HO PERSO LA TESTA! IL CERVELLO PUÒ SOPRAVVIVERE, PER ALCUNI ISTANTI, ALLA DECAPITAZIONE?

Perch’ io parti’ così giunte persone,
partito porto il mio cerebro, lasso!,
dal suo principio ch’è in questo troncone.
Così s’osserva in me lo contrapasso».

(Dante, Inferno, XXVIII, 139.142)

“… porto il mio cerebro, lasso!”  scrive Dante facendo sue le parole di Bertran de Born (1140 – 1215) –  militare, poeta e trovatore francese – posto tra i dannati “seminatori di discordia” perché colpevole di aver fomentato il dissidio tra Enrico il Giovane e il padre, Enrico II e costretto a vagare in eterno mentre illumina il suo incedere tenendo in mano la sua testa – il suo “cerebro” – staccata dal corpo “…dal suo principio ch’è in questo troncone”…

Bertran de Born “illumina” i suoi passi con la sua stessa testa.

Pindarici, cruenti, danteschi voli poetici a parte, a volte ci siamo chiesti se le persone che vennero decapitate durante la Rivoluzione francese potessero aver percepito – anche se solo per pochi istanti – ciò che avveniva intorno a loro, l’esultanza della folla, la coscienza del mondo esterno che rapidamente defluiva dal loro corpo.

E poi il buio, la morte, il nulla eterno…

In realtà è estremamente probabile che anche la povera Maria Antonietta, alle ore 12,15 di un tragico 16 ottobre 1793, abbia avuto modo di dare un ultimo, fugacissimo, sguardo all’attuale Place de la Révolution, al suo ormai sgualcito abito bianco – colore del lutto per le regine di Francia – e, magari, fissare nella sua mente il volto di Charles-Henri Sanson, il boia al quale inavvertitamente aveva pestato un piede mentre saliva sul patibolo e al quale, molto regalmente disse “Pardon, Monsieur. Non l’ho fatto apposta!”. 

Non c’è dubbio,”Noblesse oblige”!

E qualcosa del genere potrebe esser accaduta anche al grande chimico Antoine-Laurent de Lavoisier, in un tragico 8 maggio 1794…

Durante la Rivoluzione francese molti furono gli illustri cittadini giustiziati con l’inquietante invenzione perfezionata dal celebre dottor Joseph-Ignace Guillotin, ma da lui non inventata poiché era già nota da tempo come “Patibolo di Halifax” o anche come “Pulzella scozzese”.

Molti anni più tardi, alle ore 5,30 del mattino di un triste 28 Giugno 1905,  qualcosa di simile accade di nuovo nella cittadina di Orleans, soprattutto se prestiamo cieca fede al resoconto della decapitazione di tal monsieur Henri Languille, resoconto effettuato da un medico, il dottor Gabriel Beaurieux…

“… Languille si è dimostrato coraggioso fin dal momento in cui ha camminato verso la ghigliottina. Dopo l’esecuzione, la testa è caduta nella cesta. Non l’ho toccata, come prevede il regolamento. Ecco cosa potevo notare subito dopo la decapitazione: le palpebre e le labbra del ghigliottinato avevano contrazioni irregolari ritmiche per circa cinque o sei secondi…”.

In alto Henri Languille e in basso il momento in cui fu ghigliottinato, privato della testa. Ma per poco…

Il buon dottore si assicura che anche altre persone presenti all’esecuzione possano testimoniare lo strano fenomeno, forse dopo aver portato la testa al coperto, così prosegue…

“… Questo fenomeno è stato rilevato da tutti quelli che si trovavano nella stanza. Ho aspettato parecchi secondi. I movimenti spasmodici sono cessati. La faccia si è distesa, le palpebre erano semichiuse, lascianti soltanto il bianco della congiuntiva visibile…”.

Indubbiamente il dottor Beaurieux sta vivendo un’avventura da incubo, ma da buon uomo di scienza quale è, prosegue nelle osservazioni e, anzi, conduce un inconsueto esperimento…

“… Allora ho detto a gran voce: “Languille!”. Ho visto lentamente le palpebre alzarsi, senza alcuna contrazioni spasmodica – io insisto a ragion veduta su questa caratteristica -, ma con un movimento uniforme, abbastanza distinto e normale, come accade nella vita di tutti i giorni, con la gente svegliata o strappata dai loro pensieri. Gli occhi e le pupille si sono messe a fuoco. Non era uno sguardo vago senza alcuna espressione, erano gli occhi innegabilmente viventi che stavano guardandomi…”.

