A proposito di ciò che “accadde a Roswell” e soprattutto riguardo la suggestiva ipotesi della cosiddetta “retroingegneria”, troppo si è detto, molto si è ipotizzato, poco si è saputo. Il che non è certo confortante!
Le idee-base, il know how che ha portato all’invenzione del Transistor (guarda caso proprio negli anni tra il 1947 e il 1948…), poi dei Circuiti Integrati, del Laser e del Maser, secondo alcune correnti di pensiero poco “ortodosse”, trarrebbe spunto proprio da indagini, studi, ricerche su materiali recuperati da quel “qualcosa” che sembra abbia sconvolto i cieli e i sonni dell’amena località del New Mexico in quei primissimi, afosi giorni del luglio 1947.
Dell’ipotesi che il Transistor – “padre” di tutte le apparecchiature elettroniche e che ha soppiantato le “care, vecchie valvole” della “radio della nonna” (e, prima ancora, di tutte le apparecchiature militari…) – abbiamo già parlato.
In queste poche pagine cercheremo anche di “far luce” – sembra proprio il caso di dirlo! – su più che innovative invenzioni quali il Maser e il suo più diretto parente, il Laser.
Torniamo quindi alla cosiddetta “retroingegneria”…
“…Tra i reperti recuperati e tutte le domande che scaturirono dall’incidente di Roswell – scrive il Colonnello Philip J. Corso nel suo celebre libro “Il giorno dopo Roswell” (p. 114, edizione italiana del 1998) – la mia lista preliminare che necessitava di un impegno preciso nei confronti dei programmi di sviluppo o di semplici inchieste presso la nostra comunità scientifica militare, comprendeva:
Intensificatori di immagini, che poi divennero dei “sistemi di visione notturna”, Fibre ottiche, Fibre ultra-resistenti, Laser, Leghe metalliche ad allineamento molecolare…”.
Il Colonnello Philip J. Corso, all’epoca dei fatti di Roswell. A destra, il suo celebre libro, nell’edizione in lingua italiana.
E poi la lista prosegue con almeno altre dieci aspetti di una tecnologia che… successivamente abbiamo fatta “nostra”. O così pare…
Proprio sulle strane “leghe metalliche” vorrei soffermarmi, poiché su di esse pare ci fossero dei “disegni” che ricordavano alcune iconografie giapponesi o cinesi e che il metallo su cui essi erano raffigurati era veramente diverso da qualsiasi altro all’epoca conosciuto. Qualche “testimone” del crash tentò di perforarli con dei coltelli, ad inciderli o cercare di romperli ma tutti gli esiti furono negativi. Erano, insomma, metalli molto strani…
Sembra ci fossero, infatti, alcuni frammenti di lamine metalliche, una sorta di “Domopak” ante litteram, che, se accartocciati, erano in grado di riprendere quasi istantaneamente la forma che prima possedevano. Ebbene, oggi, alcuni di questi particolarissimi, curiosi metalli esistono e vengono chiamati leghe a memoria di forma.
Tra gli strani materiali che sarebbero stati recuperati a Roswell dopo il crash di un “Oggetto Volante Non (meglio) Identificato” (un OVNI o UFO insomma!) c’erano anche lamine metalliche a “memoria di forma”?
Ad onor del vero, qualche preliminare studio sulla cosiddetta shape memory risalirebbe agli studi di due fisici, Chang e Read, datati al 1932, su leghe Rame-Cadmio, proseguite nel 1938 su leghe di ottone e poi… arenatisi.
Passano gli anni, passa anche il 1947 fatidico e si deve arrivare solo al 1962 per vedere qualche risultato, ad opera del fisico Buehler su leghe Nickel-Titanio.
In quell’intervallo di tempo era forse successo qualcosa?
Erano forse state analizzate le composizioni di materiali provenienti dal “qualcosa” caduto a Roswell e che avrebbero potuto dare il giusto La per trovare l’ottimale composizione di una lega in grado di “ricordare”’, se appena riscaldata, la forma che aveva prima della deformazione subita?
Non lo sappiamo, né con certezza né solo come ardita ipotesi. Però sappiamo che alle ricerche avviate all’inizio degli anni Trenta seguì un lungo “sonno” e che un opportuno, proficuo “risveglio” si ebbe solo all’inizio degli anni Cinquanta, sfociato poi nell’ottenimento di qualcosa di utilizzabile anche industrialmente solo dopo i primi anni Sessanta. Nel frattempo “qualcosa” era caduto a Roswell…
Ma come sono composte tali leghe in pratica?
