Epilogo
Artemio fissa la scena, tradendo un tremore nella sua maschera di gelida impassibilità. Il ragazzo gorgoglia; l’unica cosa che riesce a fare mentre la Bruciata lo stringe, baciandolo profondamente. Da dentro il suo corpo, prende a irradiare una luce sempre più crescente, fino a quando il poveretto viene avvolto completamente dalle fiamme. La Bruciata continua a stringerlo. Le fiamme avvolgono anche lei, accendendo un rogo immane, che illumina a giorno la zona circostante.
Lentamente, le fiamme scemano, languiscono, fino a morire in un cumulo di cenere.
Artemio lascia andare un lungo sospiro d’ansia, gli occhi sgranati. Lentamente, il mucchio di cenere prende a smuoversi, si solleva, assumendo fattezze umane.
La figura della donna si erge, nera come la notte circostante; la nebbia si è diradata, come fuggita da quella presenza. Fissa Artemio con vividi tizzoni nelle orbite, dopodiché, lentamente, si dirige verso il cerchio di pietre. Posizionatasi nel centro, la Bruciata emette un profondo respiro, distende le braccia in alto, il capo gettato all’indietro. Pian piano, la donna assume le fattezze di una pianta: i piedi affondano nel terreno in nodose radici, le braccia si aprono in lunghi rami ritorti.
Artemio osserva l’albero sospirando; storcendo le labbra, vi si avvicina, si toglie i guanti ed estrae dalla giacca un sacchetto. Vi tira fuori piccole costruzioni in legno, a forma di stella. Facendo ben attenzione a non entrare nel cerchio, il vecchio appende i manufatti sui rami del salice. Via via che li lega alla pianta, i manufatti s’illuminano come lucciole, splendendo all’unisono, come un coro che s’innalza in un acuto che poi, lentamente, si spegne.
La nebbia torna a serpeggiare intorno all’appezzamento. La tenebra si tinge di bianco, mentre Artemio, mani in tasca, s’incammina verso casa.
(6 – fine)