SPETTRI DI CARTA: “OLTRETOMBA COLORE” E L’EREDITÀ OCCULTA DEL ‘69

La cultura di massa degli anni ’60 si nutre di scuole, caserme, tribunali, carceri e cimiteri. Una società rurale non ancora scomparsa e una società di massa “arrivante”. Nuove identità di classe. La sociabilità di gruppo passa dalle piazze, ai caffè, ai luoghi del dopolavoro. Circoli anarchici, periferie urbane, osterie, il tutto in una transizione post-fascista sorvegliata dalle pratiche religiose. Una geografia di luoghi sacri nella penisola, con Madonne votive, chiese di campagna e riti di passaggio (matrimoni, funerali, battesimi) a ricordare un’intensa devozione religiosa in tutte le classi sociali.

Nel frattempo la vita quotidiana si fa più dinamica, mobile, con una densità degli spazi urbani intasati dalle automobili. Ai rituali religiosi la quotidianità laica contrappone luoghi e simboli nuovi: Musichieri, paparazzi, Dolce Vita, televisioni alla portata di tutti.

Gli anni Sessanta hanno lasciato una traccia profonda dentro di noi, anche in chi non c’era, non esisteva ancora, non sarebbe esistito più. Frammenti di quel cortocircuito sono forse arrivati fino a noi.

Echi.

Spettri dissolti in altri consumi.

Quel paesaggio, quelle generazioni sono morte. Ormai fantasmi fuori di noi. Quelle ideologie, quelle apocalissi, i movimenti studenteschi, operai, quella violenza politica è scivolata in un tempo disarticolato, fuori posto, deportato. Oggi, a distanza di così tanto tempo, avvertiamo ancora qualcosa di quei fantasmi culturali? Tutto pare essersi dissolto in una sorta di poltiglia, di amnesia collettiva. Eventi indecifrabili, ricordi di stragi?

Fabio Camilletti, in un breve e denso saggio intitolato “L’altro ’68 di Horror, il fantastico e noi” sostiene di sì. Forse tracce di questa immensa maledizione della maledizione riemergono dai mercatini digitali di E-bay e Amazon: reliquie sotto formalina delle varie mummie della Repubblica, santi, uomini politici, vergini immolate alla furia dei satiri campagnoli.

In quel calderone disperso di contraddizioni tra vecchio e nuovo del boom economico, il fumetto nero prospera e declina con le sorti di un paese alimentato da rinnovate aspirazioni di felicità e strangolato dalle crisi post-industriali degli anni ’70. Il fumetto nero (la sua galassia sterminata fatta di saghe, personaggi, corpi di carta, corpi femminili, streghe del desiderio, perversioni a poche lire scritte e immaginate per un lettore distratto, un pendolare dell’anima, quasi un esponente di un’occulta società di congiurati e minorati onanisti) procede con le sue formule, quasi come un esorcismo fallito che pare scongiurare il peccato e la morte solo per produrne altra. Il mondo del fumetto nero va male. Il mondo nel quale il fumetto nero esce nelle edicole va male. Il male primitivo della comunità non è più confinato nei crocicchi dei paesi, non è più limitato all’arcaismo delle comunità rurali. Un nuovo potere crescente e indelimitabile sembra necrotizzare il paese intero. La libido esplosa e senza meta del fumetto nero non è più radicale o rivoluzionaria, bensì amalgamata con un’Italia brulicante e sommersa, spensierata e crudele, mossa da istinti profondi e ferini. Un’Italia necrofila, affascinata dai gesti violenti, dai sacrifici rituali, dai bisogni di lavare nel sangue i propri peccati inconfessabili; bandiere e lapidi, riti commemorativi, folclore popolare, corpi imbalsamati di sante bambine, papi e sovrani si impastano coi nuovi cadaveri dell’immaginario collettivo, in una processione salmodiante di carabinieri col pennacchio e monaci ciechi in ogni parte del paese. Un potere religioso e ubiquo si impasta nella modernità italiana e nella sua cultura. Una cultura cardinalizia, regressiva, ambigua e pre-fascista, imbevuta di razzismo, torture e un voyeurismo impotente e goliardico.

Le complesse liturgie della Repubblica italiana trovano compimento nella sanguinosa e fredda dimensione rituale delle tante copertine del fumetto nero. Il vampiro presenta. Lo scheletro. Oltretomba. Oltretomba gigante. Oltretomba colore. Spettri, appunto. Eredità culturali di una rivoluzione del passato, dal passato. Una rivoluzione abortita. Una gran festa in maschera di maschere. Revenant in perpetuo. Volti e voci dall’oltretomba. Quello reale e quello cartaceo che si confondono senza soluzione di continuità.

