… o si diventa?
Insomma, tutto questo gran parlare di “vampiri” , di “vampirismo”, di un sadico Conte dalle insane abitudini notturne – in realtà più eroe nazionale rumeno che… tenebroso succhiatore di sangue altrui! – dovrebbe costituire argomento di conversazione più in ambito medico o far parte di un corso di studi sull’etnografia degli abitanti della lontana Transilvania?
Gli “esperti” di settore dovrebbero essere gli storici o, più ragionevolmente, i medici, forse gli psichiatri?
In queste brevi note non riassumerò certamente le eroiche imprese contro gli odiati Turchi dell’ineffabile Vlad Tepeş – il quale, per alcuni aspetti, avrebbe fatto impallidire anche il “buon” Marchese De Sade… –, non tornerò sull’ormai notissimo “vampiro” di Bram Stoker e sull’ampia e suggestiva filmografia che ebbe proprio le sue origini dopo l’uscita del fortunato romanzo, non mi avventurerò tra “paletti di frassino” e croci (preferibilmente d’argento, come le pallottole necessarie a far passare a miglior vita il degno “compare” del vampiro, il licantropo…), no, non farò nulla di tutto questo, ma cercherò di esaminare brevemente alcuni aspetti medico-psichiatrici del fenomeno “vampirismo”.
Il titolo e l’incipit di questo articolo contengono probabilmente già la risposta al quesito che mi sono posto e che ripropongo all’attenzione dei lettori.
“Vampiri” – per alcune alterazioni genetiche – si nasce. Ma in certi casi… ci si diventa.
O, molto più correttamente, alcune caratteristiche del cosiddetto “vampiro” rientrano verosimilmente più nel campo delle patologie ematiche che in quello del transilvano folklore contadino.
Come rientrano – in taluni casi – anche nel campo delle patologie di origine psichica.
Almeno questa è l’opinione che chi scrive si è fatta dopo molte primavere (e molte altre stagioni…) passate a esaminare la letteratura, scientifica o meno, sull’argomento.
Puntualizzo: sono convinto che non esistano, non siano mai esistiti i cosiddetti “non morti”. Sono convinto che alcune strane vicende accadute (si dice…) nei secoli andati – ovvero ciò che si racconta intorno al brukolakas greco, il quale aveva la caratteristica di non decomporsi (perché sepolto con rito della religione ortodossa, perché suicida, perché spergiuro, perché…), ciò che si vociferava intorno al nachzeher di origine polacca, ma con “parenti prossimi” emigrati addirittura in Canada, il nachzeher affetto, diciamo così, da “necrofagia bulimica” ma scarsamente raffinato poiché si sarebbe accontentato di mangiare incessantemente, nella tomba, il proprio sudario e, in mancanza d’altro, anche le proprie mani e braccia – debbano essere “rivisitate” alla luce delle nostre attuali conoscenze in campo tanatologico, medico in generale e – perché no? – psichiatrico.
Lilith, divinità di origine mesopotamica, demone femminile associato alla tempesta, alla notte, alla morte. Forse “vampira”…
Fermo restando il fatto che l’etnografia, il folklore, la storia possono e debbono fornire le basi necessarie ad inquadrare il fenomeno “vampirismo” in un’ottica più moderna, più scientifica, più rispettosa del sempre valido rasoio di Occam.
Dunque, quali possono essere in ambito medico le vie percorribili per cercare di inquadrare il fenomeno da un punto di vista prettamente medico?
Abbiamo poche ma interessanti possibilità: la Sindrome di Renfield, il Morbo di Gunther e alcuni ulteriori anomali comportamenti della complessa entità biologica che chiamiamo “Uomo”.
Vediamole una alla volta, estrapolandone alcune da un interessantissimo studio su tutte le sfaccettature del “vampirismo” effettuato anni fa da Massimo Introvigne (La stirpe di Dracula, Mondadori 1997).
Proprio in onore di uno dei principali personaggi descritti da colui al quale si deve la diffusione del mito del “vampiro”, Bram Stoker, fu denominata Sindrome di Renfield tutta una serie di caratteristiche cliniche costituenti la base essenziale dei casi di “vampirismo” annoverati nella letteratura medica.