Le strane “Leghe a memoria di forma”
Sono state messe a punto varie combinazioni di metalli, tra cui l’Alluminio, il Nickel, il Rame, il Titanio, il Ferro, in percentuali variabilissime e in funzione dell’intervallo di temperatura entro cui dovrà avvenire la “trasformazione” all’interno del reticolo cristallino della lega. Trasformazione che condurrà appunto al variare della “forma” finale del metallo, dopo la deformazione subita, mediante la somministrazione di piccole quantità di energia termica.
Negli ultimi anni sono state studiate anche leghe aventi letteralmente una memoria… “di Ferro”, poiché la loro composizione prevede un’abbondanza di tale metallo, “drogato” mediante l’aggiunta di opportune percentuali di Manganese, di Cromo, di Silicio e di Fosforo.
Cosa avviene all’interno del metallo quando esso viene riscaldato?
In generale queste particolari leghe, verosimilmente frutto della ricerca “terrestre” ma – come al solito “ci piace pensarlo” – forse “maturate” con qualche aiuto “esterno”, subiscono una trasformazione di fase cristallina quando vengono portate dalla loro configurazione più rigida ad alta temperatura alla configurazione a più bassa energia e temperatura. Tale trasformazione costituisce infatti la causa principale delle peculiari caratteristiche di queste leghe.
In pratica, quando una lega metallica “a memoria di forma” viene portata a bassa temperatura, assume una configurazione di tipo martensitico, possiede basso limite di snervamento ed è facilmente deformabile. Poi, solo somministrando limitate quantità di calore, la lega “ricorda” la sua forma primitiva, si riassesta in un’altra struttura cristallina, di tipo austenitico, e riassume quindi configurazione e forma iniziali.
Bene, tutto molto interessante, molto “fantascientifico”, ma come è possibile utilizzare tali strane leghe metalliche?
Abbiamo, oggi, solo l’imbarazzo della scelta e nel mio Carrozzone delle Meraviglie potrei stupirvi con effetti speciali!
Si va dall’ingegneria aerospaziale – ove esse vengono utilizzate per l’apertura di antenne e pannelli solari, regolata termicamente dalla presenza o meno della radiazione solare – al “frivolo” utilizzo di particolari montature di occhiali… per VIP, ricorrendo alla cosiddetta “superelasticità”, per finire all’ortodonzia, in cui una piccola molla di Nickel-Titanio, deformata in precedenza a seconda del risultato che si vuole ottenere, viene applicata all’apparato dentale del soggetto.
Basta la temperatura interna della bocca – intorno, quindi, ai 37 °Celsius – per far tornare la… “memoria” alla lega, spingendo così la molla a recuperare la forma iniziale e aiutando i denti a posizionarsi lentamente, senza traumi e in modo naturale nella configurazione ottimale.
Con le leghe a memoria di forma si possono realizzare anche occhiali la cui montatura può assumere le forme più strane (a sinistra) e poi tornare alla forma d’origine. Quasi come le strane lamine che sarebbero state rinvenute a Roswell, capaci di ritornare – una volta piegate – al loro aspetto iniziale…
Che provengano dallo… “spazio” o meno, sono indubbiamente interessantissimi risultati che, però, dovrebbero farci riflettere sull’eterno quesito Siamo soli nell’Universo?. Io direi di no…
Un raggio di luce dallo spazio?
“… Non erano riusciti a capire la funzione dei circuiti prestampati trovati a bordo dell’oggetto, né a cosa servisse un unico condotto di filamenti vetrosi che correva lungo il rivestimento della navicella…”.
Cos’è l’oggetto di cui parla il notissimo Colonnello Corso?
Cos’è la navicella? Ma soprattutto cosa sono i filamenti vetrosi successivamente analizzati dai “soliti” Bell Laboratories spesso citati riguardo a qualche “perplessità” sulla genesi del Transistor?
Consideriamo ora il problema di una possibile “retroingegneria” sollevatosi dopo l’ormai innegabile UFO-crash di Roswell e particolarmente enfatizzato dal compianto colonnello Corso.
In un altro articolo abbiamo iniziato con il mettere in luce qualche “anomalia” cronologica nella genesi del Transistor senza, per questo, nulla togliere all’impegno scientifico del trio Shockley-Brattain-Bardeen. Ma, si sa, un minimo d’aiuto non fa mai male… – e abbiamo proseguito con gli “effetti speciali” prodotti dall’introduzione in campo aerospaziale ma anche in moltissimi aspetti della vita di tutti i giorni, delle cosiddette leghe a memoria di forma.
