Non diverso il discorso con un altro capolavoro di Tozzi, “La femmina dell’homunculus” del 5 aprile del 1960.
Praticamente uno dei primissimi romanzi e con una trama originalissima (alchimisti medievali, creature fabbricate artificialmente grazie all’ausilio delle scienze psichiche, rilette dalle astruse conoscenze dello scrittore) che non rimanda a nulla di quanto Polselli, Bava, Freda e Ferroni andavano facendo in quegli anni.
L’homunculus di Tozzi rilegge i filamenti delle evocazioni alchemiche con un putridume esoterico acceso dal fosforo scomposto delle parole; un romanzo automatico, pieno di sonnambuli, trance, stati inceppati della veglia. Tozzi satura il tutto come nei libri precedenti, arrivando quasi ad una prosa medianica, capace di rilanciare sempre la pagina verso i suoi bordi, i suoi fuori campo, alla ricerca di una morfologia del deforme, dello sbagliato, dell’incompiuto. Un’opera ipnotica, una grottesca, macabra, parodia di un film lacrimogeno!
(9 – continua)