Nel 1992, Richard Noll, il quale si occupa a Philadelphia di psicologia clinica, enumerò alcune peculiari caratteristiche di questa “sindrome”:
1) Presenza nell’infanzia del soggetto di qualche cruento evento di natura traumatica, tale da aver fornito al soggetto stesso la possibilità di “assaggiare”, volontariamente o meno, il proprio sangue. Con l’avvento della pubertà, tale evento, questi ricordi, queste esperienze possono assumere connotazione “sessuale” e indurre il soggetto a ripeterle per riviverne le piacevoli sensazioni.
2) Questa prima fase può suddividersi in momenti di “autovampirismo”, in cui il soggetto, tramite ferite autoinferte, si procura del liquido ematico da bere subito o da conservare, per breve tempo, per future occasioni. Può seguitare con l’ingestione del sangue di piccoli animali domestici ai quali viene sottratto il sangue per essere successivamente utilizzato. Anche i mattatoi sono luoghi ove di frequente si aggirano gli individui affetti da tale particolare sindrome. La fase più avanzata della malattia – perché di malattia pensiamo debba trattarsi, e non di altro – prevede il procurarsi sangue umano da luoghi ove esso viene conservato (ospedali, ad esempio) con la connivenza di personale addetto, oppure – e qui arriviamo al vero e proprio “vampirismo” – ricorrendo ad esseri umani consenzienti o meno. In alcuni casi ricorrendo a delitti veri e propri.
3) Aberrazioni di natura sessuale che inducono, per accrescerne il piacere, all’assunzione – durante il rapporto o appena prima di esso – di piccole quantità di sangue del partner o, nei casi più gravi, della vittima vera e propria. In quest’ultimo caso si sconfina nella necrofilia vera e propria.
4) Convinzione che l’ingerire il liquido ematico possa far conseguire sensazioni quasi di “onnipotenza”, essendo esso alla base del fenomeno della vita degli organismi superiori.
Ciò che emerse dagli studi di Noll fu che il “vampirismo”, inquadrabile nell’ambito delle caratteristiche fin qui descritte, appare quasi esclusivamente caratteristico del sesso maschile, essendo probabilmente legato anche a fenomeni di natura ormonale.
Ma anche il “gentil sesso”, forse per cause diverse, non appare alieno a comportamenti…”vampireschi”.
Vediamone un altro aspetto.
Nel 1964 un medico, tale Dr. Illis, suggerì che alla base di gran parte dei fenomeni etichettati in passato come “vampirismo” ci fosse una rara patologia, causata da una deficienza enzimatica, nota come Morbo di Gunther o Porfirìa eritropoietica congenita.
Qualche inquietante manifestazione della Porfiria può aver dato origine alle tradizioni legate al Vampirismo. Oppure…
La Porfirìa dà origine soprattutto a una grave forma di anemia emolitica, ovvero di distruzione massiccia dei globuli rossi, e a una consistente fotosensibiità, con conseguenti manifestazioni di “eritrodonzia” che farebbe apparire eccessivamente bianchi, quasi “fluorescenti” i denti illuminati con luce ultravioletta.
A parte quest’ultimo aspetto (non ci risultano “vampiri” osservati alla “luce di Wood”!), riguardo a un aspetto dell’iconografia classica del “vampiro, la Porfirìa può senza dubbio causare un notevole assottigliamento dei tessuti intorno alle gengive, con conseguente bella mostra dei denti più… vampirescamente prominenti: i canini.
Più in dettaglio, le Porfirìe costituiscono un gruppo di malattie a base ereditaria provocanti blocchi nella biosintesi dell’eme, una molecola importante per la formazione di sostanze complesse come l’emoglobina – indispensabile per il trasporto dell’ossigeno nel sangue – e i citocromi, necessari alla respirazione cellulare.
Problemi nella sintesi dell’eme conducono inevitabilmente alla formazione di porfirine accumulatesi nel fegato, nel midollo emopoietico, nella cute.
