La Setta satanica di Michele Soavi
“Quelli che appartengono a Dio hanno ricevuto questa fede una volta per tutte. Ma in mezzo a voi sono venuti certi uomini malvagi che usano la bontà del vostro Dio come pretesto per giustificare la loro vita immorale. Così essi si oppongono a Gesù Cristo, il nostro unico padrone e signore. Tuttavia, già da molto tempo, la loro condanna è prevista nella Bibbia… Alla fine dei tempi verranno degli impostori che si comporteranno male seguendo le loro passioni malvagie” (Lettera di Giuda 3-4 e 18).
Dopo La Chiesa, nel 1991 Michele Soavi dirige il nuovo film horror La Setta (“The Devil’s Daughter”) lungo 125 minuti, in hi-fi e di buon successo commerciale, prodotto da Mario e Vittorio Cecchi Gori e da Dario Argento per la Pentafilm/ADC Film Srl, reperibile in videocassetta Cecchi Gori Home Video (Pepite) e in dvd Cecchi Gori. Soggetto e sceneggiatura (pronta solo alla quinta riscrittura) sono di Dario Argento, Giovanni Romoli e dello stesso Soavi. Dario Argento fa da produttore a Michele Soavi e dà anche una mano nella sceneggiatura. Il film si avvale della stupenda fotografia del direttore Raffaele Mortes, mentre la scenografia viene curata da Massimo Antonello Geleng, gli effetti speciali di trucco sono del bravo Rosario Prestopino, gli effetti speciali di Massimo Cristofanelli, le creature fantastiche del solito ottimo Sergio Stivaletti, i costumi di Vera Cozzolino, gli arredi di Giacomo Calò Carducci, il montaggio di Franco Fraticelli-A.M.C., mentre le musiche spettano a Pino Donaggio e il fonico è Giancarlo Laurenzi.
Nel cast occorre citare: Kelly Curtis, Herbert Lom, Maria Angela Giordano, Michel Hans Adatte, Carla Cassola, Angelika Maria Boeck, Giovanni Lombardo Radice, Niels Gullov, Donald O’Brien, Richard Sammel, Giovanna Rotellini, Chiara Mancori e Tomas Arana nel ruolo di Damon.
Il movie si apre con una breve veduta della superficie di un laghetto americano, colpita da alcuni sassi. Due hippy bersagliano con le loro fionde un orologio della metropolitana, simbolo della civiltà dei consumi, rifuggita dal Movimento Hippy (il flower power). Siamo infatti nel 1970, nella desolata California meridionale, in una comune hippy con roulotte, installata presso questo specchio d’acqua. L’uso di marijuana e hashish, l’accenno a simboli pacifisti, i tattoos e le farfalle dipinte sul seno di una delle ragazze ci immergono nella contro-cultura dell’epoca, aliena dai compromessi e dalla violenza urbana. Le comunità hippy erano infatti una versione aggiornata dei culti dell’amore dell’Ottocento, come gli Agapemoniti, Laurence Oliphant o Barthélemy Prosper Enfantin. Più semplice e senza elementi misticheggianti, il Movimento Hippy riusciva a combinare in modo armonico l’amore spirituale e fraterno e la libertà dei rapporti sessuali (secondo Colin Wilson). Ma la pace solare dello sparuto gruppo di “figli dei fiori” del film di Michele Soavi sta per essere turbata da un male oscuro, dagli insani effetti di una ribellione, anch’essa alternativa, ma diversa e malefica, che vede nel culto della violenza l’unica via di fuga dalla società borghese. Jimmy, un bambino del gruppo, viene spaventato da una vipera che annuncia con il suo strisciare il sopraggiungere del male nelle sembianze di un assetato nuovo profeta, di uno strano hippy. Si tratta di Damon, personaggio già famoso negli ambienti underground, che appare come un messia e si presenta come un innocuo appassionato dei dischi dei Rolling Stones. Questa volta, dopo La Chiesa, vediamo un irriconoscibile e barbuto Tomas Arana che interpreta Damon. Egli non è più l’archivista yuppie protagonista de’ La Chiesa, ma un personaggio tenebroso, più prossimo al famigerato Charles Manson di The Family, l’assassino di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski (regista del famoso film Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York, tratto dal romanzo di Ira Levin) che ai giovani entusiasti della Jesus Revolution (Movimento di Gesù) o ai “Bambini di Dio” di David Berg. Damon è il nome inglese di Damone il pitagorico, amico di Finzia, esempi forti di amicizia.
