Roma, Basilica di San Giovanni in Laterano. Anno del Signore 897.
“Che l’imputato risorga e risponda ai giudici!”. Beh, forse non furono proprio queste le parole che vengono udite tra le imponenti navate della stupenda basilica romana, ma qualcosa di estremamente sinistro avviene realmente tra le cupe mura della “casa di Dio”.
Alla augusta presenza dell’imperatore Lamberto di Spoleto, del papa Stefano VI e della curia giudiziaria “si presenta” un inconsueto imputato: il cadavere di Papa Formoso, accusato – si crede ingiustamente… – delle più atroci nefandezze.
Il cadavere di Papa Formoso viene giudicato, ma con tanto di “avvocato difensore”!
Formoso, nato a Roma nell’anno 816, fu dapprima cardinale della sede suburbicaria di Porto-Santa Rufina, costituita già dal III secolo, e regnò sul trono di Pietro dall’anno 891 fino alla sua morte, avvenuta il 4 aprile dell’896.
Sopra, Papa Formoso, il cui cadavere fu riesumato, processato e condannato. Sotto un impressionante “primo piano” dello stesso Papa durante il macabro processo.
Ma procediamo con calma nell’esaminare, fase per fase, questo strano, stranissimo processo a un uomo che non avrebbe potuto difendersi.
Pare, però, che proprio così non sia avvenuto e che “qualcosa” egli abbia “detto”…
Oltre ai giudici – tra i quali avremmo potuto riconoscere Pietro di Albano, Silvestro di Porto, Giovanni di Velletri – occupavano le navate sia alti prelati che il popolino ansioso di assistere a un macabro spettacolo che più di ogni altro avrebbe potuto suscitare curiosità, interesse, raccapriccio.
In un apposito trono, rivestito di un panno rosso, siede il cadavere di Papa Formoso, sacratis vestimentis, ovvero ricoperto con sacre vesti atte a ufficializzare l’inconsueto processo. Oltre che a rendere più o meno “presentabile” un corpo umano tratto dalla tomba dopo oltre nove mesi…
Synodus horrenda e un “Pubblico Ministero” in odor di magia…
Ebbene sì, quando il “medico legale”, definiamolo così anche se molto ante literam, trae dall’avello l’illustre imputato, si scopre – horribile visu! – che è stato sepolto con il cilicio le cui punte metalliche appaiono ancora conficcate in ciò che rimane di uno dei successori del Principe degli Apostoli. Sul torace appare anche una sospetta ferita. E’ stata la punta di una lancia? Non si saprà mai…
Il rigor mortis ha da tempo fatto assumere al corpo una strana posizione “inclinata”, come se fosse stato appena deposto da un’invisibile croce, mentre una quantità “industriale” di granuli di incenso posti sui bracieri accesi si affanna inutilmente per cercare di attenuare il lezzo proveniente dai mortali resti del Papa disturbato durante il suo eterno sonno.
Il “Pubblico Ministero”, la pubblica accusa, durante lo strano processo al cadavere di Papa Formoso.
Ma perché tutta questa grandguignolesca messa in scena? Perché processare un individuo non solo non in grado di difendersi, ma neppure di ascoltare e rispondere alle accuse mosse dai suoi inquisitori?
È l’eterna legge della damnatio memoriae che mira ad extinguere nomen, a cancellare totalmente dalla memoria di tutti colui il quale… ha perso, chi è andato troppo controcorrente, chi ha “minato” l’ordine costituito.
Ma quella contro Papa Formoso è una vera e propria, strana, ambigua operazione di “magia cerimoniale”, retaggio di riti risalenti all’antica religione romana e che miravano a cancellare del tutto non solo il ricordo del defunto ma anche la sua “ombra” vagante in un possibile “aldilà”. Sopravvivere nella memoria di chi resta, grazie alle azioni – più o meno “buone” – compiute, voleva dire anche continuare a “vivere” dopo il trapasso, poiché l’aura di “santità” che circondava il defunto costituiva una sorta di energia con cui esso si sarebbe nutrito.
Lo stesso Cicerone soleva affermare che “… la morte è terribile per coloro cui tutto si spegne con la vita, ma non per coloro la cui fama non può perire “ (Paradoxa stoicorum, II, 18).