La voce di Moro che esce dal covo milanese delle Brigate Rosse, incisa in nastri della Revox. Una voce che dal 1978 al 1990 non smetterà di tacere, di continuare a saltar fuori. Italcasse, fondi neri. Andreotti. Pecorelli. Dalla Chiesa. Golpe Borghese. Una voce dentro un registratore Revox che lancia una maledizione su un paese intero a un passo dal baratro del golpe. L’anima (nera) profonda e reazionaria di un’Italia che si specchia nella dimensione fisica ascetica dei politici democristiani, o nelle trasfigurazioni popolari del fumetto nero, del cinema di massa, della cultura popolare degli anni ’60 e ’70. La bomba alla banca dell’Agricoltura di Milano avrebbe aperto uno squarcio. Un buco nero. Un fantasma in seconda dal quale sarebbero fuoriusciti tutti gli altri. Un processo spettrogeno incorporato paradossalmente nelle apparizioni culturali di quegli anni.

Conseguenze.

Concatenazioni.

Proliferazione spontanea di un altro ’69, una dimensione parallela, fantasma dalla quale non siamo più usciti. I sortilegi di quegli anni sono scivolati dentro di noi, una nebbia fantomatica e feticistica ci ha circondato. Un rumore sordo, cupo che sembra venire dal ventre della terra. La banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana. Tutto si è sgretolato allora. Frantumi di oggetti vorticanti nell’aria, sparati via velocissimi come proiettili. Una luce. Una vampata. In quell’eterno orario: 16.30 di venerdì 12 dicembre 1969. Un mulinare di lamiere e schegge arroventate che entrano nei corpi, recidono, troncano. La musica potrebbe essere quella dell’esplosione di Zabriskie Point fatta dai Pink Floyd. L’odore è quello acuto, acre del fumo. Quello dolciastro e pesante del sangue umano. Le foto in bianco e nero di allora mostrano scenari di distruzione e desolazione. Lenzuola bianche sopra ai visceri e alle ossa delle vittime. E poi il buco nero nel pavimento, dove prima c’era la “rotonda”, la sala d’attesa, evoca l’ombra vuota di un potere occulto e impunito, un coacervo criminale di faccendieri e personaggi che cominciano a parlare col linguaggio delle bombe. Intanto i corpi prendono la strada di via Gorini, all’obitorio milanese. Il passo successivo potrebbe essere quello di tante copertine cimiteriali dei fumetti neri di allora.

Oltretomba colore cominciò a uscire a pochi anni da quel massacro, nel novembre del 1972, quando i nomi di Franco Freda e Giovanni Ventura avevano già preso a circolare. Le uscite di Oltretomba colore furono messianesimo psichedelico per chi ancora non c’era, per chi non c’era più, per chi non ci sarebbe mai stato. Linguaggio spinto accompagnato da dei mandala coloratissimi e violenti. Colori accesi, intermittenti, saturi.

Anche i primi comunicati delle BR di quegli anni erano egualmente accesi, saturi, ermetici. Il linguaggio del fumetto nero trova terreno fertile nella violenza culturale di quel periodo, in una violenza illustrata che dilaga dalle pagine dei giornali, dalle fotografie, dai testi della politica.

Ora, per porci una domanda futile, sempre la stessa poi, che rapporto intercorreva tra quei fumetti e ciò che rimaneva del cinema gotico e horror italiano (e non) di allora? Bisognerebbe scorrere quelle pagine ammuffite, dissolte, indecifrabili. Bisognerebbe avere quei volumetti disposti l’uno accanto all’altro e riaprire il mistero avvolto di quei testi.

Eccoli allora.

Novembre 1972.

Oltretomba colore esordisce con “Lycantropus”, storia di incesti e uomini lupo pedofili. Il n. 3 del marzo 1973 “Metamorfosi” vede un razzista sfigurato che inietta in cavie umane sieri biliari prelevati dagli alligatori con l’intento di rigenerare le parti corporee. Il n. 4 (aprile 1973), “Ossessione”, parla di medium assassini che evocano gli spiriti di genitori incestuosi. “Morire per sempre” (n.7, luglio 1973) prende delle suggestioni dal film “Vampire amanti” del 1970 e si rifà al vampiro folklorico del ‘700 illuminista. “I colori della follia” (n. 17, maggio 1974) gioca la carta dello psycho-thriller con un pittore maniaco ossessionato dai colori e dalla violenza contro giovani donne.