La carenza degli enzimi necessari alla sintesi dell’eme appare più evidente in seguito al manifestarsi di alcune cause scatenanti, quali sconvolgimenti ormonali, infezioni, stress o assunzione di alcuni farmaci. La Porfirìa è rara in età pre-puberale, appare latente nel 90% degli individui (siamo quindi quasi tutti potenziali “vampiri”!) e gran parte dei casi (l’80 %!) costituisce – con buona pace del già citato Noll – la “rivincita” del “sesso debole” nei confronti dei maschi, poiché colpisce donne di età compresa tra i 15 e i 45 anni, scatenata soprattutto da alcuni momenti del ciclo catameniale.
Quali i sintomi (senza allarmarci e rifuggire subito da cibi a base… di aglio)?
Un persistente dolore addominale, localizzabile però anche nella schiena e nelle gambe, nausea, vomito, tachicardia e, ovviamente… eccessivo pallore del viso, concorrono a fornire un esauriente quadro clinico della Sindrome di Gunther o Porfirìa.
Altre peculiari caratteristiche che forse hanno in passato contribuito a far percorre tale strada agli studiosi del “vampirismo” sono anche un’eccessiva ricrescita di peli intorno a cicatrici, progressive deformazioni delle dita delle mani, del naso e delle orecchie, elementi questi che fanno apparire il malcapitato affetto da Porfirìa quasi un tipico seguace del “vampiro” ben illustrato da Friedrich W. Murnau nel film Nosferatu! Eine Simphonie des Grauens del 1922, argomento poi ripreso più efficacemente nel film interpretato da Klaus Kinski.
Non solo, ma non dimentichiamo che nell’immaginario popolare il “vampiro” è soprattutto una “creatura delle tenebre”!
Ebbene, quasi a farlo apposta, i problemi del povero malato di Porfirìa si accentuano notevolmente quando si espone alla luce solare, soprattutto nella gamma dell’ultravioletto, poiché essa funge da catalizzatore nel formarsi delle porfirine cutanee.
Tutto ciò può aver suggerito, soprattutto in passato, che “strane” abitudini notturne, eccessivo pallore del viso dovuto ad anemia e a… scarsa abbronzatura, particolare magrezza degli individui, eccessiva sporgenza dei canini dovuta al “ritiro” delle circostanti mucose, deformazioni delle mani e di alcuni tratti del volto, fossero dovuti al ritorno su questo nostro strano mondo di qualche… “non morto”.
Un bravissimo Klaus Kinski nel film “Nosferatu, il Principe della notte”.
Nel 1985 ci si mise anche tal dottor David Dolphin, noto chimico dell’Università della Columbia Britannica.
Egli presentò all’American Association for Advancement of Science una sua relazione intitolata Were-Wolfes and Vampires in cui sosteneva che nel Medioevo per alleviare i sintomi della Porfirià, chi ne era affetto cercava di bere grandi quantità di sangue, procurandoselo… come poteva.
Aggiungeva inoltre che chi era colpito dalla Sindrome di Gunther era particolarmente sensibile all’allicina, e al suo caratteristico odore, contenuta appunto nell’aglio. Purtroppo la sua relazione conteneva alcuni piccoli, ma basilari, errori di carattere storico e medico.
Il dottor John Vellutini fece infatti notare, in un suo articolo intitolato The Epidemiology of Human Vampirism: Porphyria, che innanzitutto i casi accertati di comportamento “vampiresco” risalgono al XVII o XVIII secolo e non al Medioevo, anche se tale precisazione, a chi scrive, appare non del tutto rilevante e in contrasto con ciò che si sa a proposito di “casi” risalenti addirittura all’XI o XII secolo, come quelli, ad esempio, descritti in una curiosa dissertazione pubblicata da tale Walter Map in Inghilterra, nel 1190.
Per non parlare di casi risalenti addirittura ai tempi di Apollonio di Tiana…
Il Vellutini metteva inoltre in evidenza come ingerire del liquido ematico non arrecherebbe alcun sollievo al soggetto affetto da Porfirìa poiché i succhi gastrici annullerebbero inesorabilmente i possibili effetti curativi del sangue.
