IL CINEMA DI GENERE DI UMBERTO LENZI 05 – PARTE 06

Il cinema dell’orrore secondo Umberto Lenzi – Parte 06

Le porte dell’inferno (1989) fa parte di un altro ciclo di film televisivi intitolato “Lucio Fulci presenta” che sono usciti solo nel circuito Home Video. Il motivo per cui la produzione di Augusto Caminito e Carlo Alberto Alfieri non ha voluto utilizzarli per il piccolo schermo è sempre quello della eccessiva violenza di alcune scene e dei troppi effetti splatter. La pellicola è scritta e sceneggiata dallo stesso Lenzi che si avvale della collaborazione di Olga Pehar. La fotografia scura che ricrea un ambiente sotterraneo è di Sandro Mancori, la musica cupa e angosciante è del bravo Piero Montanari, il montaggio (un po’ fiacco) è di Vanio Amici, mentre gli effetti speciali sono di Corridori. Tra gli interpreti se la cava bene la vecchia gloria Giacomo Rossi Stuart ed è molto diligente Barbara Cupisti, ma Paul Muller, Pietro Genuardi, Gaetano Russo, Andrea Damiano e Lorenzo Majnoni sono da dimenticare.

La storia racconta di un gruppo di speleologi che svolge ricerche sotterranee in una zona di campagna dove ci sono i ruderi di una vecchia chiesa sconsacrata. Giacomo Rossi Stuart è il dottor Jones che capitana la spedizione e deve guidare il gruppo nel sottosuolo alla ricerca di Maurizio che si trova in difficoltà. Vediamo anche noi gli incubi di Maurizio: un quadro di un frate che piange, un serpente, immagini orribili che si sovrappongono alle sue grida di aiuto. Alla spedizione si aggiungono due studenti che devono fare ricerche sul sottosuolo e conoscono bene la zona. “Stanno arrivando! Vogliono uccidermi!”, sono le ultime parole di Maurizio che stava leggendo Il nome della rosa di Umberto Eco e le pagine del libro mostrano ancora tracce di sangue.

Il film si svolge nel sottosuolo ed è girato (a budget molto ridotto) quasi tutto in interni cupi e oscuri che provocano nello spettatore un senso di claustrofobia. Si sprecano immagini di scheletri, ragnatele, topi, ragni giganti, lampade che saltano, corti circuiti, vermi sui teschi (marchio di fabbrica fulciano) e voci orrende di morti. Gli effetti speciali sono fatti in economia ma risultano ingegnosi ed efficaci.

Nella cripta dell’abbazia c’è la soluzione del mistero: sette monaci benedettini eretici per ordine di Berengario sono stati sepolti vivi nel 1289, ma le loro anime dannate risorgeranno dopo sette secoli per uccidere sette membri della progenie eretica. Siamo nel 1989, gli esploratori del sottosuolo sono proprio sette e nessuno di loro è cattolico, ma sono tutti eretici secondo la mentalità del 1300. La prima vittima è la studentessa che viene uccisa con un colpo di mannaia conficcato nel cranio, che resta diviso in due parti con un convincente effetto splatter. La mannaia si abbatte sulla donna per altre sei volte sino a maciullare il corpo senza pietà. Il suo amico resta prigioniero di una cella e subito dopo sette lame cadono dall’alto e si conficcano sul corpo. Eccezionale l’effetto splatter della lama che penetra nel bulbo oculare tra le grida di terrore di Barbara Cupisti. Ha inizio la vendetta dei sette monaci neri eretici che sono stati accusati di aver fornicato con il demonio e adesso risorgono per vendicarsi.

I difetti più evidenti del film sono i dialoghi pessimi, la recitazione impostata e certe situazioni di sceneggiatura risolte in modo scolastico. Il ritmo della pellicola è piuttosto fiacco e spesso sembra che il regista voglia allungare il brodo infarcendo la storia di dialoghi retorici abbastanza inutili. Gli effetti speciali e la suspense sono le cose migliori e anche la storia è molto originale e avvincente. Nella trama si sente tutta la passione storica del regista. Maurizio è prigioniero di un gigantesco masso ed è così che i sette monaci si trasformano in ragni giganti e lo uccidono al temine di una sequenza memorabile. In questa parte mi è venuto a mente lo stile di Lucio Fulci che ha realizzato sequenze simili nell’ottimo Paura nella città dei morti viventi (1981). Un altro degli speleologi finisce ucciso in una cassa da morto con sette fioretti infilati nel corpo a forma di croce. I sette monaci neri si trasformano in ragni schifosi ma possono assumere anche altre sembianze, però non sappiamo quali. L’effetto speciale dei ragni è tra i migliori della pellicola, ma citerei anche la croce di fuoco che appare e scompare e una lunga scena tra le grotte in mezzo al fuoco. I monaci hanno attraversato le porte dell’inferno e adesso cercano vendetta. Quando arrivano i sospirati aiuti per i tre superstiti c’è il colpo di scena finale, perché si tratta dei monaci che hanno assunto sembianze umane. Bello il colpo di teatro e ottime pure le scene dell’eccidio che i terribili monaci dal volto annerito compiono per mezzo di pugnali. Il doppio finale è dovuto, come in ogni buon horror italiano, e infatti vediamo Barbara Cupisti che si risveglia da un incubo. Non è accaduto niente ed era solo un sogno della protagonista, ma quando la donna va al campo si accorge che la storia si sta verificando. Maurizio ha bisogno di aiuto e grida le stesse parole del sogno, proprio mentre Barbara Cupisti vede una ferita sul volto di Rossi Stuart e infine arrivano anche i ragni. Il terrore si dipinge sul volto della ragazza per una sorprendente sequenza sulla quale scorrono i titoli di coda. Lenzi inventa un doppio finale simile a quello già usato per Incubo nella città contaminata, ma in ogni caso si tratta di un efficace colpo di scena.

(5/6 – continua)

Gordiano Lupi