In un futuro imprecisato, Robb e la sua fidanzata Lya sono due Dotati, ovvero il primo ha il potere di cogliere le emozioni e i sentimenti nascosti di chi ha di fronte, mentre la seconda può leggere i pensieri. I loro poteri non sono illimitati, nè spontanei, e hanno bisogni di condizioni favorevoli per essere esercitati. I due sono inviati sul pianeta Shkeen, dove vive una popolazione umanoide dallo stesso nome, interamente aggregata in un’unica, enorme metropoli. Alle sue pendici c’è la città che ospita la colonia umana, presente allo scopo di studiare gli Shkeen. Gli Shkeen seguono una loro religione ancestrale che si basa su due riti: la Congiunzione e l’Unione. La prima consiste nell’applicare una specie di parassita, il Geeshka, alla propria testa per poi partecipare ad assemblee collettive per rivelare il proprio passato, la seconda nel consegnarsi a un gigantesco esemplare di Geeshka, che assorbe in toto il corpo del devoto. Robb e Lya devono esaminare le menti di due terrestri convertitisi a quella religione, ed eseguiranno quel compito, ma scoprendo così anche segreti di se stessi che cambieranno la loro vita per sempre…
All’inizio degli anni ’70 George R. R. Martin – futuro autore del ciclo fantasy Il trono di spade – era un giovane ma già promettente autore di fantascienza, che mostrava una grande inventiva narrativa e uno stile ricco e originale. A song for Lya fu pubblicato per la prima volta su “Analog” nel 1974 e vinse il “Premio Hugo” per la miglior novella l’anno seguente; in Italia fu pubblicato nel n. 10 della rivista “Robot” nel gennaio 1977.
La novella è raccontata in prima persona da Robb e comincia con un excursus “storico” sull’antica città degli Shkeen, più antica di qualunque città terrestre e ci regala subito una descrizione della città pittorica e suggestiva, primo esempio della capacità immaginifica che Martin più volte conferma lungo la narrazione. I paesaggi urbani e naturali sono ricchi di una fascinazione insieme lirica e visionaria, che si ripete anche nelle scene di massa, nei riti religiosi e sociali degli Shkeen come pure nei passaggi dedicati all’ambiente della piccola colonia umana. E uno dei punti di forza del racconto è la continua sovrapposizione fra le due comunità, giocata su una serie di parallelismi e diversificazioni, descritti allo stesso tempo con sottigliezza e gusto dei particolari. Nella seconda parte Martin cambia scenario, portandoci nel deserto e nelle caverne del pianeta, e si rivela ancora un maestro nel descrivere immagini e atmosfere, in bilico fra il sogno e l’incubo, riuscendo a comunicare al lettore la doppia chiave di lettura di una vicenda, orripilante per gli umani che ne sono testimoni, ma meravigliosa per gli “alieni” che la vivono.
Martin è abilissimo anche nell’introspezione psicologica. L’amore fra Robb e Lya e descritto con grande vivezza e sensibilità. Ma in un racconto tutto giocato sull’ambiguità e sul contrasto fra diversi punti di vista, non è da meno il tratteggio del personaggio di Lya, a differenza di Robb attratta dal culto Shkeen. E un altro grosso merito è nell’analisi della religiosità Shkeen, narrata senza i luoghi comuni sul fanatismo, ma ugualmente mantenendo il distacco – e l’incomprensione – del narratore umano. Martin tratteggia anche i personaggi minori, terrestri e Shkeen, diversificandoli in maniera credibile e mai banale.
Affrontando il tema della telepatia, Martin lo mostra, con intelligenza, come parte integrante della personalità dei due protagonisti, creando un intreccio vivido e intenso fra le loro psicologie e quelle dei personaggi che di volta in volta “scandagliano”. Uno dei momenti più intensi della novella riguarda proprio la scoperta telepatica delle vere emozioni che spingono gli Shkeen ad autoimmolarsi: una rivelazione che cambierà il rapporto fra Robb e Lya, ma anche la loro stessa percezione della realtà.
Unici punti deboli di Canzone per Lya sono un paio di lunghe filippiche che Lya propina a Robb (e quindi al lettore), lasciandosi andare a lunghe – e inutili – disquisizioni moral-filosofiche sull’incapacità di comunicare degli esseri umani e la loro freddezza sentimentale.
Insolitamente, Martin riserva il climax emotivo non al finale ma a tre quarti del racconto, lasciando che la vicenda si dipani in una specie di breve sequel volutamente calato in un’atmosfera dimessa e quasi ironica, come a sottolineare il voluto distacco di Robb da una vicenda che ha sconvolto la sua vita, ma che vuole lasciarsi alle spalle, non senza un deliberato cinismo.