Effetti ottenibili, invece, mediante opportune trasfusioni, impossibili nei secoli passati.
Rimanendo nell’ambito prettamente medico, anche una semplice anemia, comportante un basso numero di eritrociti e conseguente pallore del volto e delle mani, respiro affannoso, continua stanchezza e, quindi, atteggiamenti che potevano apparire “strani” come la necessità di rimanere a lungo a letto, possono aver suggerito in passato che chi ne era colpito era stato… morso da un “vampiro” e, pian piano, ne stava assumendo le caratteristiche.
Anche la catalessi, comportante una perdita totale del controllo sulla muscolatura volontaria, una rigidità del corpo associata a insensibilità verso il calore e stimoli dolorifici, potrebbe aver fatto diagnosticare, troppo affrettatamente, un decesso… mai avvenuto, con conseguente, tragica inumazione di un cadavere che tale non era.
Nell’avello, il malcapitato avrebbe potuto “risvegliarsi”, disperarsi inutilmente, cercare di mangiare ciò di cui disponeva – il sudario e anche il proprio corpo… – dando così origine a strane e improbabili leggende sui morti di “buon appetito” di cui sono piene le tradizioni popolari di ogni tempo e contrada, come testimonierebbe una introvabile – quasi uno pseudobiblion – e strana pubblicazione di Phillip Rohr, del 1679, intitolata appunto De masticatione mortuorum in tumulis…
Nei pressi di Sofia, in Bulgaria, sono stati trovati alcuni scheletri ai quali, in certi casi, era stata posta una grossa pietra tra i denti, forse per esorcizzare un presunto caso di “vampirismo”…
Rara edizione del celebre trattato “De masticatione mortuorum in tumulis”.
Ma perché dimenticare – in questo breve excursus nel campo delle patologie che, in qualche modo, potrebbero spiegare alcuni fenomeni legati al mondo delle credenze popolari in tema di “strane creature” – la licantropia che, per alcune caratteristiche, appare parente stretta del più… alla moda fenomeno del “vampirismo”?
La cosiddetta rabbia urbana, ai giorni nostri ormai del tutto debellabile grazie a tempestive vaccinazioni, appare come una malattia infettiva dovuta a un virus, spesso ad esito letale. Viene descritta addirittura a partire dal VI secolo a.C.
Antica stampa in cui è raffigurata una strana creatura teriocefala, forse un “licantropo”?
L’infezione viene trasmessa dal morso di animale infetto (spesso cani o gatti) o dal contatto di una ferita presente sulla cute del soggetto con la saliva di un animale contagiato.
Esiste poi un particolare tipo di rabbia – la rabbia silvestre – tipica di zone a scarsa o nulla presenza antropica, in aree dunque dove l’uomo è praticamente assente.
In tali casi l’animale “veicolo” della malattia può ad esempio essere la volpe in Russia, il lupo in Iran, dei tipici chirotteri ematofagi nell’America del Sud, le manguste in Sud Africa e India, alcuni scoiattoli in Nigeria e così via.
I sintomi che possono, in passato, aver fatto pensare seriamente alla trasformazione di un uomo in un lupo si manifestano dopo circa 36 ore e mostrano alterazioni del comportamento e dell’umore, stati allucinatori, eccessiva salivazione.
Nella fase successiva – la cosiddetta rabbia furiosa – il soggetto manifesta un’eccessiva aggressività, un evidente strabismo, miosi (caratterizzata da pupilla puntiforme), insensibilità al dolore, idrofobia, ptosi linguale (lingua… a penzoloni), profonda alterazione della voce.
Complesso quadro clinico, questo, che, secoli fa, potrebbe senza dubbio aver fatto diagnosticare una licantropia in piena regola, da curare a base di crocifissi e pallottole d’argento!
