Ruggero Deodato lo conobbi a Collesalvetti, una località nei pressi di Livorno dove un gruppo di giovani cinefili aveva organizzato un Festival Indipendente del Cinema Horror. Un fine settimana del 2002. Lui era presidente di giuria, io uno dei membri insieme all’amico Antonio Tentori.
Mi affascinò subito con quel modo di proporsi esuberante, sempre sopra le righe. Deodato è l’antitesi della diplomazia. Lo ammette anche lui. Al Festival era ospite per un solo giorno anche Antonio Margheriti ed è bastato poco per capire quanto affetto e stima provava Deodato per quello che considerava un maestro.
Antonio Margheriti non è più tra noi, ringrazio la sorte che mi ha dato appena il tempo di conoscere uno dei più grandi artigiani del nostro cinema di genere. Deodato ha girato con lui i primi film da regista della seconda unità, grazie a Margheriti è riuscito a emanciparsi, a mettersi in proprio. Prima che Margheriti arrivasse Deodato mi confessò: “Ora vedrai che differenza c’è tra me e lui. Io dico quel che mi passa per la testa, ci sto poco a pensare. Lui invece è sempre misurato, diplomatico. È un galantuomo, un personaggio d’altri tempi. Parla tanto ma lo fa con molto tatto”.
Il mio incontro con Deodato nacque con una gaffe e merita di essere raccontato. Avevamo appena assistito a Gay Holocaust, opera in concorso girata dal bresciano Piero Galli. Un lavoro amatoriale, certo mediocre, ma ricco di trovate originali e di omaggi al cinema cannibalico italiano. Mi imbatto subito fuori della sala in un tipo piccoletto con i capelli bianchi e un marcato accento romano. Non so chi sia. Parliamo del film.
“Non male” dico “un omaggio ironico al cinema di Deodato …”
Lui mi guarda e sorride.
“Bene. Sono contento allora, perché Deodato sono io”.
Di Deodato sino a quel momento avevo visto solo una foto che risaliva a quando il regista non aveva neppure quarant’anni, pubblicata in un vecchio libro di cinema di Luigi Cozzi. Era ritratto a cavallo della macchina da presa.
Abbiamo cominciato così.
“Che razza di esperto di cinema sarà mai questo che non mi ha neppure riconosciuto …” avrà pensato.
La mia considerazione però esprimeva ammirazione per il suo cinema e non era mera adulazione. E quello credo che l’abbia apprezzato.
Abbiamo continuato a parlare dei corti in concorso. Deodato sino a quel momento non era molto soddisfatto della qualità e a un certo punto ha ripensato alla mia gaffe.
“Ma davvero facevo film così brutti?” chiese.
“No, no. Ci mancherebbe altro. Dicevo solo che Gay Holocaust è un omaggio, che l’autore si è ispirato. Tutto qui”.
“Ah, meno male. Però poteva ispirarsi meglio” concluse.
Nei giorni successivi Deodato parlò a lungo di sé e delle sue prime esperienze nel mondo del cinema. Soprattutto mi raccontò i suoi film cannibalici, quelli che bene o male lo hanno reso famoso.
“Ho poco a che spartire con l’horror” mi disse “io sono un regista di genere all’americana. Ho fatto di tutto: commedie, thriller, peplum, fantastico… A chi definisce Cannibal Holocaust un film horror rispondo che non l’ha capito, che deve guardarselo bene e storicizzarlo. Era il periodo degli scoop giornalistici a tutti i costi e il mio film è un atto di accusa contro un certo modo di fare giornalismo. Cannibal Holocaust è una pellicola di denuncia ed è il mio lavoro più riuscito”. Dopo la visione Deodato si lasciò andare ancora di più. “Non so come ho fatto a girare un film così bello” disse.
Non pensate che sia soltanto immodestia. Andatevi a vedere Cannibal Holocaust senza pregiudizi e poi ne riparliamo. Nel film si lanciano accuse precise contro il sensazionalismo e la caccia allo scoop, mali dai quali la nostra società è tutt’altro che guarita. Pensate a un certo The Blair Witch Project che deve molto al capolavoro di Deodato.
Personalmente non sono d’accordo con il regista quando si chiama fuori dal genere e afferma: “Io non c’entro niente con l’horror”. Penso che Deodato sia un autore capace di andare oltre il semplice cinema dell’orrore, perché è un geniale contaminatore dei generi. Resta il fatto che le sue pellicole più riuscite sono proprio quelle che riproducono atmosfere tipiche del cinema del terrore. Non per niente i francesi lo hanno soprannominato Monsieur Cannibal, appellativo che a Deodato piace poco. Ma lui, come il medico di Moliere, è destinato a essere, suo malgrado, il signore dei cannibali.
Ruggero Deodato festeggia le quasi ottanta primavere realizzando il sogno della sua vita, quel sequel di Cannibal Holocaust di cui si favoleggia da anni, la seconda parte di un film maledetto, che nelle intenzioni del regista avrebbe dovuto portare i selvaggi a invadere le nostre città. Questo uno dei tanti progetti cinematografici, invece il trattamento – pubblicato da Nicola Pesce (attenzione, non è un fumetto!) con le straordinarie illustrazioni di Miguel Ȧngel Martín – racconta tutta un’altra storia che vede protagonista lo stesso Deodato e la sua troupe di Cannibal Holocaust. Storia truce e senza speranza, come stile del regista romano (di adozione, perché nativo di Potenza), realistica e disperata, che non fa sconti a nessuno, tra teste mozzate e mitiche donne impalate. Finale catartico che funge da autocitazione e da pena del contrappasso di dantesca memoria, ma che non anticipo perché il thriller perderebbe tutta la sua ragion d’essere.
Certo, la scrittura può deludere il non cinefilo, ché non è un romanzo e non è un fumetto, neppure una sceneggiatura, soltanto un trattamento, un soggetto, che andrebbe sviluppato in sequenze cinematografiche. I disegno di Miguel Ȧngel Martín, invece, sono eccellenti, dotati di uno stile riconoscibile e – per l’occasione – persino del realismo tipico del cinema horror – avventuroso. Il libro è stato realizzato con la collaborazione di Nocturno Cinema, rivista benemerita che da tempo si occupa del nostro cinema più bistrattato dalla critica, al punto che possiamo dire che per merito di Pulici e Gomarasca forse oggi quel cinema si è guadagnato il rispetto dovuto.
Peccato che nessuno ha ricordato che in circolazione esiste soltanto una monografia dedicata al cinema di Ruggero Deodato, edita da Profondo Rosso, scritta nel 2003 da un certo Gordiano Lupi. Colgo l’occasione per annunciare che quel libro sta per essere superato da un nuovo titolo edito da Edizioni Il Foglio, scritto da Davide Magnisi e Gordiano Lupi, ricco di aggiornamenti e di interviste inedite.
Ruggero Deodato è un regista dotato di tecnica sopraffina, all’americana, un autore vero, allievo di Rossellini, capace di spaziare da horror a thriller, sentimentale e commedia, fantastico e avventuroso. Cannibal Holocaust 2 (110 pagine; 19,90 euro) meritava di vedere la luce, dopo anni di annunci e promesse, anche se soltanto in versione trattamento illustrato. Noi che siamo fan del regista dal 1978, siamo grati a Nicola Pesce per aver compiuto il miracolo.