Un nuovo articolo pubblicato qualche tempo fa sulla rivista Scientific American ha lanciato un’interessante provocazione: partendo da una ipotesi tipica della fantascienza, ci si è chiesti quali segni dovremmo cercare negli strati geologici delle ere del passato per dimostrare l’esistenza di una civiltà altamente industrializzata precedente alla nostra?
Tutti gli studiosi dell’argomento, sostengono ad esempio che Atlantide sia stata una civiltà altamente progredita, probabilmente molto più della nostra, e che sia collassata a causa di un qualche disastro, causato dall’uomo o dalla natura, e che abbia lasciato qualche traccia a dimostrazione proprio della sua esistenza.
Ebbene, per dare delle risposte, gli autori della studio sono partiti dalle ipotesi sulle tracce che questi ultimi 300 anni di uso intenso delle risorse naturali del nostro pianeta e di distruzione dell’ambiente lasceranno dietro di sé nel prossimo futuro.
Una delle conclusioni più inquietanti tratte dagli scienziati che studiano l’Antropocene – ovvero l’epoca della storia geologica della Terra in cui le attività dell’umanità dominano interamente il globo terrestre influenzandone profondamente le attività – è quanto strettamente il cambiamento climatico indotto attualmente dalle attività industriali assomigli a condizioni osservate in periodi passati in cui si è potuto registrare un rapido aumento della temperatura.
“Questi ipertermali, cioè eventi di picco della temperatura della preistoria, sono la genesi di questa ricerca”, dice Gavin Schmidt, esperto di modelli climatici e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA. “Non importa se il riscaldamento è stato causato dall’uomo o dalle forze naturali: le impronte digitali, i segnali chimici e le tracce che costituiscono le prove di ciò che è accaduto in quel periodo sono molto simili tra loro”.
L’esempio di riferimento di ipertermale da cui si è partiti è il cosiddetto Massimo Termico del Paleocene-Eocene (chiamato anche PETM), un periodo di 200.000 anni, situato temporalmente circa 55,5 milioni di anni fa, in cui le temperature medie globali aumentarono di 5-8 gradi Celsius.
Schmidt ha riflettuto sul PETM per tutta la sua carriera, analizzandone ogni dettaglio, finché non ha incontrato Adam Frank, astrofisico dell’Università di Rochester che voleva incontrarlo per discutere l’idea di studiare il riscaldamento globale visto da una “prospettiva astrobiologica”. Quello che Frank chiedeva a Schmidt era indagare se l’ascesa di una civiltà industriale aliena su un esopianeta avrebbe necessariamente innescato cambiamenti climatici simili a quelli che vediamo durante il nostro Antropocene terrestre.
Ma prima ancora che Frank potesse descrivere in che modo cercare gli effetti climatici delle “esociviltà” industriali sui pianeti scoperti di recente, Schmidt lo interruppe con una domanda sorprendente: “Come sai che questa è la prima civiltà sul nostro pianeta?”. Frank rifletté un momento, prima di rispondere a sua volta con una domanda: “Potremmo mai dire che è esistita una civiltà industriale molto prima di questa?”.
Il loro successivo tentativo di rispondere a entrambe le domande ha prodotto un articolo provocatorio sulla possibilità che la Terra abbia ospitato più di una società tecnologica durante i suoi 4,5 miliardi di anni di storia.
E se davvero una tale cultura fosse esistita sulla Terra molto prima di noi, come farebbero gli scienziati di oggi a individuare i segni di quell’incredibile sviluppo? Oppure, come dice l’articolo: “Se sulla Terra fosse esistita una civiltà industriale molti milioni di anni prima della nostra era, quali tracce sarebbero rimaste? E quali sarebbero rilevabili oggi?”.
Schmidt e Frank sono partiti dalla previsione delle impronte geologiche che l’Antropocene probabilmente lascerà dietro di sé: hanno in pratica analizzato i segni lasciati sulle rocce sedimentarie dalle temperature altissime e dal sollevamento dei mari.