Dapprima il carismatico Damon, ben accetto nella comune hippy, esalta i Rolling Stones: “la loro musica è solo per pochi, quando hai capito il loro messaggio puoi cogliere qualcosa di profondo e si può arrivare alla consapevolezza”. Si ricordi però che in un album (“Beggars Banquet”, ABKO, 1968) la band di rock’n’roll dei Rolling Stones esprimeva la loro “Sympaty For The Devil”. Questa canzone, manifesto del rock più demoniaco e inno non ufficiale degli adoratori di Satana, mostrò il lato “pericoloso” e oscuro della band (per Ezio Guaitamacchi). I Rolling Stones sono stati i primi rockers a parlare apertamente di temi satanici. Inoltre Mick Jagger scrisse la musica del film underground Invocation of my Demon Brother (1969) del thelemita e satanista hollywoodiano Kenneth Anger, dove compare lo stesso “papa nero” Anton S. LaVey, amico di Anger e fondatore della Chiesa di Satana a San Francisco nella notte di Walpurga del 1966. Fra l’altro la California era terreno fertile per varie esperienze legate al Thelema di Aleister Crowley (“Chiesa di Thelema” di Wilfred T. Smith e “Loggia Agapé” di Jack W. Parsons) nonché di numerose “grotte” sataniche. Per Damon il “messaggio profondo” di Mick Jagger & Company corrisponde al mondo profondo (“ab inferis”) dell’Inferno (invero dal profondo sotto-mondo, cioè dal sonno della ragione, proviene il male) e quindi alla magia nera del Diavolo. Il profondo è anche l’Universo Soggettivo cioè il Sé superiore (Self) e il satanismo è l’esaltazione assoluta del Sé che esclude l’alterità. Può anche rappresentare l’inconscio (l’egizio Amenta) o come scrive H.P. Lovecraft nella novella “Dagon”, gli “sconosciuti regni delle tenebre”.
Come dai sotterranei de’ La Chiesa nascono i Dèmoni di Lamberto Bava, così dal “de profundis” del pozzo della casa di Miriam Kreisl, la protagonista (“The Devil’s Daughter”) de’ La Setta, vedremo propagarsi il male attraverso l’acqua invasa da strani filamenti azzurrognoli. In Soavi il colore azzurro preannuncia sempre l’arrivo di entità maligne legate alla violenza, alla notte e alla morte. Ne’ La Chiesa un’intensa luce azzurra segue la caduta nell’abisso della croce tombale dei Calpestanti e ne La Setta l’elemento Acqua domina la scena.