Ma per tornare al “vampiro”, a conclusione del nostro rapido viaggio qua e là tra le “creature delle tenebre”, vorrei suggerire ai lettori di effettuare un’escursione in Transilvania, nei territori che videro le gesta del vero “Dracula”, ossia Vlad Tepes III, il quale, su “suggerimento” di Papa Pio II (potenza della “fede”!), in difesa del cristianesimo sterminò circa duecentocinquantamila ottomani.
Come ha già fatto l’autore di queste note, si potrà visitare l’isola situata nel lago Snagov, dove sarebbe stato sepolto l’intrepido Vlad e poco lontano si potrebbe visitare Tirgoviste, tra il XIV e il XVII secolo capitale della Valacchia, dove ancora esiste la Curtea Domneasca, all’epoca residenza del terribile despota, oppure la Torre Chindia, il palco privato da cui Vlad Tepes assisteva compiaciuto all’impalamento degli odiati turchi.
Dieci chilometri più ad ovest c’è la Curtea de Arges, a ridosso dell’omonimo fiume, eretta su uno scosceso picco. Da vedere soprattutto al tramonto, quando calano le nebbie e si ode qualche ululato in lontananza…
Visitabile è anche Castel Bran, dove l’implacabile Vlad fu tenuto prigioniero. E’ stato restaurato… per i turisti, in perfetto “stile Bram Stoker”!
Il viaggio potrebbe continuare per Sighisoara, dove si dice sia nato Vlad e, seguendo alla lettera il fortunato romanzo di Stoker, passare per Cluj – dove Jonathan Harker fa tappa, dopo essere passato per Vienna e Budapest – proseguire per le impressionanti gole di Turdan, tagliate nel calcare dei Monti Trascau, transitare per Bistrata e giungere finalmente al più noto Borgo Pass, magari non in carrozza come il “buon” Harker ma su una strada asfaltata che attraversa stupendi prati e frutteti.
Solo, anche qui, finché non si alza la nebbia e c’è ancora la luce del sole…
Diversi tour-operator organizzano viaggi nel crepuscolare “regno di Dracula”.
Su internet se ne possono rintracciare alcuni.
Per il coraggioso (in tutti i sensi!) “turista-fai-da-te”, è possibile suggerire qualche punto di riferimento in loco.
A Borgo Pass c’è, ad esempio, Castel Dracula (tel. 0040-63-266841); a Brasov c’è l’Hotel Alpin (tel. 0040-68-262343) mentre a Tirgoviste c’è l’Hotel Dambovita (tel. 0040-45-613061) e a Cluj ci si può rivolgere alla Casa Alba (Tel. 0040-64-432277).
Ovviamente salvo variazioni telefoniche apportate in tempi recenti!
Roberto Volterri
Vi segnaliamo in uscita nei primi mesi della primavera 2019 il volume BIOLOGIA DELL’IMPOSSIBILE del nostro Roberto Volterri pubblicato da Eremon Edizioni.
Questo libro vi accompagnerà in una lunga, interessante, a volte incredibile visita tra le infinite stanze che compongono il virtuale “Laboratorio del Dr. Victor von Frankenstein”. Osserverete da vicino qualche esperimento realmente effettuato da medici ai confini tra una geniale follia e il desiderio di far progredire le tecniche dei trapianti. Inoltre vi introdurrete di soppiatto nei laboratori del Dr. Voronoff e vedrete ciò che sperimentava in una villa al confine tra la Liguria e la Francia per donare all’Uomo l’Immortalità. Constaterete come la Natura sia a volte ben più Matrigna che Madre poiché mette al mondo poveri infelici affetti da ogni sorta di anomalie morfologiche. Draghi, mostri veri, finti ed immaginari – forse anche “Vampiri” – vi faranno compagnia per qualche capitolo mentre vi avvicinerete alla parte più “preoccupante” del libro: le Appendici Sperimentali in cui imparerete a realizzare qualche semplice esperimento che vi introdurrà, embrionalmente, nel misterioso mondo dove si aggirarono Luigi Galvani, Giovanni Aldini, Sergej Voronoff, Ulisse Aldrovandi, Konrad Dippel, Raimondo Di Sangro e vari altri folli ingegni che osarono affacciarsi su un mondo strano, affascinante, a volte… inesistente.