Neppure in un racconto di Edgar Allan Poe accadono simili fenomeni, ma la realtà spesso supera la fantasia e così…

“… Dopo parecchi secondi, le palpebre si sono richiuse, e la testa ha ripreso la stessa apparenza come aveva prima che lo chiamassi ad alta voce. A quel punto ho ridetto a voce forte il nome del decapitato, e, senza alcuno spasmo, lentamente, le palpebre si sono nuovamente alzate e gli occhi, innegabilmente viventi, si sono girati verso di me, con, forse, ancor più penetrazione che la prima volta. Dopo ho tentato una terza chiamata, ma non c’era ulteriore movimento, e gli occhi hanno intrapreso lo sguardo vitreo che hanno nei morti. La cosa intera era durata venticinque-trenta secondi.”. Fine di quello che potrebbe apparire come un horror movie di serie B!

Ma horror movie non era e forse risponde al vero l’idea che chi viene decapitato percepisce il mondo esterno ancora per pochi secondi, almeno fino a quando è totale la paralisi dei centri nervosi…

 

Corpi decapitati realmente, fotografati per discutibilissimi “fini artistici” – a sinistra – o a scopo d’indagine medica, a destra.

“Mister Mike”, gallo senza testa (ma non troppo…)

È un normalissimo 10 settembre 1945 e  Lloyd Olsen, pacifico agricoltore di una amena cittadina del Colorado, Fruita, decide che per pranzo desidererebbe un gustoso bollito di pollo.

Nel  pollaio non c’è che l’imbarazzo della scelta e mister Olsen, con la sana pragmaticità dei contadini, afferra il primo sfortunato gallinaceo a portata di… accetta e si procura il pranzo che desidera da tempo.

Però le congiunzioni astrali dello sventurato pollo hanno deciso diversamente poiché la vittima sacrificale non ha la minima intenzione di finire in tavola, magari con un fumante contorno di patate arrosto.

No, il pollo vaga per alcuni secondi nell’aia, poi si calma e con immenso stupore dell’esterrefatto mister Lloyd, raspa il terreno alla ricerca di cibo!

Ormai l’idea del pranzo è sfumata e il nostro contadino lascia lo strano pennuto al suo destino…

Però la mattina dopo la meraviglia è ancor maggiore perché il suo sfumato “pranzo” è ancora vivo, tranquillamente addormentato come ben si conviene ad un pollo educato, con il collo sotto l’ala, poiché la testa… ormai non c’è più!

Quasi convertitosi al vegetarianesimo, mister Olsen decide di nutrire l’animale, lo battezza “Mister Mike” e gli somministra acqua e sementi usando un contagocce.

Mister Lloyd Olsen con il suo pollo decapitato ma ben deciso a passare il  più tardi possibile nel “Paradiso” dei volatili.

Mister Mike” – ovviamente subito soprannominato “Il pollo senza testa”! –  sopravvive per altri diciotto mesi e alla fine dei suoi giorni qualche incuriosito veterinario scopre che l’improvvisata decapitazione aveva lasciata intatta la base del minuscolo encefalo, mentre un provvidenziale grumo di sangue aveva impedito un rapido, mortale, dissanguamento.

Naturali riflessi motori avevano poi consentito al “Lazzaro dei polli” di muoversi e agire quasi come se fosse ancora del tutto normalmente  “vivo”.

“Mike”, il pollo senza testa, reagiva quasi normalmente a stimoli esterni, veniva nutrito mediante un contagocce e sopravvisse per un anno e mezzo dal giorno della sua dilettantesca decapitazione. 

La strana “Società per la mutua autopsia”

Ė il 1857 e il dottor Charles Edward Brown-Sequard si ricorda di una folle idea del fisiologo francese Julian Jean Cesar Legallois, avanzata nel 1812, e decapita un povero cane, lo dissangua completamente, attende circa dieci minuti e infine inietta altro sangue fresco nel circolo sanguigno della sua vittima sacrificale.

Come egli riferisce, dopo un po’ la testa del cane sembra resuscitare, gli occhi della cavia si muovono quasi seguendo ciò che accade intorno ad essi.