Le storie di Oltretomba colore hanno una cura nei disegni interni maggiore rispetto alle altre collane, inoltre le trame giocano sui cromatismi baviani ed esasperati, facendone i veri protagonisti delle tavole. Anche la copertina di questo n. 17 è tra le più belle e suggestive dell’intera collana e condensa in una sola tavola più situazioni.

I numeri 21 e 22 (settembre/ottobre 1974) “Il profumo del cadavere” e “Necrofollia” sono dei veri e propri inni alla necrofilia e al sadismo sessuale. Il n. 26 “Putrefazione” esce nel febbraio del 1975 e fin dalle primissime pagine raggiunge vette oggi impensabili di cattivo gusto e pedofilia (e basterebbe la copertina per finire tutti in galera e buttare via la chiave!).

Prosegue poi sulla falsa riga dell’horror iberico “Horror express” del  1972 con un alieno sadico e perverso alla ricerca di corpi freschi da possedere! Il n. 31 del luglio 1975 “I fantasmi dello sterminio” si inserisce nella moda dei film nazi-italiani di allora, ricalcando parzialmente il soggetto del recente film della Cavani “Il portiere di notte”. Il n. 32, “I traditori”, è una storia di spettri e marinai e rimanda alla lontana a uno strano film di Rollin, “L’isola delle demoniache” del 1973.

“Il segno dell’iguana”, n. 45 del settembre 1976, anticipa tutta la diatriba che porta alla nascita di “Zombi 2” di Fulci/Sacchetti. Lo dico perché questo fumetto, almeno nelle prime tavole, sembra rimandare a certe cose di quel film di poco successivo (una ragazza che si fa accompagnare dal suo boy su un’isola alla ricerca del padre, un professore scomparso alcuni anni prima assieme a un suo collega; sull’isola pare scoppiata una strana epidemia). Inoltre la trama del fumetto (pur parlando di uomini iguana, disegnati quasi come degli zombi caracollanti) ha fortissime somiglianze con quelle di “Zombi Holocaust” del 1980. Anche qui abbiamo uno scienziato pazzo che trasforma gli indigeni in mostri e li sottomette alla sua volontà. Che gli sceneggiatori abbiano avuto tra le mani questo fumetto?

“Teatranti” è il n. 48 e ci riporta alla Parigi di inizio secolo, sul palcoscenico di un teatro di Grand Guignol funestato da una storia di ossessioni e traumi familiari.

Gli anni passano anche per Oltretomba colore e si arriva al 1977. Un’altra Italia fa da sfondo a questi fumetti horror. Come per Oltretomba gigante e le altre collane horror, il gotico ha fatto il suo tempo. Presto le sale cinematografiche verranno invase da pellicole splatter, piene di effetti speciali e nuovi mostri seriali. Oltretomba colore prova a stare al passo con storie ambientate in un mondo contemporaneo fatto di night-club e province americane, ma non sarà più la stessa cosa. Il n. 61, “Malocchio” (la copertina è tra le più belle dell’intera collana), esce nel gennaio del 1978. La trama, ancora imbevuta delle atmosfere di un’Inghilterra puritana e ottocentesca, è incentrata su un club privato di nobili pervertiti e una bambola femminile di dimensioni reali che finisce per sedurre e uccidere i suoi amanti. Il n. 62, “Spaventapasseri”, ha una trama interessante: nella prima parte (una Guascogna del 1910) gli sceneggiatori sembrano ricordarsi la prima parte del film “L’immoralità”, in uscita proprio in quel 1978. La trama poi si evolve verso il sovrannaturale, con l’evaso pedofilo che, ucciso e seppellito dal padre e dal fratello della ragazzina che lo nasconde e con cui ha intrecciato una relazione immorale, entrerà nelle spoglie di un lugubre spaventapasseri, portando così a compimento la sua vendetta oltretombale. Questo secondo pezzo pare anticipare di un decennio l’intreccio horror di un bellissimo romanzo breve di Alan Altieri uscito per Mondadori nel 1991.

Gli ultimi due anni di Oltretomba colore vedranno calare la qualità generale delle storie, ormai prossime al porno e alla commedia trash. Le pubblicazioni cesseranno nell’agosto del 1979 col n. 80. In quel medesimo ’79, a febbraio, si era arrivati alla prima sentenza per la strage di piazza Fontana, con l’ergastolo per Freda e Ventura e la piena responsabilità della cellula veneta. Responsabilità che verranno dissolte dal secondo grado, nel 1981.

In un’altra Italia.

In un altro mondo.

Davide Rosso