Ben consapevole che non si può certamente generalizzare riguardo a tutte le invenzioni o scoperte che lasciano quasi “allibito” l’uomo della strada, conscio del fatto che il progresso scientifico e tecnologico in particolare procede con legge esponenziale e ciò che ieri apparteneva soltanto ai libri e ai film di fantascienza oggi è realtà quotidiana, alquanto edotto sulle varie tappe che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’ottica elettronica – non fosse altro che per un quotidiano uso, in ambito universitario, di sofisticate strumentazioni quali il Microscopio Elettronico a Scansione o quello ad Effetto Tunnel – vorrei ora gettare qualche “ombra” (si fa per dire, ma il calembour appare inevitabile…) su quello “strano”, suggestivo, coloratissimo “raggio di luce” monocromatica che conosciamo sotto il nome di LASER.
E sì, perché anche il Colonnello Corso, negli ultimi suoi mesi di vita, quando ormai… poteva parlare “senza rischi”, nel suo libro Il giorno dopo Roswell avanzò il ragionevole dubbio che tra le scoperte o invenzioni degli ultimi decenni anche il LASER non fosse tutta “farina del sacco”… terrestre.
“[…] Gli scienziati del poligono di Alamogordo, che avevano effettuato dei sopralluoghi a Roswell, riferirono che gli alieni, apparentemente utilizzavano delle avanzatissime strumentazioni per la stimolazione delle onde, che avevano molto in comune con i tradizionali generatori di microonde. La squadra di recupero rinvenne anche una specie di corta e tozza torcia, dotata di una fonte di alimentazione interna, che proiettava, a breve distanza, un fascio finissimo, ma così intenso da tagliare il metallo. Anche il funzionamento di questo congegno, secondo gli ingegneri di Wright Field, si fondava sulla stimolazione delle onde…”
Ma cos’è il LASER?
Dal MASER al LASER
Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ecco cos’è il LASER, ovvero un dispositivo in grado di amplificare la luce tramite una stimolata emissione di radiazioni.
Vediamo un po’ gli aspetti cronologici di questa fantastica invenzione…
Tra il 1953 e il 1954 – quasi sette anni dopo l’UFO-crash di Roswell… – fu ideato un metodo del tutto nuovo per la produzione di onde elettromagnetiche ad altissima frequenza, ben oltre il campo delle micro-onde.
L’elettronica degli anni precedenti – ma sì quella delle care, vecchie “valvole”, dato che anche il Transistor aveva da poco iniziato a fare i primi incerti passi e non poteva certamente lanciarsi in avventure ben al di sopra delle sue possibilità – si era limitata a controllare ed usare l’energia degli elettroni liberi di muoversi da un atomo all’altro.
Insomma gli elettroni che nella “valvola” fluiscono all’interno del filamento e poi da questo all’anodo, magari attraversando prima la “Griglia controllo” per dar luogo ad un segnale elettrico amplificato.
Il dispositivo inventato nel 1953 per produrre onde elettromagnetiche a frequenza altissima si basava invece sull’utilizzo degli stati energetici interni agli atomi.
Era un apparecchio in grado di generare e amplificare radiazioni elettromagnetiche a oltre 24.000 Megahertz. Oggi ci sembra del tutto normale che il nostro telefonino o il forno a micro-onde della nostra cucina funzionino a circa 2.500 MHz, ma mezzo secolo fa era impresa difficilissima raggiungere frequenze anche più basse, quasi impossibile a compiersi con l’utilizzo dei metodi dell’elettronica tradizionale.
Questo nuovo rivoluzionario dispositivo fu denominato MASER, acrostico di Microwawes Amplification by Stimulated Emission of Radiation, ovvero amplificazione di micro-onde per mezzo di una emissione stimolata di radiazioni.
Eravamo ad un passo dal LASER…
Questo “passo” richiese altri quattro anni…
Nel 1958, infatti, due ricercatori, A.L. Schawlow e C.H. Townes idearono un metodo per aumentare di moltissimo la massima frequenza delle onde elettromagnetiche generabili con il MASER. Due anni dopo realizzarono il primo vero e proprio apparecchio in grado di emettere un raggio di luce intenso e quasi del tutto “parallelo”, ovvero non “divergente”. Inoltre, questo raggio luminoso appariva, puro, monocromatico e “coerente”, ossia in fase.
