Macabrus
Laura Toscano mette su carta nel 1970 un groviglio di perverse pulsioni: Reginald Oak-Davis è un nobile annoiato, un dandy come ne troveremo tanti nel cinema thrilling di quel decennio, sopraffatto da spinte erotiche deviate. Voyeur (uno dei temi ricorrenti della narrativa del decennio appena concluso quando Laura Toscano scrive Macabrus), anche dei rapporti erotici dei genitori, e zoofilo, è un soggetto vinto dalla sua inettitudine, dalla sua incapacità di dominare gli istinti sessuali aberranti.
Laura Toscano utilizza una lingua sempre molto vaga e allusiva: questo rappresenta un tratto distintivo non solo della sua scrittura, ma anche della prosa dei romanzi della collana KKK nell’insieme. Vediamo un esempio:
“Reginald aveva perso la testa. Soggiogato dalla sua stessa virilità appena sbocciata si era lanciato sulla ragazza e l’aveva posseduta con tutta la rabbia delle sue profonde frustrazioni. Poi, però, era stato colto da un profondo senso di colpa, da un misto di orrore e di vergogna esasperato anche dai continui lazzi che Mary non aveva cessato di indirizzargli durante tutto l’amplesso”.
Specie nella descrizione di scene erotiche, la lingua di questi romanzi rinuncia alla qualità descrittiva, in favore di una connotazione idealistico-allusiva. Il lettore può immaginare le scene erotiche, ma queste non gli vengono descritte. Le parole utilizzate non appartengono all’universo pratico delle cose, ma si rifanno al piano delle idee e dei concetti.
La scena erotica descritta appartiene al passato di Reginald Oak-Davis e rappresenta uno scomodo ricordo, anzi un trauma. Dopo l’amplesso, la ragazza è morta, cadendo per le scale. Incidente o omicidio? Il giovane nobile l’ha rimosso. Resta quel senso di vergogna represso, per essere stato sorpreso dalla ragazza, Mary, mentre metteva in scena i suoi istinti zoofili… La rabbia, derivante, dai “lazzi” della giovane amante, il sentirsi preso in giro per il fatto di possedere istinti contro natura… potrebbe aver fatto il resto…
L’ambientazione gotica nel vecchio castello della famiglia Oak-Davis e il collocamento temporale nella Londra e provincia del 1750 sono i chiari segnali di una tradizione tardo-gotica che è ormai sul punto di sbiadire completamente all’interno di questi thriller su carta, come più avanti avremo modo di osservare…
Anche la moglie di Reginald, Clarice, splendida e corrotta giovane donna allevata in seno al puritanesimo più ossessivo e ligio nel difendere l’anima dal peccato, conserva nel passato uno straziante segreto. La sua verginità è stata violata da un giovane sottotenente. Durante l’amplesso, però, è comparsa la sorella Deborah, completamente nuda. La sorella era l’amante del sottotenente?
Torna la lingua allusiva, a tratti fastidiosamente enfatica, della prosa di Laura Toscano:
“… (L’esperienza) aveva avuto come conseguenza quella di sviluppare in lei un profondo schifo per il mondo e un vero e proprio desiderio di sublimazione, cioè di qualche cosa di soprannaturale che desse un senso alle cose, che compensasse quella sua natura così sessualmente avida e che la riscattasse dall’erotismo di cui era ormai vittima compiacente, anche se eternamente pentita”.
L’incapacità, per certi versi potremmo dire anche la pigrizia, di questi scrittori di romanzi di genere nel costruire personaggi viene evidenziata e colmata dal ricorso a lunghi giri di parole, con l’utilizzo di sostantivi e aggettivi che si riferiscano al mondo astratto delle idee e dei concetti. Il ricorso al luogo comune, oppure al suo contrario, vale a dire l’insolito, sono stratagemmi per fuggire all’onere di definire personaggi che vengano rappresentati durante azioni concrete che possano dispiegare al lettore le loro attitudini e qualità.
