LA BRUCIATA – PARTE 3

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La sensazione di bruciore sulle gambe non accenna a diminuire mentre torni a casa, fradicio e tremante. Appena entrato nel tuo appartamento, ti butti sotto la doccia, lasciando che il getto rovente ti mondi dalla paura che si è fatta strada nelle tue ossa. Avverti il pulsare convulso delle ferite che rechi addosso… Ferite? No, sono solo sfoghi, probabilmente un’orticaria, un’allergia a qualcosa… forse qualche pianta urticante che hai sfiorato ieri mentre seguivi il vecchio Artemio per i campi…

La Bruciata? La Bruciata non esiste, dai, è una di quelle leggende che fanno girare i vecchi per burlarsi dei ragazzi, per inculcare ancora un briciolo di rispetto ormai latitante.

Di fronte allo specchio, guardi le gambe, quelle impronte rosse che gonfiano la tua pelle, lanciando fitte atroci… forse dovresti andare dal medico, farti prescrivere qualcosa… Bah, alla fine apri l’armadietto dei medicinali e ingolli un antistaminico: vedrai che passerà tutto.

Un buon sonno è quel che ci vuole. Non hai neanche fame, vuoi solo riposare, perché sei così stanco… ti senti spossato. Torni in camera, quando resti paralizzato: seduta sul letto si trova una donna, i capelli lunghi e ondulati, neri come il carbone, una sottile veste nera ne avvolge le forme generose. Ti fissa con un sorriso accennato, negli occhi scuri lo sguardo irridente di chi sa sedurre e stupire senz’ombra d’incertezza.

Si alza in piedi con gesti lenti e cerimoniosi, mentre tu rimani attonito, dimentico di ogni possibile domanda logica. Muove leggiadri e calmi passi verso di te; i piedi scalzi frusciano sulla moquette bruna, mentre lascia cadere la veste nera, scoprendo una femminilità prorompente e ammaliante: una pelle incredibilmente scura, i tratti del viso indefinibili: gli occhi allungati, le labbra carnose, il naso sottile… pare conservare in sé ogni razza, pare esprimere ogni aspetto suadente della femminilità terrestre, come se in quella figura si unisse tutta la possibile espressività della donna. Protende un braccio verso di te, ti accarezza la guancia, baciandoti dolcemente.

Ti abbandoni al suo volere, mentre ti trascina sul letto, ti strattona a sé, chiedendoti tacitamente di possederla. Il respiro si fa più affannoso, la stringi, avvertendo la morbidezza delle sue forme seducenti, ascoltando il sibilo del suo fiato, assaporando il profumo legnoso della sua pelle…

Dimentico di ogni altra cosa, sei immerso nell’estasi dell’amplesso, della lussuria che quella figura ispira in te, quando… quando chiudi per un istante gli occhi, li riapri e vedi: le lenzuola sono macchiate di fango, screziate del nero di fuliggine, mentre nuvole di cenere e un odore di legna bruciata impregnano l’aria.

Posi lo sguardo sulla ragazza, ma di lei non c’è più nulla: al suo posto una creatura simile a una donna, ma fatta di legno, come se una pianta avesse assunto le fattezze di un essere umano. I neri capelli ondulati sono un groviglio di rami e fogliame rinsecchito. Gli occhi, nel volto istoriato di nodi e venature, sono due braci ardenti di una rabbia folle e famelica. Urli, ma lei ti stringe con le mani nodose, scheletriche, sogghignando e sibilando.

Cerchi di allontanarti, invano; ti tiene dentro di lei, ti stringe con forza e senti la schiena bruciare, laddove le sue mani legnose toccano la tua carne. Il dolore si fa sempre più forte, ti pare che l’intera stanza ora stia ardendo… stai bruciando vivo in un rogo immane… urli, urli con tutto il fiato che possiedi, poi ogni cosa si dissolve in una coltre nera e opprimente.

(4 – continua)

Matteo Manferdini