Nel maggio del 1962 uscì il n. 31 dei “Dracula”, primo romanzo di uno degli scrittori più prolifici della collana. Parlo de I sussurri delle streghe di Frank Graegorius, alias Libero Samale, psichiatra e medico della mutua irrequieto e geniale, interessato alla magia, all’antropologia e alla stregoneria (pare fosse un bibliofilo, arrivato a possedere più di 10.000 libri rari di esoterismo e occultismo), materie che approfondì e utilizzò per la stesura dei suoi romanzi, infittiti di leggende e folclore.
Ne I sussurri delle streghe Graegorius/Samale ci porta a Rock Glendall sorta di Arkham lovecraftiana, luogo isolato da una vegetazione pietrosa e boschiva; i popolani di Rock Glendall non differiscono molto da quelli di Arkham o Salem, chiusi nelle loro superstizioni e paure, avvelenati dai grimoires occulti delle streghe, trasmutati in vecchi mummificati, adepti inconsci di capre infernali che belano, altri doppi di Inshmouth in chiave gotica e folclorica.
Samale inscena un teatrino di burattini che sembra rimandare a una digitale purpurea pascoliana rivista alla luce di passioni ancestrali e voluttuose offerte sessuali, con streghe vampiresche, ancora confuse le une nelle altre. Paurosi cerimoniali magici percorrono le pagine agili del libretto. I sussurri sono incentrati su delle pietre neolitiche (dei dolmen, dei ringstone arcani dalla forma vagamente antropomorfa) presso le quali fu bruciata nel XVII secolo la strega di turno, una certa Isolda, lamia disciolta nelle porosità argillose delle pietre, fusa in quegli altari arcani (e di pietre e altari di cemento parlerà nell’oggi lo scrittore gotico Matteo Manferdini da Vercelli…), veri portali verso chissà quali abissi dell’orrore (in questi passaggi evocativi, tipici della prosa indefinita di Samale, sembra quasi di avvertire degli echi freschissimi del solitario di Providence – in quel 1962 di Lovecraft in Italia s’era visto poco: nel 1960 era uscito il racconto The rats in the walls, tradotto da Bruno Tasso nell’antologia Un secolo di terrore della Sugar; sempre nel 1960 uscì l’antologia Einaudi curata da Fruttero&Lucentini Storie di fantasmi, contenente ben tre racconti; poi bisognerà aspettare il 1963 per altre traduzioni).
Samale, come Lovecraft, suggerisce più che mostrare i suoi orrori e si appassiona fin da subito a un sotto mondo popolare e folclorico da cui attingere gli spunti per le sue storie. La melopea dello scrittore psichiatra corre parallela (senza mai toccarsi veramente, come buona parte dei romanzi di questa collana) al coevo cinema horror italiano: la strega Isolda aveva avuto come sorelle cinematografiche la lamia interpretata da Barbara Steele nella pellicola di Bava, La maschera del demonio, film del 1960 che Samale poteva aver visto benissimo, affascinato forse da quell’incipit di torture e martirio a cui viene sottoposta la strega Asa, femmina repressa e isterica, affetta da quelle patologie isteriche che troveranno terreno fertile nei nostri gotici (a partire dal bellissimo Malombra di Soldati, allucinato ritratto di reincarnazioni e delitti sul Lago di Como; o alle altre femmine sonnamboliche dell’altrettanto bello Danza Macabra o al suo remake Nella stretta morsa del ragno, entrambi di Antonio Margheriti, uno dei maestri del genere).
Tuttavia Samale, in alcuni stralci della storia, sembra anticipare le allucinazioni fosforescenti di certi tardi gotici degradati (penso alla scena del ragno gigante, non lontana dal satanismo papista del finale di Murder Obsession di Freda, del 1980); oppure certe pellicole d’autore, gotici marxisti di metà anni ’70 come Hanno cambiato faccia di Corrado Farina o La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado, qui richiamate da alcuni passaggi suggestivi come questo: “Oggi no. La gente accetta i demoni e li accarezza, fornendo loro le armi della cultura e del pensiero. Ne derivano mostruosità senza nome; stragi collettive, bombe atomiche, guerre di distruzione e di sterminio, angoscia nei giovani, disonestà in politica, corruzione nell’amministrazione pubblica, sfacelo della morale, noia, pazzia collettiva… I vampiri secondo te non ci sarebbero più, in America e altrove? Sbagli, George. Essi oggi stanno fra la gente per bene, e se non succhiano più sangue, è perché non ne hanno più bisogno. Preferiscono sottrarre all’uomo la volontà, il pensiero, il sentimento, la gioia, la forza vitale e ne restano che delle povere larve umane, dei cadaveri ambulanti”.
Così ci deliziava Frank Graegorius in questo romanzo paraletterario, di grana grossa, ma ricco di spunti e idee, che non ha paura di sporcarsi le mani con il carnevale e le esagerazioni del genere.
(2 – continua)