DELIRIO ALL’ULTIMA PALLOTTOLA – TUTTO IL CINEMA DI MICHELE SOAVI 03

Deliria, sulle orme del thriller di Argento

SCHEDA TECNICA

Nazione: Italia – Anno 1987

Durata: 89 minuti

Cast: David Brandon, Don Fiore, Barbara Cupisti, Giovanni Lombardo Radice, Anacleto Papa, Mickey Knox, Robert Grigorov, Loredana Pamela, Martin Philips, James E.R. Sampson, Ulrike Schwerk, Mary Selers, Jo Anne Smith, Piero Vida.

Regia: Michele Soavi.

Soggetto e sceneggiatura: Luigi Montefiori.

Musiche: Simon Boswell – Musiche dei balletti: Stefano Mainettin e Guido Anelli.

Montaggio: Rosanna Landi.

Direttore della fotografia: Renato Tafuri.

Produzione: Filmirage.

Gran premio sezione paura al Festival internazionale del film fantastico di Avoriaz.

Deliria segue di un anno Dario Argento’s world of horror, documentario di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo. Per inquadrare bene Deliria dobbiamo tener presente Opera di Dario Argento, dove Soavi è regista della seconda unità e mette molta della sua genialità visionaria al servizio del film. In Opera c’è anche un’apparizione fugace di Soavi come attore: è il poliziotto incaricato di sorvegliare l’abitazione della protagonista che viene ucciso dallo spietato killer. Da notare che nella finzione filmica Soavi utilizza il suo vero nome. Abbiamo già detto che nella struttura della trama e nelle atmosfere Deliria risente molto di Opera e delle precedenti esperienze fatte con Dario Argento. Persino il titolo surreale, che inquadra bene il film e il crescendo di follia che lo pervade ma che non è certo un titolo ordinario. Era il periodo in cui Argento sfornava titoli come Tenebre, Suspiria, Phenomena e Soavi segue il suo esempio.

Il film è presentato da Donatella Donati e Aristide Massaccesi (Joe D’Amato) e il titolo provvisorio era Acquarius. A ricordarlo sono rimaste le luci fredde da acquario di Renato Tafuri, ottimo direttore della fotografia, e alcune immagini iniziali di acquari con pericolosi pesci tropicali in primo piano.

Al tempo piovvero molte critiche ingenerose su questo primo lavoro di Soavi. Alcuni scrissero che la trama era banale e poco interessante, altri lo classificarono uno slasher, debole, fiacco e privo di ritmo e tensione. La nostra opinione è diametralmente opposta. Ma vediamo la trama.

L’azione si svolge quasi tutta in interni, anche se l’ambientazione è localizzata in una non meglio precisata città degli Stati Uniti. La pioggia incessante accompagna le poche immagini girate in esterno e la presenza di un gatto nero è il filo conduttore che conduce per mano sino al crescendo dei macabri eventi. Siamo in un teatro dove una compagnia sta provando un musical-horror ispirato alle gesta criminose di un perfido assassino interpretato da David Brandon. Alice, una delle ballerine del gruppo, si sloga una caviglia e Betty (un’inserviente che lavora dietro le quinte) la accompagna all’ospedale. Caso vuole che nei dintorni ci sia soltanto un ospedale psichiatrico, quello dove è rinchiuso il pazzo criminale Irving Wallace. Proprio l’omicida che la compagnia sta mettendo sulla scena, noto come lo squartatore, internato per aver ucciso e fatto a pezzi sedici donne.