Eh sì, un Papa come Stefano VI – il pubblico accusatore dei supposti misfatti compiuti da Papa Formoso – avrebbe dovuto aspirare se non proprio alla “santità”, almeno a una vita retta e conforme ai dettami, agli insegnamenti del Cristo. Ma così non avviene, come ora vedremo.
Papa Stefano VI mira a trasformare l’atteggiamento degli astanti, dal popolino ai più alti gradi del clero, in un corale e intenso moto di disprezzo, di orrore e così indirizzare tali impalpabili “energie psichiche” contro ciò che ancora resta di Papa Formoso. È insomma una crudele, magica sintesi dell’anatema ebraico e della romana damnatio memoriae. Tutto ciò giustifica anche la inquietante presenza del cadavere del Papa al processo. Non lo si poteva “condannare”, diciamo così, in contumacia, lasciandolo riposare nella sua tomba?
Vediamo ora il tragico finale di questo macabro, quasi incredibile, processo a un Papa già defunto da parecchi mesi che non avrebbe mai potuto difendersi…
Non lo si poteva lasciar riposare in pace nel suo freddo avello?
Evidentemente no, non si può agire così poiché la raffinatezza culturale, religiosa, “magica” a cui è giunta la perversa mente di Stefano VI suggerisce che la presenza del cadavere dell’accusato avrebbe suscitato orrore e innescato quelle energie il cui compito era di annullare del tutto la presenza non solo fisica dell’avversario, attuando una vera e propria damnatio memoriae.
Sopra, Stefano VI, accusatore di Papa Formoso, sotto, perseguitato anche post mortem.
La “difesa” del cadavere del povero Papa è affidata al solito “avvocato d’ufficio”, un povero e spaventatissimo Diacono che alle accuse e alle domande del “Pubblico Ministero” risponde con una strana voce, rauca e profonda, da oltretomba. Una voce che i cronisti dell’epoca dicono assomigliasse molto, forse troppo, a quella del Papa defunto…
L’avvocato d’ufficio nel processo a Papa Formoso, un povero Diacono terrorizzato da ciò che accade intorno a lui…
Ciò avvalora negli astanti la credenza che Papa Formoso non sia morto… del tutto, ma si trovi ancora in una sorta di dimensione intermedia tra l’annullamento eterno e la tragica realtà del momento. Il malcapitato Diacono preposto alla difesa di Formoso, man mano che procede il dibattito processuale, appare sempre più terrorizzato poiché non riconosce più la propria voce e quasi non si trova d’accordo con ciò che sta sostenendo. Pian piano egli sente di “assorbire” la personalità di Papa Formoso, di identificarsi con lui, quasi stesse vivendo una sorta di “possessione spiritica” e che le sue corde vocali non rispondano più alla sua volontà ma a quella del defunto.
I capi d’accusa…
Purtroppo i verbali del processo sono andato distrutti un anno dopo il processo, per decreto del Sinodo di Ravenna. Però, i cronisti di allora hanno riportato abbastanza fedelmente i capi di imputazione a carico del Papa riesumato mentre, curiosamente, manca del tutto il testo delle risposte che l’esterrefatto Diacono, il medium, avrebbe fornito. Vediamo come potrebbero essersi svolti i fatti…
“Qui es?” – chi sei? – avrà senza dubbio chiesto il “Pubblico Ministero” e, non attendendo neppure la risposta, Stefano VI sarà subito intervenuto, puntando il dito accusatore verso le maleodoranti spoglie, imputando Formoso di essere un traditore, un Giuda “…qui a Juda domini Jesu Christi proditore…”.
Infatti, almeno cinque sono i capi d’accusa di cui Formoso si sarebbe reso colpevole. In primis, solo per ambizione personale egli avrebbe abbandonato la sede di Porto (Ostia) per salire alla Cattedra di San Pietro, Cattedra già occupata dal Papa Giovanni VIII. “Responde mihi quanta habes iniquitates?” incalza subito dopo Stefano VI dall’alto del suo papale scranno, dando per provate accuse che provate non sono affatto. Dalla terra della tenebra dove brilla l’oscurità (Giobbe X, 22) Formoso si difende… come può, scherzando anche sul suo nome, sulla “grandezza” del suo corpo, poiché, si sa, nomen omen, un nome un destino…
La mummia del defunto pontefice viene spogliata di ogni residua insegna che potesse ancora dare dignità alla sua figura di prelato, di uomo di chiesa, di Papa. Vengono quindi distrutte sia la mitria che il pastorale del Papa. Inoltre gli vengono mozzate le tre dita, segno di potenza teurgica con cui – indebitamente, secondo l’accusa – egli aveva impartito benedizioni… urbi et orbi, alla città di Roma e al mondo intero.