Dieci anni dopo Roswell, A.L. Schawlow insieme ad un altro ricercatore mette a punto un generatore MASER, “nonno” del più celebre LASER.
Sopra, il dottor Roberto Volterri quasi… “un secolo fa” nel suo classico “laboratorio in cantina” in cui effettuava strani esperimenti poi descritti nei libri “Psicotronica”, “Enigma Uomo”, “Alla ricerca del pensiero”, “Dimensione Tempo”. Sotto, davanti al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) con cui lavora abitualmente.
Ma vediamo passo dopo passo come si è “ufficialmente” arrivati all’invenzione di cui parliamo.
Così vuole la storia “ufficiale”…
Townes durante la Seconda Guerra Mondiale aveva tentato di produrre un Radar a micro-onde ma senza risultati, quindi, dopo il conflitto, concentrò i suoi studi sull’uso di frequenze altissime per lo studio delle molecole di alcuni gas. Gli serviva una radiazione monocromatica, pura e controllabile senza eccessive difficoltà.
Insieme a un suo studente, Gordon Gould, “spulciarono” su lavori di Albert Einstein, del lontano 1917, sulla emissione stimolata di radiazioni. Le difficoltà apparivano però insormontabili.
Insomma mancava la “tecnologia” necessaria e forse qualche… “spunto” in più.
Solo nel 1953 – sei anni dopo Roswell, ma questo è un dettaglio trascurabile. O quasi… – impiegando come gas l’ammoniaca realizzarono il dispositivo che prima abbiamo incontrato, il MASER.
C.H. Townes e Gordon Gould davanti al loro MASER.
Sembra strano, ma proprio nello stesso periodo anche in Russia si ottenevano gli stessi risultati ad opera dei fisici Nicolay Basov e Aleksandr Prokhov…
Forse anche in Russia “dall’alto dei cieli” era caduto “qualcosa”?
Nel ristretto gruppo americano di ricerca entrò poi Arthur Schawlow al quale venne l’idea – così vuole la storia “ufficiale” – di porre due particolari specchi agli estremi del “tubo”, ovvero la “cavità risonante”, entro cui “rimbalza” il raggio luminoso prima di uscire con le caratteristiche tipiche del LASER.
I ricercatori americani affermarono che quando i fotoni viaggiavano perpendicolarmente al piano dei due specchi inseriti nel “tubo”, ora conosciuto come Risonatore Fabry-Perot, l’energia della radiazione luminosa si accresceva di intensità fino a che appariva così intensa da attraversare uno degli specchi, quello semi-argentato e quindi meno riflettente. Ne usciva appunto un lampo di luce, di enorme intensità e con caratteristiche del tutto nuove.
Nel 1960 Theodore H. Maiman sostituì i gas, dapprima utilizzati, con un cristallo di rubino, il cui colore dipende dalla quantità di Cromo esistente nell’ossido di Alluminio che compone il cristallo: era nato il sottilissimo, suggestivo, quasi… “spaziale” raggio rosso che nell’immaginario collettivo rappresenta il LASER.
Il “raggio” di Maiman era, in realtà, solo ad impulsi e… rosato poiché il rubino conteneva solo lo 0,05% di Cromo, ciò lo rendeva forse meno “spaziale”, ma il dettaglio poco importa ai fini dell’importanza dell’invenzione.
Invenzione fatta presso i laboratori della Hughes Aircraft Company e migliorata moltissimo con la generazione di un raggio continuo. Questo accadeva nel 1962, nei Bell Laboratories.
A sinistra, Theodore H. Maiman con il suo embrionale LASER. A destra un moderno LASER con il suo caratteristico “raggio rosso”.
Ma sì, gli stessi che abbiamo già incontrati riguardo a un’altra “improvvisa” invenzione: quella del Transistor…
Fin qui la storia “ufficiale”, ma – come nel caso di altri “incredibili” e repentini “balzi in avanti” tecnologici – è possibile che sia giunto… da qualche parte un piccolo ma sostanziale “aiuto”.
E’ possibile che ciò che era stato già intuito dalla nostra Scienza – suvvia, non sottovalutiamoci! – abbia progredito rapidissimamente grazie ad operazioni di “retroingegneria” effettuate su materiale “raccolto” a Roswell, frutto di una Scienza basata sugli stessi, universali principi della Fisica ma nata – perché no? – “qualche tempo” prima?
Non su questa Terra…
Roberto Volterri
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