ITALIA MAGICA & NECROFILA – BILANCIO CRITICO SUI “CAPOLAVORI” DEI “RACCONTI DI DRACULA” (E IL GOTICO ITALIANO) – PARTE 06

La vecchia poltrona, n. 20 del 1961, scritto da Max Dave (Pino o Carlo? La cosa è dibattuta). Fino a quel momento i film gotici italiani avevano giocato con l’immaginario collettivo delle streghe, dei vampiri, quasi sempre calati tra le nebbie nordiche del Gallese, dell’Irlanda o le campagne magiare dell’Europa orientale; Dave, con questo libretto, prende un’altra strada, giocando col thriller claustrofobico, da camera.

Anzitutto sgombriamo il campo ai dubbi: sul libretto esiste una questione irrisolta, riguardante le sue somiglianze con Lo spettro di Freda, film di poco successivo. E’ indubbio che la storia di Max Dave sia stata copiata pari pari da Freda senza comprare i diritti. I personaggi sono gli stessi, hanno i medesimi nomi e molte battute del libro finiscono identiche nella sceneggiatura. Diciamo che Freda e Oreste Bianconi arricchiscono il plot minimale, aggiungendo molte scene inesistenti nel libro (penso alla sequenza della cassaforte, la discesa nella cripta per disseppellire il corpo decomposto del dottore e l’omicidio dell’amante da parte di Barbara Steele). Vi sono delle differenze anche nei caratteri dei personaggi: nel libro la vedova è molto più coraggiosa rispetto all’isterica Steele, mentre il personaggio dell’amante medico (nella pellicola Peter Baldwin) è assai instabile e pauroso. Inoltre il libro accentua la componente teatrale della storia, giocando quasi solo sui dialoghi, tanto che molte pagine non hanno praticamente descrizioni e paiono delle drammaturgie. Nel film, l’oggetto perturbante è il vecchio carillon del dottore deceduto, nel libro la vecchia poltrona; e ancora nel film la polizia è quasi completamente assente, cosa che non si può dire del romanzo, dove la coppia di poliziotti che indaga sulla strana morte della cameriera (che in Freda era complice del finto defunto dottor Hickcock) intuisce quasi subito la tresca ordita dalla coppia diabolica.

In definitiva, leggendo le pagine scarnificate e veloci di Dave, sembra che la fonte di questo libro sia da ricercare nel giallo, o persino nel noir, visto che il soggetto non è molto lontano da quello de Il postino suona sempre due volte di Cain o dai diabolici intrighi messi in scena da Boileau & Narcejac. Ad accentuare questa impressione è l’ambientazione metropolitana del romanzo, lontana da quella sepolcrale, gotica, di Freda.

Il finale di Max Dave inoltre, pur non avendo a mio avviso l’incisività del film, conserva un suo fascino, lasciando irrisolta la faccenda, senza spiegare veramente se il sovrannaturale esista o meno.

Uno dei Dracula più originali e anomali, unica volta in cui questa collana ha fornito un soggetto originale per la realizzazione di uno dei gotici degli anni ’60 (nei KKK accadrà lo stesso solo per La vergine di Norimberga).

(6 – continua)

Davide Rosso