La macabra scena prosegue per alcuni lunghi, terrificanti, minuti per poi concludersi con lunghi tremiti della testa decapitata e infine giunge l’inevitabile morte fisica.

Qualche anno più tardi è la volta di una stranissima “Società per la mutua autopsia” i cui membri si accordano per sezionare l’un l’altro il cervello.

Si spera dopo il passar a miglior vita di ognuno di essi!

Il dottor Jean Baptiste Vincent Laborde (1830 – 1903), socio influente della stramba associazione, nel 1884 passa all’azione, si procura la testa appartenuta ad un assassino decapitato dalla ghigliottina, estrae tutto il sangue e poco dopo lo sostituisce con  sangue fresco e attende. Ma nulla accade!

La testa era stata staccata dal corpo troppo tempo prima…

Lo strano emulo del “Dr. Frankenstein” non demorde e si fa consegnare la testa di un condannato a morte, decapitato solo pochissimi minuti prima.

Collega la carotide del morto alla corrispondente arteria di un cane vivo, in grado di ripristinare avventurosamente la circolazione sanguigna della cavia umana – ormai non più in grado di protestare! – ma nota soltanto la contrazione di alcuni muscoli del volto e l’impressionante, rumorosa, chiusura della mascella, proprio come se la testa del defunto potesse ancora percepire ciò che accadeva a ciò che rimaneva del suo corpo. Poi più nulla…

Coraggiosamente continuiamo…

Cerbero, fiera crudele e diversa…

                                                       (Dante, Inferno, VI, 13)

No, gentil lettori, state tranquilli!

Non scenderemo di nuovo tra le infernali bolge mirabilmente descritte dalla poetica fantasia dell’Alighieri, ma ci avventureremo in qualche strano laboratorio che avrebbe di sicuro suscitato l’invidia del dottor Victor Frankenstein se realmente egli fosse vissuto nei primi anni del XIX secolo.

Il Cerbero che dà il titolo a questo paragrafo – posto a guardia dell’Ade, del Regno dei Morti, mitologicamente o dantescamente parlando – era un mostro, verosimilmente un cane con tre teste, raffigurato in maniera mirabile anche da quel grande artista visionario che fu William Blake.

Cerbero, il cane con tre teste, in un’opera di William Blake.

Forse il dottor Charles Claude Guthrie (1880-1963) – docente di fisiologia e farmacologia all’Università di Washington e poi a Pittsburgh – è un cultore di danteschi studi e a Cerbero si è ispirato se il 21 maggio 1908 decide di effettuare il trapianto della testa di un cane di piccola taglia nel corpo di un altro cane, di dimensioni maggiori, ottenendo una sorta di strana “chimera” in cui i due malcapitati animali convivono con le loro due teste affiancate.

Nel 1912 – quattro anni dopo il suo strano esperimento alla Frankestein – Guthrie pubblica un interessante libro dal titolo Blood Vessel Surgery and Its Applications in cui descrive minuziosamente le complesse tecniche da lui usate nei primi tentativi di trapianti di organi. Compresa la  testa…

In realtà Guthrie sta cercando di mettere a punto svariate tecniche chirurgiche per il trapianto di organi, evidenziando anche tutti quelli che potevano essere gli aspetti legati al “rigetto”. Guthrie – una sorta di genio della medicina – in quegli anni è “in odor di Nobel”, ma i suoi esperimenti, che fanno rabbrividire e indignare  gli animalisti dell’epoca, almeno secondo il parere di Hugh E. Stephenson, chirurgo della University of Missouri Columbia, gli costano l’esclusione dall’ambito riconoscimento scientifico.

Il libro del dottor Charles Guthrie, pubblicato nel 1912. Contiene la descrizione delle tecniche chirurgiche necessarie all’esecuzione di trapianti d’organi. Anche della testa di sventurati animali…

Una delle sventurate cavie del dottor Guthrie. Dal testo di Guthrie è tratta questa illustrazione che esemplifica come le due teste degli sventurati animali siano state collegate tra loro.

A sinistra, la tecnica usata dal dottor Guthrie per collegare tra loro i vasi sanguigni. A destra alcune dei rudimentali strumenti usati per le trasfusioni.

