su errori commessi negli anni. Poi, per fortuna, la voglia di riscatto, che aveva portato Penelope ad alzarsi una mattina, tagliare tutto quello che c’era di sbagliato nella sua vita e ricominciare. Quel licenziamento non ci voleva proprio.
Lei ancora non piange, la nonna entra in cucina e si meraviglia che il caffè sia già pronto, apre le persiane e trova la nipote che guarda il televisore spento, mentre fuma una sigaretta.
- Penelope – le tocca una spalla – cosa succede?
La ragazza si volta, guarda negli occhi la nonna ed inizia a singhiozzare disperatamente, spiegando fra i sussulti che non le hanno rinnovato il contratto. La nonna la abbraccia, si siede con lei e quando arriva Beatrice, anche lei si siede sul divano per consolare la figlia. Alle otto finalmente la ragazza è più tranquilla, si è lavata di nuovo la faccia ed ha fatto colazione. Si siede con le sue parenti e ascolta quello che loro le suggeriscono.
- Vieni a lavorare con me, sai benissimo che preferisco avere te in libreria che prendere un’estranea!
- Lo so mamma, ma volevo fare qualcosa che fosse solo mio. Il lavoro in autogrill mi piaceva, anche se i turni di notte erano pesanti. Adesso avrò del tempo per recuperare… penso che più tardi aggiornerò il mio curriculum e vedrò di inviarlo da qualche parte…
- Potresti anche riposarti qualche giorno, riprendere il ritmo giusto – suggerisce la nonna – se trovassi in tempi brevi un lavoro diurno non credo riusciresti a sostenerlo, perché sei abituata a dormire in quelle ore. Prenditi qualche settimana!
Penelope ascolta tutto fissando la sua tazza, poi la lava, saluta e va a dormire qualche ora, si sente sfinita.
Sono le tre del pomeriggio quando si sveglia, la nonna le ha lasciato un pezzo di lasagna nel forno e un bigliettino affettuoso sotto il piatto, deve essere andata all’oratorio ad aiutare i ragazzini con i compiti. Penelope mangia, fuma un’altra sigaretta e poi si veste, esce a fare due passi. È una bellissima giornata di sole e lei passeggia nel parco, guardando distrattamente i bambini che giocano. Le squilla il telefono: è sua madre. La conversazione è ridotta all’osso, come succede sempre quando Beatrice è al lavoro, solo voleva assicurarsi che la figlia stesse bene. Penelope, dopo averla salutata, sente i suoi occhi riempirsi di lacrime, si siede su una panchina, piange cercando di non dare nell’occhio e riflette sul fatto di essere una nullità, di non meritare la meravigliosa famiglia che ha, sebbene mutilata, e che forse la soluzione sia quella di sparire in modo definitivo. Pensa a queste cose e si sente una scema, si alza, cammina a passo deciso verso un centro per il lavoro interinale e guarda nella vetrina i vari annunci. Si sente stanchissima e decide di tornare a casa.
Dopo aver cenato, le tre donne se ne stanno sul divano a parlare delle loro giornate. Penelope ascolta e a volte sorride, ma si sente estremamente triste e allora Marcella le suggerisce di dedicarsi ad un’attività manuale.
- Ti sembrerà una perdita di tempo, ma ti posso assicurare che serve a concentrarti su qualcosa che non ha a che fare con i tuoi problemi. Alla lunga ti rilasserà, vedrai, e riuscirai a considerare questo momento in modo più positivo.
- Grazie del suggerimento, nonna. Ma cosa dovrei fare? Rollare cannoni? È quella l’unica attività manuale che mi viene in mente.
Beatrice emette un risolino nervoso, poi incalza la figlia:
- Bé, una volta ricamavi, ti ricordi? Facevi centrini, quadretti a punto croce, mi avevi ricamato una serie di strofinacci molto carini. Potresti rifarli, che ne dici?
- Dico che ci penso, al momento non è che abbia molta voglia di fare queste cose. Anzi, mi sa che vado in camera a leggere… buonanotte.
Il giorno dopo la ragazza si alza presto, intorno alle otto è già vestita e pronta per uscire. Non ha dormito molto, ha preparato i curriculum da portare in alcune caffetterie vicine e chiede alla nonna se ha voglia di accompagnarla in merceria.
- Sai nonna, ci ho pensato: hai ragione te, almeno se faccio qualcosa non mi deprimo e poi magari non rischio di ricascare in vecchie abitudini.
