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Il nero sfuma, cedendo il passo a luce e forme sfocate, i cui contorni prendono maggior nitidezza lentamente. Sei vivo, sei in camera tua, a terra, accanto al letto, nudo e dolorante. La schiena ti brucia da impazzire, così come il pube, la bocca, le braccia. La stanza da letto è integra, il giaciglio intonso. La donna è sparita, a questo punto dubiti della sua esistenza, a dispetto di quanto hai vissuto. Allucinazioni, che altro? Forse è proprio il caso di consultare uno specialista. Ti scorgi allo specchio, e avverti i peli rizzarsi, mentre una scarica di calore ti passa lungo la nuca: ulteriori bruciature, ustioni… ti corrono sul torace, sui genitali, sulle braccia e il viso. Ti volti e osservi segni simili sulla schiena, come se qualcuno ti avesse stretto con dita incandescenti. Una nausea profonda ti assale; vertigini ti scuotono la testa, mentre un panico profondo, primordiale, si fa strada dentro le tue viscere. Tutto ciò che conosci perde d’importanza, tutto quanto riguarda la tua vita diviene irrisorio, sgretolato da un travalicante sentimento di paura.
Il panico ti assale, lasciandoti inerme, ma l’istinto di sopravvivenza ti spinge a cercare una soluzione a questa folle storia. Cosa fare? Devi chiedere aiuto, ma a chi? Artemio! Quell’uomo è un punto di riferimento, e in fondo te ne ha parlato lui… Per un momento ti sfiora il sospetto che ti abbia condizionato, che in qualche maniera ti abbia ipnotizzato, inculcandoti sciocche superstizioni e permettendo alla tua fantasia di costruire allucinazioni agghiaccianti. Ti vesti ed esci di casa.
In macchina, la radio trasmette le solite canzoni che trovi su qualsiasi stazione radiofonica: per un attimo dimentichi le tue angosce chiedendoti se i dj delle radio abbiano i dischi contati, se conoscano solo quei due brani in croce. Stai giungendo nei pressi della chiesetta della scorsa notte, dove, puntualmente, il segnale radio si perde, zittendo le insulsaggini vomitate dallo speaker. Prosegui lentamente, avvolto nel crepuscolo che cede il passo alle tenebre, con il fruscio della radio intenta a cercare di tanto in tanto qualche nota.
Giunto di fronte alla vecchia cappella abbandonata, ti fermi a osservare: intravedi qualche ombra all’interno, tra cui quella del crocefisso le cui fiamme della scorsa notte hanno lasciato uno scheletro inchiodato alla croce, segno che la scena di ieri non è stata frutto della tua immaginazione. Ti chiedi perché quel santuario sia stato abbandonato, ti interroghi sul motivo che porta uomini a erigere cattedrali, maestose o dimesse che siano, e poi ad abbandonarle alla natura, ai vandali. La radio smette di gracchiare, sintonizzandosi su una stazione che trasmette un brano [1] il cui suono pare giungere da lontano, seppur nitido. Rimani un momento a fissare lo stereo, poi sposti nuovamente lo sguardo verso la chiesa diroccata, al che riprendi la tua marcia verso il paese; parcheggi in una strada stretta e giungi a piedi in una piazza intorno alla quale corrono portici di pietre. Al centro, da un selciato di sanpietrini immacolati, si erge la statua in bronzo di un albero i cui rami s’innalzano verso il cielo. Fuso in esso, la figura di una donna è stata scolpita per dare l’idea che emerga dalla pianta, le braccia protese in alto come i rami dell’albero, il viso anch’esso levato al cielo, aperto in un sorriso pacifico ed estatico.
La guardi distrattamente, mentre imbocchi il portico centrale, trovandoti di fronte al “Dancing Jester”, la taverna del paese, dove sai che avresti trovato Artemio, e difatti eccolo lì, seduto a un tavolo intento a leggere sorseggiando un tè; ogni sera è lì, a sfogliare libri. Osservi il locale, ancora semideserto: a un altro tavolo sono seduti un paio di ragazzi intenti a chiacchierare di fronte a una birra, mentre il proprietario, un uomo secco e dai lineamenti ruvidi, accenna un saluto guardandoti di sottecchi.