Mentre Alice viene medicata il maniaco si libera dal letto di contenzione e fugge dalla camera, dopo aver ucciso l’infermiere piantandogli una siringa nel collo. Quando le due donne fanno ritorno in teatro non si rendono conto che il pazzo si è infilato nella loro auto. Betty è la prima vittima dell’assassino, che la uccide con un colpo di piccone alla bocca mentre si reca nel parcheggio a spengere i fari dell’auto. Il maniaco subito dopo ruba le chiavi del teatro e si nasconde all’interno dietro le quinte. Il regista privo di scrupoli pensa di poter sfruttare il delitto per fare pubblicità al musical. Prima modifica la trama inserendo il fatto reale dell’omicidio nella finzione scenica, poi vuole continuare le prove anche di notte. La polizia intanto sorveglia l’ingresso del teatro e nessuno sospetta che l’assassino è chiuso all’interno con gli attori.

Il killer prende il posto del protagonista del musical e si traveste con la maschera da gufo per uccidere un’attrice ed è in questo istante che cadono le chiavi sul palco (si nota soltanto con molta attenzione), dove le ritroveremo alla fine del film. Qui abbiamo una scena ricca di suspence con l’omicida che viene incitato a uccidere dallo stesso regista. Nessuno sa che si tratta del maniaco e che colpirà con un coltello l’inconsapevole attrice. A questo punto la compagnia diventa prigioniera nel teatro e si scatena un crescendo di terrore con Wallace che uccide gli attori uno a uno utilizzando gli strumenti dell’azione scenica. È un vero massacro a colpi di coltello, piccone e sega elettrica.

Nell’avvincente finale la lotta tra il bene e il male è ben rappresentata dallo scontro tra il killer con la maschera da gufo e Alice. La scena con i cadaveri esposti sul palco e il maniaco in mezzo è quella che resta impressa a lungo nella memoria dello spettatore. Doppia suspense anche nel finale con il maniaco che pare non dover morire mai. Alice avrà la meglio con l’imprevisto aiuto del guardiano del teatro.

A nostro parere Deliria è un’eccellente opera prima e non si può sostenere che sia una pellicola priva di trama e di tensione, a meno che non si parta prevenuti nei confronti del cinema horror italiano. Accade  spesso che la critica sia portata ad apprezzare ogni prodotto targato U.S.A. e che al contrario sia ipercritica verso i lavori nostrani. Quello dell’esterofilia è uno dei nostri peggiori difetti, in ogni campo.

Deliria si ispira al modello dei “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie ed è un thriller del terrore di taglio classico dove l’azione si svolge in un’unità di tempo e di spazio. Diciamo che è cinema del terrore e non dell’orrore secondo la definizione classica da tutti accettata. Infatti nella pellicola non entrano mai elementi soprannaturali ma si verificano fatti orribili che nella realtà potrebbero anche accadere. Abbiamo un killer che colpisce un gruppo di persone riunite in un ambiente chiuso. Secondo Paolo Mereghetti il film è una variazione sul tema del Fantasma del palcoscenico (l’assassino qui ha una grossa maschera da gufo) ma le similitudini con Opera sono evidenti. Nel lavoro di Argento c’è un gruppo di cantanti lirici che provano e si esibiscono in teatro con un killer misterioso che uccide nei modi più macabri. Deliria segue lo stesso criterio, con la variante che si sa fin dall’inizio chi è l’assassino. La sorpresa non sta nella scoperta finale ma nel dove e nel come accadrà il prossimo delitto. Noi diremo (con Antonio Tentori) che Deliria è un buon film dotato di ritmo, musiche notevoli (alla Profondo Rosso di Dario Argento) e tensione in crescendo per tutta la durata della pellicola. Il colpo di scena finale è il degno coronamento di un lavoro che tiene incollati alla poltrona per un’ora e mezza e terrorizza al punto giusto. L’interpretazione degli attori merita un plauso perché tutti sono molto credibili e convincenti, cosa non usuale nell’horror italiano di quel periodo. Su tutti una formidabile Barbara Cupisti, la protagonista femminile superstite della mattanza, attrice cult del cinema di genere anni Ottanta.