Allora, tornando all’antefatto del film, vediamo che, con il morire della luce del giorno, Damon (in piano americano) diventa stranamente sempre più serio fumando dell’hashish: qui il regista rende assai bene il passaggio dal giorno/regno della luce e del Bene alla notte/regno del buio e del Male. L’allucinato tramonto rossastro preannuncia infatti una notte di sesso, di droga e di morte e pare riecheggiare alcuni passi biblici (Atti 2:20 e Apocalisse 19:19-21). Dopo l’apparizione di Damon, avviene una terribile strage degli hippy pacifisti. Alcuni luridi motociclisti, simili ai famosi Hell’s Angels di Ralph “Sonny” Barger, affiancano l’orrido Damon nel vile massacro. Ebbro di sangue, Damon grida sul falò accesso, in mezzo alle sue vittime: “Le fiamme divampano e incendiano il nostro cammino!” e rivolgendosi a un misterioso maestro (il Grande Vecchio Martin Schelly, interpretato da un grande Herbert Lom, come si capirà più tardi), nascosto in una limousine nera, gli grida: “Porta questo messaggio all’Europa. Siamo la setta americana dei Senza Volto. Siamo molti e nel nome di Satana siamo pronti e otteniamo prodigi”. Al ché però il Grande Vecchio replica all’esuberante adepto: “Devi avere pazienza, Damon. Non è ancora il tempo del grande evento. Passeranno ancora molti anni”. Ecco come Damon, come Damone con Finzia, mostra un forte legame col maestro. La scena culmina infine nel sacrificio umano di una giovane donna sopravvissuta alla strage e scomode testimone degli efferati crimini rituali della banda dei Senza Volto.
Con un veloce salto nel tempo di vent’anni – con un effetto cinematografico simile a quello già visto ne La Chiesa (sfumato passaggio temporale dal Medioevo al Novecento) – ci troviamo nel 1991, a Francoforte. La ventenne Marion Crame, una transfuga dalla setta satanica, nota in una vetrina del centro cittadino l’immagine religiosa della Madonna “Mater Dolorosa” che indica il proprio cuore trafitto. Michele Soavi usa spesso di queste immagini religiose come dei presentimenti per il “coup de théâtre” successivo. Infatti, Marion cadrà vittima dell’aggressione del settario Martin Romero che, come gli antichi Aztechi, le strapperà il cuore che i borseggiatori della metropolitana ruberanno provocando il panico generale e il suicidio dello stesso invasato Romero, bloccato dalla polizia. L’episodio mi ricorda l’antefatto del film Mangiati vivi! (1979) di Umberto Lenzi (alcuni ex-adepti di una setta pseudo-religiosa nascosta nella giungla filippina sono uccisi dai killer inviati dal santone delle Molucche) e anche la morte di un nostalgico nazista gettato da una diga svedese ne I ragazzi venuti dal Brasile (1978) di Franklin J. Schaffner, con il grande Gregory Peck. Dopo la morte del Romero, da un televisore acceso sentiamo parlare il magistrato Jonathan Ford (interpretato da Donald O’Brien) che ci illumina sulla realtà delle sette sataniche moderne. Jonathan Ford conosce l’antica setta malefica dei Senza Volto.
Certi sanguinosi rituali di sette diaboliche compiuti da chi dedica la propria vita al culto del demonio (come il dottor Faust e altri) hanno lo scopo di ottenere il potere e la ricchezza. Gruppi di soggetti che condividono la stessa visione del mondo, attratte nell’intimo dalle lusinghe del peccato e dalle tentazioni di Satana, sono disposte persino a sacrificare vittime umane sugli altari blasfemi delle messe nere. Questi riti occulti non sono affatto folcloristici bensì una realtà quotidiana veramente inquietante e drammatica da non sottovalutare. Seguendo la tipologia del sociologo Marcello Truzzi del 1974 che distingue tra satanisti indipendenti o solitari e satanisti affiliati a gruppi, il caso immaginario del piccolo gruppo dei Senza Volto può essere ascritto al settore dei satanisti “acidi” dai risvolti isterici, come The Family di Charles Manson. Nato dalla controcultura della droga, il gruppo di Damon più precisamente rientra nella categoria del Satanismo occultista, perché crede nell’esistenza reale e personale di Satana (satanisti stereotipici o adoratori dello Sheitàn-Shaitan-Satana della Bibbia, carenza di Dio-Amore e del dio nero Sothis o Set della tradizione egizia). La Setta è nata su ispirazione di uno dei più grandi studiosi di esoterismo, magia nera e satanismo, Martin Schelly, scomparso nel 1979, forse morto nell’esplosione di un aereo DC-9 diretto a Londra (il suo nome era nella lista dei passeggeri). Ma molti dicono di averlo visto ancora vivo in alcune città europee. In effetti lo studioso è sempre vivo ed è il Grande Vecchio della setta (Herbert Lom) giunto nel frattempo in Germania.