“… corpus Formosi – si può infatti leggere nei resoconti dell’epoca – exhumatum sacerdotalibus indumentis indutum, tribusque digitis mutilatum in Tiberim proiecit…”. I giudici sapevano infatti che queste tre dita indicano vitalità e forza operanti in sinergia e capaci di agire sia sul piano visibile, immanente, sia su quello invisibile, “magico”.
Per completare la damnatio memoriae viene poi ordinato di distruggere tutte le immagini del condannato, ovunque esse si trovassero.
Il cadavere del Papa, dalla plebaglia aizzata ad arte, al termine dello strano processo, viene quindi gettato fuori della basilica, trascinato per le vie di Roma fino a straziarlo del tutto e nascosto in una fossa comune riservata ai pellegrini che avevano avuto la sventura di vedere l’Urbs aeterna… per l’ultima volta.
Ma anche qui egli non trova pace, poiché qualche giorno più tardi il corpo di Formoso, o ciò che ne rimane, viene rimosso dalla indegna sepoltura e “… in collo eius quaedam ligari pondera et in fluvium mergi praeceperit…”, ossia viene gettato nel Tevere con un grosso peso al collo. Il popolino romano, dai ponti, dal greto del Tevere indica vociando il cadavere che, trascinato dalla corrente, fatica a scomparire sott’acqua. Poi più nulla…
“Tolle corpus meum a flumine…”
Ma una notte dell’Anno del Signore 898, un pio monaco ha un sogno in cui in cui il povero pontefice lo prega di raccogliere le sue spoglie e di dargli degna sepoltura. “Ego sum Formosus papa, tolle corpus meum a flumine deductum…” sembra siano state le parole udite nel dormiveglia dal religioso che si desta di soprassalto, terrorizzato da ciò che ha visto e udito nella sua onirica avventura, ma ancor più da ciò che gli viene chiesto di fare.
Il sogno prende consistenza quando il monaco si reca nottetempo vicino alla chiesa di Sant’Aconzio, nella diocesi di Porto, la diocesi di Formoso e, nella melma fangosa, con orrore scopre veramente il cadavere del Papa.
Il viso è ovviamente sfigurato, le occhiaie vuote, ma l’imponente corporatura è stata in gran parte risparmiata dall’azione dissolutrice dell’acqua e Formoso – narrano quelle antiche cronache – è ancora “… compactum et integrum…”.
In seguito si provvede a dare la giusta sepoltura, in San Pietro, allo sventurato Papa, con un funerale che vede un vastissimo concorso di popolo, tra canti, incensi e preghiere. Anche se, ancor oggi, sembra che neppure l’Ufficio Archeologico del Vaticano sappia indicare con esattezza dove si trovi il sepolcro del Papa riesumato, processato e condannato quando la sua anima forse già vagava tra i “Campi Elisi”…
In Vaticano sono riportati tutti i nomi dei Papi che, nel corso dei secoli, sono saliti sul Trono di Pietro e lì sepolti. C’è anche Papa Formoso…
Roberto Volterri
L’articolo è tratto dal volume ODISSEE DI SANGUE di Roberto Volterri, Eremon Edizioni… Vita, miti, leggende, vampirismo… da Vlad l’Impalatore a Erzsebet Bathory, da Gilles De Rais a Sawney Bean. E ben oltre…
Questo libro è un viaggio tra alcune tra le più atroci nefandezze che l’homo homini lupus può avere commesso nel corso dei secoli. Il “viaggio” parte con una lunga esplorazione – compiuta dall’Autore – della Transilvania e dei castelli in cui abitò Vlad III Tepeş, l’Impalatore. Prosegue nel castello di Csejthe dove la “Contessa sanguinaria” Erzsébet Bathory assassinò decine e decine di innocenti fanciulle per bagnarsi nel loro rosso fluido vitale alla ricerca di un’eternità che invece la condusse ad essere murata viva.
Ma il vostro “viaggio” non termina certo qui, poiché vi attendono altre “odissee di sangue”, qualche interessante esperimento sul tema e un’interpretazione “scetticamente psicologica” dell’umana follia…