Uno scambio ancor più scopertamente ideologico rispetto a quello fra contenuto e forma nella ricezione dello snuff si può verificare leggendo Killing For Culture, in cui David Kerekes e David Slater vanno alla ricerca proprio della leggenda metropolitana chiamata snuff movie. È bene dire subito che fino al 1994 – anno della prima pubblicazione del libro (1) – i due, tipicamente anglosassoni nella loro acrìbia, ancora non ne avevano trovato traccia certa e certificabile. Voci tante (demenziali in particolare quelle raccolte dal serial killer Schaefer), certezza nessuna.
Interessante anche la definizione dello snuff come forma: è “nascosto; esclusivo; fatto d’una stanza e d’una mdp; in bianco e nero; silenzioso; a grana grossa; con una colorazione curata male; costoso; una merce”. Messa da parte una volta per tutte la questione chimerica, il vero interesse del testo si concentra sui parasnuff e sugli pseudosnuff. E proprio qui occorre che il lettore sappia operare delle distinzioni, se non vuole correre il rischio di scambiare Faces Of Death per The Act Of Seeing With One’s Own Eyes o per Of The Dead. La questione si complica perché d’altra parte è anche vero che la critica ufficiale e umanista italiana ha sempre bistrattato quell’hapax legomenon problematico chiamato Cannibal Holocaust, non ha mai considerato Wessel, Wiseman, Kern o Buttgereit (lo stesso Brakhage è per pochi fortunati), e quindi diventa difficile mantenersi sempre intellettualmente all’erta… Un esempio: “Emanuelle in America, Last House On Dead End Street, e Hardcore, tali sono i film a essersi direttamente ispirati a Snuff e a ciò che Snuff insinuava: quella morte si stava esibendo al cinema come pornografia per uno specifico mercato”; se quanto al discorso di Kerekes/Slater la parentela è sensata, è possibile tuttavia che, per una sorta di scivolamento più o meno inconsapevolmente pilotato dal desiderio del lettore, il film di D’Amato venga messo tout-court sullo stesso piano di quello di Schraeder, il che si evita solo se ci si rende conto che l’apparentamento ha valore nei limiti d’un discorso di filiazione e fonti, ma non sotto il profilo estetico.
In questo senso, funzionando da principio di autorità in quanto ricerca seria, KFC corre il rischio di legittimare la merda. Ma si sa: la morte attira autori fra i migliori e i peggiori, quindi bisogna sforzarsi di non abbassare mai la propria guardia mentale. Detto questo, vanno ora rilevati i meriti del testo. Innanzitutto, viene analizzato in modo esauriente il fenomeno mondo-movie (con una disamina puntuale e accurata del falso suicidio del bonzo contenuto in Mondo cane 2: un esempio da scuola di giornalismo) fino alle sue ultime, logiche evoluzioni televisive. Programmi quali “Real-tv” e simili, e persino certi servizi dei telegiornali, risultano privi di padri se ci si dimenticano i film di Jacopetti; è stigmatizzata l’isteria della società inglese nei confronti dei film “nasty”, ideologicamente dipinti dalla stampa dei tabloid come veri e propri snuff (per esempio, fra essi è compreso Anthropophagus!); viene sottolineata la differenza fra ciò che lo spettatore dichiara di essere e ciò che è in realtà: Faces Of Death fu un flop nelle sale USA, ma divenne uno dei video più noleggiati; e si dimostra soprattutto il fatto che lo snuff esista come ambiguo spauracchio nonostante sia invece privo di una vita reale, effettiva: a parere delle femministe newyorkesi, per citare una sola delle tante voci interessate a creare confusione, che in Snuff l’assassinio fosse vero o simulato non faceva differenza: contava unicamente la violenza sessuale presentata come intrattenimento sessuale; non dimentichiamoci però che il suo stesso produttore, Shackleton, fu tra i primi a spacciarlo come snuff in senso stretto per ragioni pubblicitarie e quindi a decretare l’esistenza del mostro.
Insomma, le voci intorno ai mitici film produssero un effetto sociale negativo che doveva essere paradossalmente difeso – a “fin di bene”, s’intende – fino al punto da far affermare a Susan G. Cole: “Non c’è evidenza che gli snuff NON esistano”; e gli autori commentano ironici: “Con la difesa della Cole è difficile trovare da ridire sulle argomentazioni di un revisionista dell’Olocausto”. Kerekes e Slater si spingono poi a criticare la doppiezza della legge, figlia dell’isteria di cui parlavo, pronta a incolpare d’omicidio un ignoto cineamatore, Geoffrey Jones, che uccise involontariamente un’attrice sul set, e altrettanto pronta a non creare nessun problema a Spielberg per la morte di Vic Morrow durante una scena d’azione; come conclusione dell’indagine, si ipotizza che, continuando a premere sul potenziale valore economico degli snuff e sull’esistenza di un altrettanto potenziale mercato, in futuro essi potrebbero davvero venir girati: l’effetto, insomma, creerebbe la causa. E in fin dei conti, tanto parlare e censurare qualcosa d’inesistente, non potrebbe nascondere un desiderio collettivo tanto inconfessabile quanto profondo, oggi esaudito molto per difetto dai reality show?
(2 – continua)
Gianfranco Galliano
(1) Il libro venne ripubblicato nel 2016, opportunamente ampliato da vecchi e recentissimi esempi di inumanità (ma soltanto sul versante della morte e non su quelli contemporanei di eros e thanatos), con un sottotitolo assai rivelatore: From Edison to Isis. Un solo rilievo: a chi chiede quando nasca un certo genere cinematografico – sia pure il più abietto – la risposta sarà sempre invariabilmente la stessa: nel momento medesimo in cui nasce il cinema, come si può ricavare dalla parte del testo consacrata a Thomas Alva Edison (1847-1931).