Il film di Michele Soavi dunque riprende il filone cinematografico delle sette sataniche, trattato (a cominciare dall’inquietante Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York con i terribili coniugi Castevet, firmato da Roman Polanski del 1968) con ottimi risultati. Le origini di questo filone risalgono a La pericolosa partita (1932) di Ernest B. Schoedsack e al remake La preda umana (1957) di Roy Boulting, ma è solo con Roman Polanski (1968) che raggiunge i vertici del successo. Seguono Le messe nere di Vernon Sewell (1968), La pelle di Satana (1970) di Piers Haggard, La vergine di Dunwich (1970) di Daniel Haller, Quella notte in casa Coogan (1971) di Lee Madden, La Macchia della morte (1971) di Paul Wendkos, In corsa con il diavolo (1975) di Jack Starrett e Una figlia per il diavolo (1976) di Peter Sykes. Robert F. Moss ricorda i film The Seventh Victim (1943) di Mark Robson, La notte del demonio (1958) di Jacques Tourneur e Creatura del diavolo (1966) di Cyril Frankel. Film italiani del genere sono La corta notte delle bambole di vetro (1972) di Aldo Lado, Tutti i colori del buio (1972) di Sergio Martino, Il profumo della signora in nero (1975) di Francesco Barilli, Suspiria (1977) di Dario Argento e Il nido del ragno (1988) di Gianfranco Giagni. Le atmosfere stregate dell’argentiano Suspiria ritornano ne La Setta, ma Michele Soavi dirige un film veramente originale quanto alla trama visionaria e alle scene talvolta shockanti.
L’inquietante Herbert Lom, giunto in Germania, chiude l’appartamento, libera il canarino e getta le chiavi nelle acque del Meno. Porta con sé solamente un pacco legato con dello spago. I suoi gesti, al momento incomprensibili e apparentemente innocui, sono invece già gravidi di un’impalpabile e misteriosa tensione emotiva. Dopo una crisi cardiaca sull’autobus, lo strano vecchio si ferma sulla strada, presso il cartello “Selingenstad Landskreis Hoffenbach”, ma viene investito, mentre fissa il sole, da Miriam Kreisl (un’espressiva Kelly Curtis), una giovane insegnante di scuola elementare che vive da single in una grande casa isolata. Lei lo porta nella sua abitazione per curarlo. Per ora la trama non fa una grinza e il ritmo è ben sostenuto. Dal breve colloquio tra i due capiamo che Miriam è orfana e ha trascorso l’infanzia in un collegio. Tra l’altro, ama la musica rock, profonda ed esoterica, dei Rolling Stones (ricordate la stessa ammirazione di Damon nel terribile prologo?). Invece Lom dichiara di occuparsi di religione, uno strumento essenziale che aiuta l’uomo non tanto a vivere, quanto a morire. Segue un’altra breve digressione che mostra la conoscenza da parte degli sceneggiatori dell’astrologia e delle tecniche bio-architettoniche orientali, oggi in voga nel New/Next Age (ricordo solo il Feng Shui). La casa di Miriam è rivolta a Est, mentre le abitazioni esposte a Nord sono le “case della vita” e quelle a Sud le “case della morte”. I due poi vanno a dormire e Miriam ha un vero e proprio incubo. Si tratta di una preveggenza onirica dell’epilogo de La Setta, suggerita dal piano segreto di Herbert Lom il quale prevede che nel cervello della ragazza venga installato un grosso insetto preso dal pacco e inserito attraverso la narice sinistra. L’orribile scarafaggio proviene da un fossile artico, estinto 10.000 anni fa e presenta un profondo significato religioso: è il simbolo della fertilità e del male. La femmina deponeva