Queste caratteristiche, hanno sottolineato i due, sono molto simili ai segni geologici del PETM e di altri eventi ipertermali. Hanno quindi considerato quali test potrebbero plausibilmente distinguere una causa industriale da cambiamenti climatici naturali. “Questi problemi non sono mai stati affrontati in alcun modo”, osserva Schmidt. E questo vale non solo per gli scienziati, ma evidentemente anche per gli scrittori di fantascienza, aggiunge: “Ho esaminato la letteratura di fantascienza per cercare una storia di una civiltà industriale non umana sulla Terra. La prima che ho trovato è in un episodio di Dottor Who”.
Quell’episodio del 1970 della classica serie televisiva riguardava la scoperta dei Siluriani, un’antica razza di umanoidi rettiliani tecnologicamente avanzati che avrebbero preceduto l’avvento degli umani di centinaia di milioni di anni. Secondo la trama, questi sauri altamente civilizzati prosperarono per secoli finché l’atmosfera della Terra entrò in un periodo di cambiamento catastrofico che costrinse l’Homo reptilia a entrare in letargo sottoterra per scampare al pericolo. Schmidt e Frank hanno reso così omaggio all’episodio intitolando il loro articolo: “L’ipotesi siluriana”.
Qualsiasi plausibilità dell’ipotesi siluriana deriva principalmente dalla vasta incompletezza delle registrazioni geologiche, che diventano sempre più rade più si va indietro nel tempo.
“Oggi, meno dell’1 per cento della superficie terrestre è urbanizzata e la possibilità che una qualsiasi delle nostre grandi città rimanga per decine di milioni di anni è estremamente bassa”, dice Jan Zalasiewicz, geologo dell’Università di Leicester. Il destino finale di una metropoli infatti dipende in gran parte dal fatto che la superficie circostante si abbassi (per essere sepolta nella roccia) o si sollevi (per essere erosa via dalla pioggia e dal vento). “New Orleans sta sprofondando; San Francisco si sta sollevando”, spiega. Sembra perciò che il quartiere francese abbia molte più possibilità di Haight-Ashbury di entrare nelle registrazioni geologiche.
“Per stimare le probabilità di trovare artefatti”, afferma Schmidt, “basta considerare che un calcolo approssimativo indica che emerge un fossile di dinosauro ogni 10.000 anni”. Le impronte di dinosauri sono ancora più rare.
“Dopo un paio di milioni di anni”, dice Frank, “è probabile che qualsiasi ricordo fisico della nostra civiltà sia svanito, quindi occorre cercare altri elementi, quali anomalie sedimentarie o rapporti isotopici”. Le ombre di molte civiltà pre-umane, in teoria, potrebbero nascondersi in questi dettagli, ma sono proprio questi dettagli a essere di difficile interpretazione.
Quello che si dovrebbe cercare esattamente dipende in una certa misura dal modo in cui una cultura tecnologica terrestre, ma aliena rispetto alla nostra, avrebbe scelto di comportarsi.
Schmidt e Frank hanno deciso che l’ipotesi più sicura sarebbe stata che qualsiasi civiltà industriale attuale o di centinaia di milioni di anni fa dovesse avere bisogno soprattutto di energia. Il che significa che qualsiasi antica società industriale avrebbe sviluppato la capacità di sfruttare intensamente i combustibili fossili e altre fonti di energia, proprio come abbiamo fatto noi oggi. “Dovremmo andare alla ricerca di effetti globalizzati che avrebbero lasciato tracce in tutto il mondo”, cioè tracce chimico-fisiche su scala planetaria dei processi industriali ad alta intensità energetica e dei loro rifiuti, dice Schmidt.
Segue poi la questione della longevità: più a lungo persiste e cresce il periodo ad alta intensità di energia di una civiltà, più evidente è la sua presenza nelle registrazione geologica.
Consideriamo la nostra stessa era industriale, che esiste praticamente solo da circa 300 anni, su milioni e milioni di anni di storia dell’umanità. Confrontiamo ora quel minuscolo arco temporale con il mezzo miliardo di anni in cui le creature hanno vissuto sulla Terra. L’attuale fase dell’umanità, caratterizzata da un uso smodato di combustibili fossili e dal degrado ambientale, dice Frank, è insostenibile per lunghi periodi. Col tempo finirà, o per scelta degli esseri umani o per la forza della natura, rendendo l’Antropocene meno un’epoca duratura e più un istante nelle registrazioni geologiche. “Forse una civiltà come la nostra c’è stata più volte, ma se ognuna è durata solo 300 anni, nessuno la vedrà mai”, dice Frank.