Marcella sorride e dopo un’oretta eccole in giro, sempre meno curriculum e sempre più buste della spesa e riviste. La giornata passa serenamente e Penelope ha l’aria più rilassata: ha deciso che quella sera, mentre guarderà una delle sue serie preferite, comincerà a ricamare una sciarpa. Dopo cena prepara una camomilla, saluta la mamma e la nonna e si ritira nella sua cameretta, osserva la vecchia sciarpa e decide il ricamo da fare, così vede se riesce a dare nuova vita all’accessorio. Il sonno non arriva ed ecco la ragazza ancora intenta nel suo lavoro alle tre del mattino, che si ferma per andare in bagno. Mentre si lava le mani, osserva il suo viso nello specchio: ha delle occhiaie nere che circondano i suoi occhi blu e un’aria stanca, è meglio spegnere tutto e fare una bella dormita, pensa. Ad un tratto un brivido freddo le attraversa la schiena, Penelope si abbraccia e controlla che la finestra del bagno sia ben chiusa. Tutto è a posto, quindi torna nella sua stanza, accantona il suo lavoro sulla scrivania e si mette a dormire. Fa dei sogni molto agitati però: violenze, massacri, bambini urlanti. Si sveglia di soprassalto e sente una voce che la chiama, prima sembra quella di una bambina, poi piano piano questa voce si fa dura e gutturale e le impone di ricamare. Penelope non può fare altro che obbedire, allora prende la tela e ago e filo e comincia. La voce le impone di ricamare una famiglia che viene sterminata in un incendio e, benché la ragazza si opponga a questa richiesta, non può fare diversamente. Piange e ricama in fretta, come se la sua mano obbedisse ad una forza sconosciuta e, una volta terminato il lavoro, Penelope cade sul letto, come se fosse svenuta.
Il giorno dopo Penelope si sente malissimo. Ricorda quanto è successo, ma non capisce se è stato un sogno molto vivido o la realtà. La nonna e la mamma la osservano, pensano che sia ancora un po’ triste per il lavoro e allora le danno un po’ di tregua. Le rivolgono qualche parola in modo dolce, la ragazza sorride e dice, tentando di essere convincente, di voler fare una doccia. Ad un tratto la sua attenzione viene attirata dal telegiornale: nella notte una caldaia è esplosa causando la morte di una famiglia.
- Bruciati vivi… – sussurra Penelope senza fiato. La nonna annuisce e tutte si fermano ad ascoltare quanto viene raccontato dalla giornalista. Penelope sente gli occhi riempirsi di lacrime. E’ colpa mia! Pensa, mentre le ritorna alla mente la strana nottata appena vissuta. Incredula, si alza, sbattendo la sedia contro il tavolo, e corre sotto la doccia, convinta che un getto di acqua fredda diraderà quei brutti pensieri. Questi però si infittiscono e Penelope piange disperatamente e, una volta fuori dalla doccia, corre in camera sua a cercare quel ricamo. Eccolo lì, macchiato di rosso, bruciacchiato sugli angoli, come se fosse stato preso in mano da qualche entità estranea. La ragazza non ci crede, urla sbattendo il lavoro contro la parete, attira l’attenzione della madre e della nonna che corrono a vedere cosa sta succedendo. Penelope si sta strappando i capelli e le due donne faticano a tranquillizzarla: Beatrice, convinta di rivivere esperienze passate, le dà due ceffoni e Penelope smette di urlare, la guarda con gli occhi umidi e la abbraccia, raccontando fra i singhiozzi quanto successo. Marcella intanto è andata in cucina a preparare un calmante e Penelope lo beve subito, senza tante storie. Si addormenta nel giro di qualche minuto, la nonna rimane accanto a lei mentre la madre va in negozio.
Il sonno della ragazza è irrequieto e quando si sveglia è ormai sera. Va in cucina, dove la nonna e la madre stanno cenando.
- Come ti senti? – le domandano, ma Penelope non sa come rispondere. Si sente senza forze e l’unica cosa di cui ha voglia è sdraiarsi sul letto e dormire per un’infinità di tempo. Mangia qualcosa e poi si sposta in camera. Si sente sempre più strana, sembra che qualcuno da un angolo della stanza le tenga gli occhi fissi addosso. Poi quella forza della sera prima la prende, di nuovo tela ago e filo ed ecco che Penelope ricama, questa volta un incidente fra due treni. Lei cerca di opporsi ma la voce, che questa volta è quella di una bambina, le intima di tacere e di lavorare. La ragazza va avanti così tutta la notte e quasi non si stupisce, il giorno successivo, quando viene a conoscenza di un incidente ferroviario negli Stati Uniti.
Dopo un mese passato a ricamare orrori, Penelope non ce la fa più: emaciata e sfinita, la ragazza dorme pochissime ore al giorno. Piange di continuo e sia sua madre che sua nonna sono preoccupatissime per la sua sorte. Le parlano spesso, chiedendole cosa succede e quando Penelope racconta la verità, ossia che è schiava di un demone che le fa ricamare scene di morte che si verificano puntualmente, non le credono. Penelope sa di essere sola e quando le sente borbottare fra loro su di un probabile internamento in ospedale, la ragazza si sente crollare il mondo addosso.
Sola! Sola e schiava! Ecco cosa sei, uno strumento nelle mie mani! Le urla la voce continuamente. Penelope, con occhi spenti, va in cucina, prende un coltello e se lo pianta nella gola. In poco tempo è morta. Il demone deve cercarsi un’altra ricamatrice.