le uova all’interno del cervello di una donna viva sino a farla morire perché le larve si cibavano delle sue meningi. In questo modo il vecchio fa di Miriam la prescelta per dare alla luce il figlio del Maligno, l’Anticristo. Nel sogno di Miriam, la ragazza passa da una selva oscura dantesca dentro un campo di rossi papaveri (che può significare il mondo della droga) dove domina un grande albero selvatico (l’archetipo dell’Albero della Morte del regno infernale o dell’albero selvatico degli eretici, come le seul arbre sognato da Elena-Ennoia di Tiro, la compagna di Simon Mago, ne “La Tentation de saint Antoine” di Gustave Flaubert) ai cui rami è legato strettamente un uomo nudo. Il grido di un neonato (l’Anticristo venturo) attira Miriam verso l’albero-croce, carico di ninnoli d’argento e di polline. Miriam tenta di slegare l’uomo, ma cade a terra e si trova distesa sul prato dove viene violentata da un marabù che la ferisce al collo (scena surreale con elementi tratti da Hieronymus Bosch). Al risveglio la protagonista sconvolta trova Lom moribondo sulla moquette e in auto corre subito dalla dottoressa Pernath. Lei non è in casa e al suo posto troverà suo nipote, il medico Franz Sterner (uno scialbo innamorato interpretato da M.H. Adatte). Nel frattempo l’anziano si riprende e nella cantina nascosta della casa (dove si trovano la caldaia, un affresco a muro di Lucifero dipinto da Giancarlo Sensidoni e un pozzo con scala e passaggio per l’esterno) getta nell’acqua del pozzo il pacco incendiato. Subito dopo si accascia al suolo e muore, dopo essersi messo sul viso un fazzoletto bianco. Lo straccio magnetizzato diventa una specie di velo della Veronica, anzi un’anti-Veronica che ricalca il volto del morente con tutti i suoi tratti somatici, quasi una sua fotocopia dalle strane e occulte proprietà oscure. Non il velo della Veronica della nota agiografia della Via Crucis e dei Vangeli Apocrifi di Pilato, bensì un nero sudario. Se ne La Chiesa il diavolo-vampiro alla Boris Vallejo è un’immagine capovolta della Madonna che schiaccia col tallone il serpente tentatore, ne La Setta il velo del Grande Vecchio è una sindone demoniaca, è un velo di Veronica capovolto. Trasportato all’obitorio, l’uomo non verrà più ritrovato ma l’algida dottoressa Pernath, ben interpretata da Carla Cassola, lo riporterà tra i Senza Volto per la “resurrezione” finale.
Il film di Michele Soavi è ricordato dalla critica soprattutto per gli zoom sulle tubature della casa di Miriam, descritte nell’agenda nera di Herbert Lom (vi si scorgono anche famosi disegni del rosacruciano Robert Fludd). Paolo Mereghetti scrive che il regista è “morbosamente attratto dalle tubature”. La scena è forse la più bella di tutto questo horror movie dalle tonalità nere e cobalto. Suspence e claustrofobia si mescolano in un mix perfetto, quando vediamo l’acqua scorrere velocemente dentro le lunghe tubature che la portano dal pozzo al rubinetto aperto da Miriam. Dai rubinetti dell’edificio uscirà poi acqua piena di letali liquami azzurrini, liberati dal pacco gettato da Herbert Lom nel pozzo. Un altro terribile sortilegio negativo è rappresentato dal fazzoletto del Grande Vecchio preso in cantina da Miriam nonostante il tentativo di una ragazza giapponese (presente anche nella metro di Francoforte dopo l’omicidio di Marion Crame), membro della setta satanica, di recuperarlo. Mariangela Giordano è Katryn, l’amica di Miriam, che