Tenendo conto di tutto questo, ciò che rimane è una gamma di tracce diffuse e di lunga durata, compresi i residui di combustione di combustibili fossili (carbonio, principalmente), prove di estinzioni di massa, inquinanti plastici, composti chimici sintetici non presenti in natura e persino isotopi transuranici da fissione nucleare. In altre parole, ciò che avremmo bisogno di cercare nelle registrazioni geologiche sono gli stessi segnali distintivi che gli esseri umani stanno lasciando ora dietro di loro.
Trovare i segni di un ciclo del carbonio alterato sarebbe un grande indizio dei precedenti periodi industriali, afferma Schmidt. “Dalla metà del XVIII secolo, gli esseri umani hanno rilasciato circa 500 miliardi di tonnellate di carbonio fossile a tassi elevati. Tali cambiamenti sono rilevabili nei mutato rapporto isotopico tra carbonio biologico e carbonio inorganico, cioè tra il carbonio incorporato in oggetti come le conchiglie e ciò che si trova invece nella roccia vulcanica senza vita”.
Un altro tracciante sarebbe uno specifico schema di deposizione dei sedimenti. I grandi delta costieri indicherebbero un aumento dei livelli di erosione e fiumi (o canali artificiali) ingrossati dall’aumento delle precipitazioni. Tracce rivelatrici di azoto nei sedimenti potrebbero suggerire l’uso diffuso di fertilizzanti, indicando come possibile responsabile l’agricoltura su scala industriale; picchi nei livelli di metalli nei sedimenti potrebbero invece indicare acque reflue di manifatture e altre industrie pesanti.
Tracce più uniche e specifiche sarebbero molecole sintetiche stabili, non naturali come steroidi e molti materiali plastici, insieme a inquinanti ben noti tra cui i PCB, i bifenili policlorurati tossici derivanti da dispositivi elettrici, e i CFC, i clorofluorocarburi che consumano ozono provenienti dai frigoriferi e dalle bombolette spray.
La strategia chiave per distinguere la presenza dell’industria dalla natura, osserva Schmidt, è sviluppare una firma multifattoriale. In mancanza di artefatti o marcatori chiari e convincenti, l’unicità di un evento può essere vista in molte impronte digitali relativamente indipendenti rispetto al coerente insieme di cambiamenti che sono considerati associati a una singola causa geofisica.
“Trovo incredibile che nessuno abbia mai lavorato prima a questo problema, e sono davvero felice che qualcuno abbia dato un’occhiata più da vicino”, dice l’astronomo della Pennsylvania State University Jason Wright, che l’anno scorso ha pubblicato un articolo esplorando l’idea poco intuitiva che il miglior posto per trovare le prove di una delle presunte civiltà preumane della Terra potrebbe benissimo essere fuori dal mondo. Se, per esempio, i dinosauri avessero costruito razzi interplanetari, presumibilmente alcuni resti di quell’attività potrebbero rimanere preservati in orbite stabili o sulla superficie di corpi celesti geologicamente più inerti come la Luna.
“200 anni fa, la domanda se ci potesse essere una civiltà su Marte era legittima”, dice Wright. “Ma una volta che sono arrivate le immagini dalle sonde interplanetarie, il problema è stato risolto per sempre. E questa idea si è radicata, al punto che questo non è un argomento valido per la ricerca scientifica; è considerato ridicolo. Ma nessuno ha mai posto realmente limiti scientifici su ciò che può essere successo molto tempo fa”.
Wright riconosce anche la possibilità che questo lavoro possa essere male interpretato. “Certamente, qualunque cosa dica, sarà interpretato come Gli astronomi dicono che i Siluriani potrebbero essere esistiti, anche se la premessa di questo lavoro è che non ci sono prove del genere”, dice. “”Ancora una volta, l’assenza di prova non è prova di assenza”.