Come in un film di 007, in Gods of Dead Yaron Svoray (con l’aiuto del proprio coautore, Thomas Hughes) non si fa mancare niente: partito alla ricerca di uno snuff da mostrare pubblicamente quale prova irrefutabile dell’esistenza dell’aberrazione fatta genere cinematografico, viaggia dalla Thailandia alla Germania, dagli Usa all’Inghilterra, dall’Olanda alla Francia fino ad arrivare alla Jugoslavia in piena guerra… La motivazione di una così affannosa quête è semplice: Svoray vide uno snuff in un’esperienza a latere collegata al suo primo libro-inchiesta, Neonazi – Un giornalista israeliano infiltrato tra i moderni seguaci di Hitler: “il film era fatto di un cinegiornale di Hitler che arringava le sue truppe, interpolato da immagini che mi si impressero negli occhi e che non avrei mai scordato. Erano le immagini di una bambina di otto o nove anni che veniva brutalmente stuprata e quindi uccisa”. Per i nazisti vedere “film del genere è […] una sistematica affermazione del loro obiettivo, che è il potere assoluto. Il massacro della bambina è un’evidenza tangibile del potere sulla vita umana, e guardarlo esprime la loro partecipazione all’esercizio di tale potere”. Per Svoray invece è l’inizio di un incubo che lo visita in continuazione, in quanto si sente personalmente coinvolto nella morte della piccola: il solo vedere la pellicola l’ha irrimediabilmente sporcato e l’unica via d’uscita per lui resta il parlarne in pubblico e quindi cercare (quel)lo snuff.
Fra le testimonianze di sopravvissute o di organizzatori d’un simile abominio, Svoray (sotto falso nome e in qualità di potenziale acquirente) arriva a un punto di non ritorno durante un colloquio con un delinquente di nome Lorenzo Conti: questi, riferendosi a Faces of Death, tenta di convincerlo che gli snuff siano grossomodo la stessa cosa della (comunque mefitica) serie di Conan Le Cilaire e che un reporter intento a riprendere un incidente d’auto era uguale a lui che girava il film di un assassinio: “Nella sua mente, la morte era la morte, sia che arrivasse da un guidatore ubriaco a tutta velocità che da un uomo con un coltello. Sia che venisse volutamente o casualmente, il risultato era lo stesso […] mi sentii rabbrividire al pensiero che Lorenzo non era solo, che c’erano Lorenzi in tutto il mondo, e che la stessa brutale violenza scorra attraverso ogni cosa, appena sotto la superficie, appena fuori dalla nostra vista. Non è un pensiero nuovo, ma è terribile. La piena realizzazione di un mondo privo di convenzioni e senza pietà lampeggiò davanti a me in un terrificante momento di totale, terribile chiarezza – e mi lasciò vuoto”.
L’illuminazione viene confermata quando l’autore vede uno snuff insieme a individui della buona borghesia (“Dottori, forse. Avvocati, banchieri”) pronti a pagare profumatamente ciò che per loro è un semplice “passatempo” privo anche, ed è un’aggravante, delle giustificazioni ideologiche dei nazisti. Insomma, la ricerca di Svoray è la prova provata che al peggio non c’è mai limite e che il diavolo, in sovrappiù, sa anche essere beffardo: infatti, una volta giunto nella Jugoslavia in guerra, un produttore-regista di snuff, Stephan, gli mostra uno dei numerosi snuff da lui girati approfittando della situazione bellica che crea continuamente dei disperati e, fra un bombardamento di Tomahawk sui serbi e l’altro, gli dà in omaggio un altro video come quello che Svoray ha appena visto, ovvero un nastro che nella nostra società costerebbe fra i 50 e i 150.000 dollari (secondo quanto afferma lo stesso Gods of Death).
E’ interessante notare come quanto è macabramente prezioso in una certa parte del mondo, nell’Ovest opulento, divenga moneta corrente in un’altra, ovvero dove c’è la guerra (ma sarebbe la stessa cosa in una società povera o impoverita anche per altre ragioni). …finale spiazzante e politicamente, per una volta, davvero corretto: la dignità umana comincia a esistere solo da una certa situazione sociale in su, prima la persona è soltanto carne umana, ce n’è in abbondanza e non conta niente. E forse è altrettanto stimolante, sotto il profilo squisitamente letterario, domandarsi: quello che stiamo leggendo è un vero reportage o è un romanzo?
Privo di riferimenti e fonti, se si eccettua il nome ingombrante di Robert De Niro tirato in ballo un po’ a sproposito come principio di autorità per provare le veridicità di quanto affermato nel libro e di quello assai meno noto di Catherine McKinnon, privo anche della prova costituita dalla videocassetta criminale, che verrà molto opportunamente sottratta a Svoray dalla polizia ex-jugoslava, Gods of Death ci lascia con questo interrogativo.
La domanda ripropone, questa volta a livello di genere, quell’altra, ormai annosa: lo snuff esiste come realtà o è una delle tante leggende metropolitane? Siamo di nuovo al punto di partenza, però – e la cosa non è affatto secondaria – dopo aver letto un libro d’avventura secco e, forse malgré lui, di sinistra.
(3 – fine)