Dr. Victor Frankestein, I suppose…

Continuiamo…

Spero vivamente che gli animalisti, gli antivisezionisti non me ne vogliano, ma ora – parafrasando la notissima frase che avrebbe pronunciata Henry Morton Stanley, il giornalista inviato nel 1869 alla ricerca dell’esploratore David Livingstone – incontreremo tre altri emuli del dottor Frankestein i quali – al di là del Bene e del Male, in sintonia con il “Nietsche pensiero”, insomma – osarono effettuare operazioni chirurgiche forse ben più “proibite” di quelle del dottor Robert White che avremo occasione di conoscere un po’ più avanti.

Iniziamo con il dottor Robert Cornish, della Università di California, il quale nel 1939 tenta di “resuscitare” animali morti introducendo nel loro circolo sanguigno anticoagulanti e adrenalina senza danneggiare parti interne importanti. Utilizza vari cani –  che ovviamente chiama tutti… Lazarus – e, dopo averli asfissiati, li sottopone all’esperimento legandoli ad una sua speciale “altalena” su cui li fa oscillare. Alcuni animali si riprendono ma rimangono seriamente menomati nell’organo della vista e al cervello, ma tutto ciò sull’altare della Scienza ovviamente!

Un ritaglio di giornale in cui il dottor Robert Cornish mostra orgogliosamente due delle sue cavie “resuscitate”.

La strana “altalena” con cui il dottor Robert Cornish sosteneva di poter “resuscitare” anche esseri umani… 

Più o meno in quegli anni uno scienziato russo, il medico Sergej Bryukhonenko, mette a punto il primo dispositivo “cuore-polmone” artificiale, denominato Autojektor e con esso conduce una lunga serie di esperimenti sui cani, esperimenti in confronto ai quali quelli di Voronoff assomiglierebbero forse ad un gioco da ragazzi!  Mediante l’Autojektor, lo scienziato  riesce a tenere in vita alcune teste di cane e realizza un filmato – visibile in Internet su YouTube, cercando Russian Dog Experiment – in cui si vede chiaramente la testa di una povera “cavia” staccata dal resto del corpo ma ancora ben sensibile a qualsiasi stimolo esterno, tattile, acustico, chimico, ecc.

Il dottor Sergej Bryukhonenko (1890 – 1960).

L’esperimento del dottor Bryukhonenko: la testa della povera bestia vive in maniera del tutto autonoma…

Successivamente, nel 1954, il chirurgo russo Vladimir Demikhov riesce ad impiantare la testa di un piccolo cane sul corpo (testa compresa) di un animale di maggiori dimensioni. Ovviamente non ci riesce al primo tentativo e molte coppie di animali sono state certamente sacrificate sull’altare di una scienza forse folle.

Demikhov tenta anche con trapianti di teste di scimmie, aprendo il varco verso gli esperimenti che decenni dopo vengono effettuati dal dottor Robert White che ora andiamo a visitare nel suo laboratorio…

Il riuscito esperimento del dottor Demikhov.

Il dottor Robert White, teste umane, la ricerca dell’immortalità del pensiero…

Dai tempi di Bryukhonenko e di Demikhov sono passati alcuni anni, direi alcuni decenni…

Agosto 1999. Sul Corriere della sera compare un interessante articolo in cui si relaziona sui recenti sviluppi avuti da un’avveniristica tecnica ideata da un neurochirurgo americano, il dottor Robert White.

La tecnica messa a punto riguarda i trapianti d’organi: fin qui nulla di eccezionale diremmo, poiché all’epoca eravamo abituati a simili prodezze della medicina e della chirurgia, dopo l’ormai lontano primo trapianto di cuore ad opera del dottor Christian Barnard. E allora, cosa c’è di eccezionale in quell’articolo?

L’eccezionalità consiste nel fatto che a poter essere trapiantata sarebbe un‘intera testa umana, questa volta! Ma è proprio possibile tutto ciò? Vediamo…

Sappiamo bene che in una testa di un animale, staccata dal resto del corpo, priva cioè di irrorazione sanguigna, le cellule del cervello muoiono in poco tempo per carenza di ossigeno. Però, già dall’Ottocento, alcuni ricercatori cercano di capire se sia possibile mantenere il cervello in vita ossigenando il sangue e facendolo circolare artificialmente nella testa… mozzata.

