Barry Nathan Malzberg, nato nel 1939, è un autore che si distinse in campo SF a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, con una serie di racconti e romanzi che si distinguevano per preziosità stilistica e scavo psicologico dei personaggi, con una certa carica intellettualistica e introspettiva, anche quando affrontavano temi classici come i viaggi spaziali e le visite aliene. Fra i suoi romanzi ricordiamo Oltre Apollo (“Beyond Apollo”, Premio John W. Campbell 1973) e Nella gabbia (“In the enclosure”, 1973).
Il numero del luglio 1975 della rivista F & SF, pubblicò A galaxy called Rome (edizione italiana: Una galassia di nome Roma, ROBOT n. 18, settembre 1977), uno scritto di Malzberg che si apre con queste parole:
“Questo non è un racconto, ma una serie di appunti.”
Malzberg racconta che John W. Campbell, celebre editore e scrittore di SF, scrisse poco prima della sua morte, avvenuta l’11 luglio 1971, due editoriali per la sua rivista Analog in cui abbozzava lo sfondo per un romanzo: una galassia nera, nata dall’implosione di una stella neutronica, le cui forze gravitazionali sarebbero tali da imprigionare ogni cosa nel loro raggio d’azione, inclusi la luce, lo spazio e il tempo. Un’astronave intrappolata in questa galassia non potrebbe far altro che ritornarvi, tutto porterebbe a essa, così come tutte le strade portano a Roma.
Malzberg parte da questo punto non per costruire una trama o una narrazione compiuta, ma per proporre al lettore una serie di varianti possibili. Nei 14 capitoli del suo lavoro Malzberg espone un potenziale romanzo nel suo divenire, fra punti fermi, abbozzi di personaggi, spunti rifiutati o sviluppati.
Così l’autore propone l’anno 3892, l’astronave si chiama Skipstone, viaggia più veloce della luce grazie alla “spinta tachionica”. La nave cade in Roma e tutto il romanzo s’impernia sui tentativi di uscirne. Dopo un breve confronto fra il mistero dello spazio e quello della cittadina di provincia in cui vive, Malzberg comincia a definire meglio la trama. L’anno ora è il 3895, la Skipstone ha un equipaggio quasi del tutto composto da “cadaveri”, ovvero un personale composto da 515 elementi, altamente specializzati ma ibernati. Il comandante è Lena, una donna di 28 anni, l’unica persona cosciente sulla nave. Durante il sonno i “cadaveri” si possono ammalare e morire come chiunque, ma la tecnologia dell’epoca sarà in grado di resuscitarli quando arriveranno a destinazione, una non meglio precisata colonia umana. Lena infatti di mestiere fa questo: traghettare “cadaveri” dalla Terra alle colonie.
Dopo aver tentato, senza riuscirci, di dare una caratterizzazione psicologica a Lena, Malzberg passa al naufragio in Roma. Ma prima bisogna dare una connotazione scientifica plausibile a Roma… e Malzberg passa in rassegna una serie di teorie su come potrebbe essere composta – e agire – una galassia neutronica, e che effetti avrebbe sul fisico e sulla psiche di Lena. Lena potrebbe impazzire, potrebbe fare cose morbose e distorte. Meglio ancora morirebbe e rinascerebbe molte volte a causa delle leggi fisiche di Roma, così diverse dalle nostre.
Le possibili varianti a queste trame si moltiplicano, e l’aspetto più affascinante di Una galassia di nome Roma è proprio dovuta al fatto che Malzberg riesce sempre a mantenere uno stile vorticoso, dotato tanto del tipico sense of wonder di una space opera, quanto di un’ironia mordace nel mostrare e poi scardinare i meccanismi tipici del narratore di genere. Malzberg talvolta si lascia andare a momenti narrativi veri e propri. Nel capitolo 10 ad esempio racconta del risveglio di alcuni cadaveri e del loro relazionarsi con Lena, calando l’episodio in un’atmosfera onirica di grande forza e suggestione. Ma subito dopo “esce” dal racconto, si rivolge al lettore, rinnega lo sviluppo precedente e ne propone uno nuovo. Sempre sotto il segno – più che della parodia – di un sarcasmo che sembra rivolto a se stesso e alle pretese dello scrittore di infondere ogni volta qualcosa di nuovo o di comunicare grandi significati e contenuti in schemi già ampiamente sfruttati.
Il finale, definito solo potenziale e quindi variabile, è ancora all’insegna di un umorismo irresistibile e auto-denigratorio, e tutto il lavoro finisce con l’essere una lettura stimolante e affascinante, e allo stesso tempo divertente e spiazzante.
Alla fine del 1976, Barry Malzberg annunciò il suo ritiro dalla fantascienza. Nel febbraio 1977 scrisse l’articolo What happened to science-fiction?, in cui motivava la sua decisione con il fatto che i libri degli autori più sperimentali o innovativi, come lui stesso, Robert Silverberg o Harlan Ellison non venivano più ristampati, dando spazio solo ad autori più classici. Nello stesso articolo Malzberg definisce così Una galassia di nome Roma:
“Non fu il mio ultimo racconto di fantascienza, ma fu quello in cui tentai di schematizzare tutto ciò che ero giunto a capire di questo genere di letteratura (…) e ora mi sembra simile a un addio.”
La sua antologia Down here in the dream quarter (che raccoglie anche Una galassia di nome Roma) fu annunciata come il suo effettivo addio al genere, e uscì nel 1976. In seguito Malzberg continuò a curare antologie di racconti di SF di altri autori, e solo sporadicamente scrisse ancora racconti di SF, ma per lo più si dedicò a racconti e romanzi polizieschi, spesso in collaborazione con Bill Pronzini.