ritroverà questo “straccio”, ma un improvviso colpo di vento glielo attaccherà, come una ventosa, sul viso, quasi soffocandola. La locandina del film riporta proprio questa immagine: il volto di Katryn, coperto dal soffocante fazzoletto bianco del malvagio anziano satanista. Dopo lo shock, Katryn cambia personalità e diventa una prostituta, accoltellata infine dal posseduto camionista Richard Sammel. Avvengono altri colpi di scena finché non si arriva alla fase della gestazione di Miriam. La studiosa di fossili artici (come gli scarafaggi usati dal Grande Vecchio) Claire Heinz, madre di un’allieva di Miriam e moglie di un membro della setta, viene drogata e sacrificata in una cerimonia del gruppo satanico per riportare in vita Herbert Lom, necessario alla preparazione di Miriam per la nascita dell’Anticristo. Il rituale avviene nel bosco dell’incubo di Miriam, al quale si accede dal tunnel aperto all’interno del pozzo della casa della prescelta. Claire viene sacrificata con il plenilunio e l’“esatta congiunzione con i parametri perfettamente simmetrici” (dice la dottoressa Pernath), tra il salmodiare diabolico degli adepti in circolo (come in The Seventh Victim di Mark Robson) e i piatti d’argento che riflettono la pallida luna sulla vittima. La scena sembra una messa nera, in realtà è un rito di scorticatura magica per far rivivere il malefico vecchio maestro della grotta satanica. È assoluta magia nera ed è terribile. Tacendo i particolari raccapriccianti dell’episodio, basti dire che a Claire, appesa a testa in giù dall’albero e con il viso contornato da una serie di uncini a maniglia, Damon toglierà la pelle e la sua faccia verrà posta, come una maschera rivitalizzante, su quella del Grande Vecchio che rivive e convince Miriam a cooperare al “grande evento” nero. Lei ha un amplesso con il marabù (personificazione dell’angelo caduto, l’uomo legato al grande albero), salito dal pozzo maledetto e previsto nel suo terribile incubo. Mentre avviene un’eclissi di luna, dopo un fantastico parto accelerato di nove minuti (nove minuti invece dei naturali nove mesi), assistita da Giovanna Rotellini e Chiara Mancori nel pozzo, la “strega” Miriam, dà infine alla luce il figlio del demonio (“per dare vita alla vita in pochi attimi”). I satanisti Senza Volto hanno programmato tutto per la nascita dell’Anticristo: la stessa Miriam è stata allevata in orfanotrofio e in collegio a loro spese. Ora nasce Colui che non ha nome (così Satana è chiamato nella Bibbia: l’essere creato senza nome), il figlio degli angeli ribelli diventerà uomo e si rivolterà contro l’Altissimo Iddio (l’imperdonabile peccato d’orgoglio di cui parla San Giovanni in 1Gv 5:16), per portare l’Inferno sulla Terra. L’Inferno è un luogo dove non esiste Dio, dove Satana, il nemico della vita, può stare a sputare in faccia a Dio. Nell’Inferno non si vede Dio e ci sono i diavoli e il fuoco. Se si vuole vivere l’egoismo totale e negare l’Amore, allora si vuole l’Inferno (come scrive Pierre Riches). Così il satanismo dei Senza Volto è una ribellione morale a Dio (come insegna l’ex-satanista J.K. Huysmans) e il loro è un culto idolatrico reso allo Spirito del male. Ma l’oscuro disegno del Grande Vecchio non ha previsto la libertà di scelta di Miriam. Dal rogo finale – il fuoco uccide i malvagi, ma non l’innocenza – si salverà solo Miriam perché suo figlio l’ha voluta salvare, volando in cielo in forma di aquila.