Il vecchio contadino distoglie lo sguardo dal libro, ma senza chiuderlo, fissandoti con un’occhiata a metà tra l’irritato e l’incuriosito, mentre ti siedi di fronte a lui. Ti fissa con quei suoi occhi glaciali, rimane immobile per diversi secondi, poi emette un sospiro, mentre chiude il libro con un colpo secco: «Beh, giovane, che ti serve? Hai una faccia da far spavento. Forse ti serve un dottore, giovane».
«Artemio, credo che la Bruciata esista».
Sbuffa, smorzando una risata di scherno: «E sei venuto qui per dirmi quello che già so? Alla mia età dovrei essere io, quello rimbambito, giovane».
Il cuore ti martella, ti senti un idiota ad assecondare quelle dicerie, ma il dolore che ti corre lungo le ustioni su tutto il corpo vince su ogni parvenza d’orgoglio e di raziocinio: «No, Artemio, ti sto dicendo che l’ho vista, e non solo. Guardami bene, guardami in faccia, guarda qui». Ti togli il maglione e sbottoni la camicia, mostrando le sferzate che la donna-albero ti ha lasciato addosso. Mentre lo fai, noti lo sguardo del vecchio mutare, aprirsi in una sorpresa, forse una lieve paura, mentre deglutisce fissandoti il torace. «Va bene, va bene, giovane. Copriti, ora; non dare spettacolo. Vieni con me», ti dice alzandosi e prendendo l’uscita, salutando con un cenno il barista. Gli corri dietro, in un attimo siete in mezzo alla piazza; immobile, la pipa in bocca, ti studia pensieroso. «Dove hai la macchina, giovane?». Appena gli indichi la strada, lui parte con il consueto piglio deciso, costringendoti ancora una volta all’inseguimento.
Il fiato è pesante, il cuore ti percuote il petto; avverti un moto d’ansia che promette di schiacciarti come una noce, eppure trovi il fiato per chiedere ad Artemio dove siate diretti. «Tu segui le mie indicazioni, giovane, al resto ci penso io».
Il buio si è impadronito di ogni cosa, e la strada, illuminata dai fari dell’auto, sembra sancire il confine del mondo poco oltre i coni di luce. Artemio pare leggere il tuo pensiero, mentre commenta l’oscurità: «Buffo: pensiamo che nel buio ogni cosa è sempre lì, semplicemente nascosta dalle tenebre. Non si pensa mai che invece, forse, le tenebre se lo mangiano, il mondo. Rallenta, giovane; fra un centinaio di metri, sulla sinistra, trovi una stradina di terra battuta. Svolta lì e prosegui, ma fai molta attenzione: bisogna andare a passo d’uomo».
La macchina sobbalza sul fondo accidentato e ti obbliga a procedere molto lentamente. Pensi che se spacchi qualcosa, rimarreste sperduti chissà dove nel buio assoluto, e la prospettiva non ti piace nemmeno un po’, per cui rallenti ulteriormente, quasi ti fermi, in certi punti; meglio essere prudenti. «È successa una cosa strana, la scorsa notte, Artemio. Sai la chiesetta abbandonata a Sali?». Ti fermi, gli racconti l’accaduto. L’osservi, mentre gli sciorini una storia che pare essere presa da una scena tagliata da “L’esorcista”, eppure lui non mostra alcuno stupore, né incredulità, anzi, socchiude gli occhi, concentrato in un silenzioso interesse per quanto gli stai dicendo.
Rimane a fissarti un momento, la pipa spenta stretta tra i denti, poi accenna alla strada: «Vai avanti, giovane; ci siamo quasi».
Obbedisci docilmente, pur chiedendoti se al mondo esista qualcosa in grado di strappare la flemma di dosso a quell’uomo: probabilmente, se si trovasse di fronte il diavolo stesso, si limiterebbe a chiedergli da accendere per la pipa. «Sai, cosa sono i druidi, giovane? Qui, come in tanti altri posti, dei preti hanno tirato su chiese e piantato una religione, affermando ch’essa faccia parte di questa terra. Eppure, prima che arrivassero loro, c’era già un culto, e vi erano già altre divinità; semplicemente sono arrivati gli altri, e li hanno tolti di mezzo».
Fate un mezzo chilometro, che a quella velocità irrisoria pare anni luce, al che Artemio ti ordina di fermarti: «Ci siamo, giovane. Spegni il motore e seguimi».