Non era facile reperire una copia integrale di Deliria e fino a poco tempo fa circolava una versione purgata da tutte le scene di sangue, quella su cui la censura del tempo si era divertita a tagliuzzare senza criterio. Dalla visione di quella pellicola lo spettatore usciva confuso addirittura sul numero delle vittime e sulla loro identità (per forza, non le vede!). Adesso, per fortuna, è uscito un ottimo dvd integrale che potete reperire in una buona videoteca.

Il film è sceneggiato da Luigi Montefiori che si firma con l’americanizzante George Eastman, seguendo la moda di scrittori e registi horror che cercavano di vendersi al pubblico con il marchio di qualità d’oltreoceano. Soavi dimostra subito padronanza della macchina da presa e della tecnica filmica.

Deliria è un’opera che si abbevera alla fonte inesauribile della grande cinematografia americana che cita in numerose sequenze. È facile trovare la lezione di Carpenter nella figura del maniaco che non muore mai, neppure bruciato dalle fiamme. La citazione del Michael di Halloween salta subito agli occhi. Così come Non aprite quella porta di Tobe Hooper è ricordato dalle scene dove compare la motosega per commettere l’omicidio sulla falsariga di Leatherface (Faccia di Pelle). Immancabile l’omaggio al grande Hitchcock con la scena delle due docce che nascondono un’attrice moribonda e l’unica superstite che assiste inerme al massacro della compagna. Psycho è un film che ha condizionato gran parte della cinematografia mondiale e i registi italiani di quel periodo inseriscono immancabilmente nei loro film un omicidio nella doccia.

Il ritmo di Deliria è serrato, scandito dalle musiche dei sintetizzatori elettronici (moog) tanto di moda all’epoca. Simon Boswell e lo Studio Sound fanno del loro meglio per creare la tensione soprattutto quando il maniaco entra in scena. Come vedremo anche ne La Setta la musica sintetica è utilizzata per sottolineare i momenti di maggior suspense.

Sono due le scene memorabili di Deliria e le abbiamo già accennate durante la descrizione della trama. La prima è quella con il killer travestito da attore mentre strangola una ballerina sotto gli occhi del regista. Qui finzione e realtà si fondono in un crescendo di terrore  che cattura lo spettatore in un processo di immedesimazione negli occhi della vittima. Il regista ordina l’esecuzione convinto di essere nella finzione scenica e troppo tardi si rende conto che ci sono particolari che esulano dalla trama. Il coltello brandito in alto che si abbatte più volte sul corpo dell’attrice riporta tutti alla dura realtà. La seconda è la scena madre finale, con il killer che dispone sul palco gli attori trucidati e si siede in mezzo a loro con la maschera da gufo, accarezzando un gatto nero. L’omicida pare un sinistro dio del male in grado di decidere sulla vita e sulla morte e il gatto nero che si siede sulle sue gambe è il simbolo del suo potere. Quella che l’assassino mette in scena è una rappresentazione tragica di morte con le teste mozzate degli attori in posizione statica e i corpi riversi e insanguinati che stringono tra le labbra piume di uccello. È una scena forte che resta impressa negli occhi dello spettatore e che rimane a caratterizzare l’intera impalcatura del film.

È qui che si inserisce l’azione finale ad alta tensione. La  protagonista riesce a trafugare la chiave incastrata tra le assi del palco e scappa dopo un lungo ed estenuante corpo a corpo con il maniaco. Da non dimenticare anche il doppio finale, uno stratagemma spesso utilizzato anche da Dario Argento e in molte pellicole horror e thriller. Alice ha perduto l’orologio di grande valore durante la colluttazione con il mostro e un inserviente acconsente ad accompagnarla nel teatro che la polizia ha fatto chiudere. Il colpo di scena finale è dato dalla presenza del maniaco (incredibilmente vivo dopo essere stato avvolto dalle fiamme) che cerca per l’ultima volta di uccidere Alice prima di essere freddato da un colpo di pistola in mezzo alla fronte.

(3 – continua)

Gordiano Lupi, Maurizio Maggioni e Fabio Marangoni