Il finale de La Setta è positivo ma con uno strascico ambiguo, un po’ com’era avvenuto nell’epilogo de La Chiesa. Nella pellicola precedente i demoni venivano sconfitti e seppelliti dal crollo della cattedrale gotica, qui il Grande Vecchio, Damon e la banda dei satanisti criminali dei Senza Volto, dopo venti anni di attesa, vedono sfumare il piano diabolico di distruzione del mondo nell’epico the end (un finale spettacolare, denso di effetti speciali). Parlo di ambiguità perché ne La Chiesa il Male non veniva totalmente sconfitto e la vendetta dei Calpestanti poteva replicarsi con un’Asia Argento abbacinata dalla luce azzurra dell’abisso infernale. Invece l’Anticristo della Setta è una figura non totalmente negativa che morendo salva la madre, un’anti-Madonna involontaria redenta dalla scelta del Bene redime sotto i getti degli idranti dei vigili del fuoco.
Per Carlo Climati La Setta e La Chiesa riportano temi esoterici come l’alchimia, l’occultismo e la possessione diabolica che denotano la passione del regista Soavi, del maestro Dario Argento e di Daria Nicolodi (gli autori di Suspiria, film dichiaratamente esoterico come Inferno) per le scienze occulte.
Per il Morandini, nell’ambito del nuovo italian horror d’atmosfera, Michele Soavi ci sa fare: riesce a rendere spaventoso un coniglietto bianco, usare in modo acrobatico la cinepresa, disseminare la storia di trovate ironiche, dirigere bene gli interpreti, sfruttare con sagacia i riflessi della luce e le scenografie di Geleng. Al contrario per Antonello Sarno (1996) il film è ambizioso ma deludente e per Domenico Cammarota (1993) riporta numerosi elementi tipici del cinema horror & fantasy “forse fin troppi”. Invero i numerosi riferimenti tipici fanno tutti parte dell’ambizioso disegno esoterico del Grande Vecchio, preparato da ben vent’anni di lotta magica. Il piano, anche se non segue la logica aristotelica e razionalistica della mentalità moderna, si basa sul credo e sui riti del satanismo, a loro modo “logici”. Come il Dario Argento di Suspiria, Michele Soavi è convinto che il magico e il fantastico possano fare a meno della logica. Nel film vediamo così scarafaggi preistorici, fazzoletti che conservano l’immagine di un volto umano, inquietanti uccelli selvatici (marabù e aquile), Hell’s Angels in motocicletta come orrendi assassini tipo The Manson’s Family, oscuri rituali di magia nera e satanismo. La sceneggiatura, pur collegandoli decentemente nell’economia del film, non riesce tuttavia a renderli vitali e a meglio giustificarli in un piano organico. Se la sceneggiatura zoppica alquanto, invece eccellente appare la tecnica di ripresa del regista romano che ottiene effetti spettacolari e incredibili (come riconosce Morandini), volgendo la cinepresa anche su banali oggetti di vita quotidiana, come le fredde condutture del pozzo o la pipetta per la medicina usata del vecchio Herbert Lom.
La Setta è generalmente privo di immagini crudeli e spaventose (a parte alcuni momenti gore & blood, come il sacrificio rituale di Claire Heinz) e non va ascritta per questo tra gli splatter movies né tra i racconti e i film del mistero. Segue in breve il filone demoniaco-apocalittico già noto con L’esorcista (1973) di William Friedkin, L’esorcista II – L’eretico (1977) di John Boorman e la lunga saga del “Presagio” con Damien Thorne e Delia York, un filone in cui Satana, il dominatore di questo mondo (2 Corinzi 4:4), è già stato giudicato (vedi Gv.16:11 e Catechismo della Chiesa cattolica, n.635) e condannato al fuoco eterno.
In conclusione, a un verdetto complessivamente favorevole per questo film di Michele Soavi vogliamo aggiungere un piccolo appunto critico. Infatti, se certe sequenze de La Setta rivelano il grande talento artistico del regista, al contrario alcuni dialoghi tra Franz Sterner e Miriam Kreisl, nonché la parte centrale, finiscono per annoiare un po’ lo spettatore.
(5 – continua)