Uscite dalla vettura in un gelo che annuncia le promesse di un dicembre spietato. Nel bagagliaio hai una torcia elettrica, di quelle potenti, con il manico: sei un tipo previdente e sai che se resti a piedi nel buio della campagna, la lucina del cellulare non ti servirebbe granché. Avanzi dietro ad Artemio, il quale cammina con il consueto piglio deciso, a dispetto dell’oscurità. Tu, invece, fatichi a stargli dietro; un paio di volte rischi di inciampare e di volare lungo disteso.
Intorno, i suoni sono spenti; di tanto in tanto, solo il fruscio di qualche bestia spaventata fa eco a quello dei vostri passi. La nebbia è salita con il suo sudario pallido, vanificando il lavoro della torcia, ma pare proprio che il vecchio contadino conosca il posto come le sue tasche.
Dopo un tempo che ti pare eterno, eccolo che si ferma, voltandosi verso di te, con il solito cipiglio: la torcia lo illumina, conferendogli un’aria spettrale, sinistra. «Usa quella torcia, giovane; puntala di là», indica Artemio.
Cerchi di scrutare nel velo lattiginoso della nebbia, infine scorgi qualcosa: è il luogo dove ti sei recato con Artemio il giorno prima, dove si trovava l’albero “santuario” della Bruciata, ma la pianta non c’è più, vi è rimasto il cerchio di pietre, la terra smossa dove affondavano le radici.
«Qualcuno l’ha sradicato, Artemio?». I suoi occhi sono solo in parte venati da un’inquietudine quasi infantile, ma il cipiglio è ancora duro, impassibile: «No, giovane. Se n’è andata, si è liberata. Lo sai che è così, giovane, poiché quei segni che rechi addosso te li ha fatti lei».
Non capisci. Cosa significa? «Artemio…», provi a parlare, ma lui t’interrompe con un gesto della mano: «Zitto e ascolta, giovane. Vedi, la Bruciata, a dispetto delle leggende, non è una strega. Non esiste nessuna donna ingiustamente messa al rogo durante l’inquisizione. Non ci sono vittime di omicidi mutate in fantasmi… niente di tutto questo. Lei è la terra, giovane, è un’entità nata prima dell’uomo, e che va rispettata. Il tributo delle stoppie, quello è vero, certo. Se un contadino non brucia la terra, Ella viene a prendersi un suo caro, come successe con la Giorgia, la figlia del Bruno, te l’ho già raccontato. E il Bruno… le cose che vedeva da quel giorno… lo hanno tormentato fino a quando ha tirato le cuoia. Vedi, giovane, la Bruciata chiede il tributo del fuoco, ma non basta: quello serve a proteggere il raccolto, non a preservare la popolazione. Per quello ci vuole ben altro. Ella, dunque, sceglie qualcuno, periodicamente; lo marchia, lo attira, lo seduce e si fa fecondare, perché la terra, giovane, deve essere fecondata, tuttavia neppure questo è sufficiente. Lo sai cosa significa, è inutile che ti spieghi proprio tutto. E poi te l’ho detto: tutto questo c’era prima che l’uomo ponesse i suoi idoli, prima che scacciasse i druidi per far spazio ai suoi preti».
Mentre finisce di parlare, scorgi degli scricchiolii alle spalle di Artemio. Una figura femminile si delinea lentamente dalle tenebre, dietro di lui, avanzando sinuosa: la donna che era comparsa in casa tua è ora lì, si avvicina, oltrepassa Artemio, il quale prosegue a fissarti impassibile, poi si arresta a pochi centimetri da te. Vorresti scappare, voltarti e correre via, ma il terrore, forse anche un leggero e sordo fascino, ti pervadono impendendoti la fuga.
La Bruciata ti osserva, con occhi neri da cui baluginano tizzoni infuocati, la pelle nuda screziata da venature che ricordano la corteccia dell’albero, la cenere che le volteggia intorno come se avesse appena smesso d’ardere, e un calore latente la pervadesse.
Ti sorride, accosta una mano sulla tua nuca, adagiando le sue labbra scure su di te, in un bacio che pare accendere nelle tue viscere un calore mai provato prima. Non senti nulla, al di fuori del caldo, di una bruciante e dilagante morsa che si spande in ogni fibra del tuo essere. Un bagliore intenso s’irradia nei tuoi occhi; nemmeno se fissassi il sole proveresti un simile doloroso splendore. Chiudi gli occhi, ed è il buio.
(5 – continua)
Matteo Manferdini
[1] Septicflesh: The Vampire from Nazareth