IO, DANIELA

E’ in uscita a breve per le Edizioni Il Foglio Letterario il libro autobiografico IO, DANIELA, scritto con la collaborazione di Gordiano Lupi e con la filmografia e una presentazione di Roberto Poppi. Al termine del volume sono presenti anche un’appendice curata da Matteo Mancini e un’intervista confessione che l’attrice ha rilasciato al nostro webmaster Davide Longoni.

Dalla quarta di copertina si legge: “Daniela Giordano percorre un breve tratto di quella lunghissima strada che si chiama cinema italiano (1967-1980). E lascia il segno. Meno formosa (ma più bella e brava) di altre colleghe che imperversano nel periodo, non ama spogliarsi, ma lo fa con ironica eleganza quando il copione lo prevede. Commediante di razza, interpreta molti film divertenti, a volte migliori dei titoli imposti dalla produzione o distribuzione. Reginetta del western, si distingue da par suo anche in altri generi come l’avventuroso, il giallo e l’horror. Lavora con autori prestigiosi e validi mestieranti, che non sempre valorizzano le sue indubbie capacità recitative. Ma la sua presenza buca lo schermo, come si dice in gergo. Il cinema lo abbandona ancora giovanissima, quando si rende conto della brutta piega che sta prendendo. Percorre altri itinerari, che ama come ha amato il cinema…”.

Diamo ora una lettura alla presentazione di Roberto Poppi: “Miss, mia cara miss… canticchiava il principe De Curtis, convinto di aver incontrato per caso l’amore a Messina sui sedili di una littorina che, gremita, era partita da Canicattì. Qualcuno si chiederà, con giusta ragione, cosa abbia a che fare Totò con la presentazione di un libro scritto, in buona parte, da un’attrice. Che non è di Messina e neppure di Canicattì. Nulla, o forse tutto. Le presentazioni o prefazioni sono, almeno per me, un atto d’amore dovuto, quando le sento come intima esigenza. Devo crederci. Non appartengo alla categoria degli svogliati prezzolati che scrivono tanto per dire qualcosa. Il vecchio, caro amico Morando Morandini (uno dei bersagli preferiti di Gordiano Lupi, coautore di quest’opera) mi diceva: “sono l’unico al mondo che le legge”. Spero di no, perché Morando è morto. Mi piaceva, molto semplicemente e romanticamente, l’abbinamento miss e treno. Anche se non so, ma poco importa, se i tanti viaggi giovanili che Daniela Giordano ha intrapreso (Trapani Milano, Milano Palermo, Palermo Salsomaggiore, Palermo Nizza, Roma e ancora l’amata Sicilia) siano avvenuti su un treno, un’automobile o un aereo. In quei viaggi c’erano amore, sogni, speranza di cambiamento, un’altra vita.

Questo libro, che avete sottomano, è il frutto di un albero che si chiama passione. Daniela si racconta: vita e miracoli sui set, in giro per Italia ed Europa, dalla piccola Manziana, location di western, a Barcellona, Madrid, Il Cairo e Monaco di Baviera. Lo fa, a volte, con distaccata ironia, con qualche rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato, ma anche con il consapevole entusiasmo che procura l’aver partecipato a pellicole che resteranno nella storia del cinema italiano. Non tutto è andato per il giusto verso e Daniela, consapevolmente, lo confessa: “Ho incontrato tre Mario, notoriamente bravi registi di film di successo, e sono finita sui set dei loro peggiori o meno fortunati” (si riferisce a Bava, Caiano e Landi).

E Gordiano Lupi racconta i suoi film, con la nota competenza.

Daniela Giordano non ha “santi in paradiso”, non li cerca e non li vuole, che sarebbe un facile gioco per lei, la donna più bella d’Italia e non solo, averne a bizzeffe. Eppure, con le sue sole forze, compare in trentotto film dal 1967 al 1980 (con un ritorno di fiamma in anni recenti), che è quasi un record. Non diventerà mai la “diva”, quella dei gossip o protagonista di saggi eruditi. Non incontrerà Antonioni, Fellini o Visconti. Ma il suo volto, il suo sorriso (e anche no), per noi che abbiamo amato quel cinema visto in sale con sedie di legno e il fumo di tante sigarette che ingrigiva anche il luminoso fascio di luce del proiettore, sarà per sempre più importante delle pur imprescindibili opere d’autore e delle loro grandi e sofferenti interpreti.

Daniela smette perché è stanca di piccoli film. Non vuole più spogliarsi per militari in libera uscita. Non ama svestirsi e vorrebbe recitare. Preferirebbe altri Inquisición (il suo lavoro più importante che la distribuzione italiana colpevolmente ignora) o anche un bel western, genere che ama. Ma i tempi sono cambiati, il cinema italiano sta rotolando nel profondo di abissi oscuri.

Forse, da parte sua, c’è stata qualche scelta sbagliata. Qualche ruolo insignificante accettato per amicizia o semplicemente alimentare. Un regista (con cui Daniela ha lavorato, ma non ne faccio il nome) che interpellai tanti anni fa per rimproverargli benevolmente molti film inutili mi rispose sorridendo e parlando in romanesco: “Aho, che te devo di’, io so fa’ solo er regista e devo pure magnà!”. Molto più realisticamente, però, la colpa ricade su produttori e registi affetti da grave miopia, convinti che la Nostra andasse bene soprattutto come bella bambolina per film dall’incasso facile. E sbagliavano.

A Daniela, parafrasando il verso di un brano capolavoro di Sergio Endrigo, è mancata sempre quella lira per fare un milione. O forse il cinema è stato soltanto una bella avventura che come tutte le avventure, inevitabilmente finisce.

Alla critica, quella con la toga ben stirata, che scriveva per le riviste d’élite, pubblicava libri che non leggeva nessuno o si faceva bella sui quotidiani che contavano, i film di Daniela Giordano e tutta l’allegra e simpatica brigata che riempiva le sale cinematografiche negli anni ’60 e ’70 (posti in piedi, c’era scritto con la biro su un cartoncino, ben visibile all’entrata e davanti al viso sorridente della cassiera) neppure vuole vederli. Invece li vedono, sciaguratamente, altri critici, nomi meno altisonanti o addirittura senza nome (i Vice e Anonimo di cui l’umanità mai conoscerà la loro identità). Questi signori, rare eccezioni a parte che confermano la  triste regola, si limitano a poche righe, parole sempre uguali. E liquidano, stroncano senza pietà. Non è questo il cinema (con la c rigorosamente minuscola), sentenziavano, non possiamo perdere tempo a parlare di simili stupidaggini.

Dovrà trascorrere qualche decennio e saranno studiosi più consapevoli che rivaluteranno quel piccolo cinema, specchio di una società complessa, forse ancora da studiare compiutamente.

Se avessi incontrato Daniela Giordano nel 1980, l’anno del suo ultimo, brutto film, le avrei detto: “Eh no, mia cara. Mica ci puoi abbandonare così. Ti abbiamo amata. Non arrenderti”. Ma forse ha avuto ragione lei.

La vita non è un treno che corre su un binario unico con destinazione definita. Ci sono i deviatoi, gli scambi. E Daniela ha azionato la leva cercando e trovando altri binari.

Sempre treni, che sono metafore dell’esistenza.

Miss, mia cara miss…”.

Buona lettura.

A cura della redazione