Il valore di questi romanzi non può essere riconosciuto in una dimensione strettamente letteraria. Le esigenze di collana, la produzione che esigeva tempi stretti di stesura e la riproposizione seriale di trame-tipo e di topos ricorrenti imbrigliavano iniziative individuali, artistiche. Il valore va ricercato a livello culturale, in quanto espressione collettiva, nel senso di collana, di un humus allora vigente. Sono romanzi da leggere per accumulo, per amanti del genere; genere che non viene mai travalicato: nessuno degli scrittori si raffigurava la possibilità di lanciare un messaggio che andasse oltre l’intrico della trama stessa. Sono prodotti di massa, standardizzati, non artistici: la collana prevale sull’autore e non il contrario. Questo aspetto avvicina questa scrittura alle pellicole thrilling degli anni d’oro. Come in quel caso, il fatto che la produzione fosse serrata e soggiacente a meccanismi di mercato non significa che, all’interno di simili produzioni in serie e di genere non si possa riscontrare qualche buona esecuzione. In questi romanzi, così come in quel cinema, la forte libertà che abbiamo altrove sottolineato, non soffocata dalle esigenze di mercato, ma figlia di un periodo culturale aperto culturalmente e in questo senso favorevole, presentava il territorio giusto per il dispiegarsi di trame fantasiose e libere, che al rileggerle oggi (in un mondo dominato dalla stitica osservanza delle regole standard degli editor, che annichiliscono le iniziative fantasiose degli autori e appiattiscono le trame in un modo molto maggiore rispetto al meccanismo di serie di un mercato florido come era quello di allora) fanno insorgere una forte nostalgia. La costante ricerca di colpi di scena, e questo romanzo rappresenta un ottimo esempio, tipico dell’esigenza di prodotti seriali di mantenere alta l’attenzione di chi fruisce del prodotto culturale, mantiene vive le trame e obbliga il narratore a continue torsioni sull’asse della storia narrata.
La coppia Reginald-Clarice vive in un limbo, caratterizzato dal vuoto che li separa come amanti. Il giovane nobile ha sviluppato un’incapacità ad avere rapporti sessuali con la moglie. Torna il tema dell’impotenza, tanto cara ai romanzi presi in esame. Un’impotenza che è sia sessuale che mentale, in tutte le sue accezioni: morale, umana, d’azione.
Nei sotterranei del castello si trova il laboratorio di un alchimista, l’abate Primus, che Reginald ucciderà tra le torture: sarà la sua vendetta per aver avuto una relazione (sadica) con la moglie. Il castello prenderà fuoco durante la vendetta di Reginald e trascorreranno vent’anni, facendo piombare il lettore nella Londra nobiliare, in cui si muove Reginald risposato e con prole. In questo secondo momento della narrazione comincia la parte thrilling della storia: prende piede la vendetta dell’abate Primus, o di chiunque si celi dietro la sua maschera, che si abbatterà sulla nobile famiglia degli Oak-Davis.
La divisione temporale in due tronconi e il tema della vendetta su base familiare ricorda da vicino tanti gialli-thriller della tradizione italiana ed estera. Nei “krimi” tedeschi, così come in tutto il giallo classico, il tema della vendetta su base dinastica si è incentrato sulla questione ereditaria. Il più fulgido esempio è costituito dal romanzo “La corte delle streghe” di John Dickson Carr. Una maledizione incombe sui discendenti di un’antica casata. Quando i morti ricominciano a incombere sulla vicenda, i protagonisti della storia dovranno considerare se si tratti della vendetta di una strega, oppure di una resa dei conti per motivi finanziari.
I peccatori della foresta nera è la trasposizione del romanzo di Carr su pellicola, sebbene la versione filmica presenti delle interessanti variazioni nella trama, specie per quanto concerne la chiusa.
Nel thrilling, la pellicola che va citata in questo senso è senza dubbio La dama rossa uccide sette volte, del 1972, per la regia di Emilio Miraglia. Anche in questo film l’elemento gotico convive con quello thriller, sebbene il primo non abbia il peso che presenta nel romanzo in analisi.
Il nostro romanzo rappresenta un’eccezione alla struttura classica del sotto-filone. La macchinazione di una vendetta su base familiare non avviene per motivi finanziari. Il romanzo di Laura Toscano modellerà la sua trama andando a trattare il duplice tema della follia e del senso di colpa e questo lo rende un prodotto fuori dal coro. Il mezzo attraverso il quale l’antico fantasma compirà la sua vendetta prenderà forma attraverso il topos letterario della maschera.
Altri due thriller che hanno come motore della trama la maledizione sono La morte negli occhi del gatto, thriller gotico di Margheriti, e L’assassino ha riservato nove poltrone.
Storie di intere casate sterminate, di assassini che risorgono dalle tombe per vendicare un torto patito, patrimoni che vengono sottratti con il delitto (o i delitti) o antiche pazzie che riprendono corpo: in qualunque modo venga declinato questo sotto-filone della maledizione nel cinema o su carta, resta il fatto che nulla di tutto questo è creazione del genere thrilling in senso stretto, ma è al contrario un’eredità ricevuta dal giallo classico, creatore di questo florido sotto-filone.