Sembra ci riescano, poiché la circolazione artificiale riesce a mantenere l’attività cerebrale, tanto che ciò che resta del povero animale è in grado di reagire alle stimolazioni sensoriali. Osando un po’ di più, da tali ricerche si potrebbe arguire che, nel caso di un trapianto di una intera testa umana, la circolazione artificiale potrebbe servire a tenere in vita il cervello durante la più che complessa operazione.

Negli anni Ottanta del secolo appena trascorso, un neurochirurgo americano, il dottor Robert White, di Cleveland (Ohio), afferma di avere risolto gran parte dei problemi legati al trapianto di testa umana, abbassando la temperatura dell’encefalo da 37°C a circa 10°C. Tale espediente gli consente di rendere il cervello attivo per circa un’ora. Quell’ora necessaria a ricollegare tutte le innervazioni, tutto l’apparato circolatorio che poi dovrebbe consentire alla testa trapiantata di dare le necessarie informazioni al corpo su cui è stata trapiantata.

Fantascienza? Non proprio, poiché… “Raffreddando il cervello – ha spiegato White – si rallenta il metabolismo e si recupera tempo prezioso per attaccare la testa al suo nuovo corpo”.

Il dottor Robert White, il neurochirurgo americano che sostiene di poter trapiantare un’intera testa umana. Problemi di bioetica ne hanno arrestato le ricerche.

In alto il professor Sergio Canavero – neurochirurgo dell’Ospedale le Molinette, di Torino – sicuro di avere mezzi e possibilità per trapiantare un’intera testa umana. In basso una sua possibile prima cavia, il  trentenne russo Valeri Spiridonov. Egli soffre di una grave patologia degenerativa, l’atrofia muscolare spinale (la malattia di Werdnig-Hoffmann) che lo ha costretto sulla sedia a rotelle sin dall’età di un anno.

La complessa operazione chirurgica prevede dapprima una profonda incisione sulla schiena del corpo destinatario della testa “estranea”, in modo da mettere in luce la spina dorsale e i principali vasi sanguigni.

Successivamente la testa deve essere collegata alla macchina per il raffreddamento cerebrale, macchina che inizialmente fornirebbe al cervello il sangue del corpo originale. Secondo il dottor White – il quale ha già effettuato l’operazione su alcuni cadaveri – si può staccare definitivamente la testa dal corpo che l’ha ospitata fino a quel momento e, anche se l’encefalo dovesse rimanere senza la dovuta ossigenazione, il drastico abbassamento di temperatura (di circa 27°C) diminuirebbe notevolmente il rischio di provocare danni irreversibili ai tessuti cerebrali.

Se la ipercomplessa operazione è fino a qui riuscita, avremo a disposizione una testa da collegare ad un nuovo corpo. Facile a dirsi!

Lo stesso dottor White – un Frankenstein dei nostri giorni – ammette senza remore che i rischi sono grandissimi poiché è estremamente difficile collegare tutti le innervazioni alla spina dorsale ed è elevatissimo il rischio che il paziente rimanga paralizzato dal collo in giù!

White si è esercitato a lungo prima di pronunciarsi sulla possibilità di trapiantare un’intera testa umana. Ė già riuscito ad effettuare lo scambio delle teste tra due scimmie o, più esattamente, la testa di una scimmia è stata trapiantata sul corpo di un’altra che, attraverso il suo cuore e i suoi polmoni, ha mantenuto in vita per circa sette giorni la testa trapiantata.

Capisco che infiniti sono a questo punto della ricerca gli interrogativi d’ordine bioetico che, senza dubbio, fermeranno ulteriori ricerche in questa direzione. Gli stessi problemi d’ordine morale più che di ordine medico e biologico, che posero non solo scienziati ma anche rappresentanti del mondo religioso intorno alle onnipresenti “tavole rotonde” – anche televisive: ricordo qualcosa del genere anche nelle trasmissioni RAI… – dopo quel lontano 3 dicembre 1967, giorno in cui Christian Barnard effettuò con successo il primo trapianto di cuore umano su Louis Washkansky.

E poco importa se, a causa del “rigetto”, quest’ultimo muore diciotto giorni dopo il trapianto. Da quei lontani anni la cardiochirurgia ha effettuato passi da gigante e, anche se non tutti i problemi sono stati risolti, oggi il trapianto di cuore è diventata operazione… quasi di routine.

D’altra parte, la Scienza e la Conoscenza in genere procedono proprio così: con errori, con perfezionamenti, con coraggio…

Roberto Volterri