Una delle sequenze a cartoni animati che ho sempre trovato fra le più memorabili tanto sotto il profilo umoristico che filosofico è quella in cui Wile E. Coyote cammina tranquillamente nel vuoto fino a quando non si rende conto di essere privo di terreno sotto i piedi. E allora, naturalmente, precipita. Un’intera lezione sul solipsismo espressa in due gesti: la realtà esiste solo quando e se la percepiamo, ma lo spazio della battuta è quello del momento sospeso in cui noi siamo restii a percepire la realtà e la realtà fatica per un attimo ad affermare le proprie indiscutibili ragioni. Difficile trovare qualcosa di paragonabile all’invenzione di Chuck Jones. Difficile ma non impossibile.
Mentre i coniugi Griffin stanno fuggendo in auto, Lois dice: “Stanno arrivando. Non avremmo dovuto rubare questo film.” Ma Peter non è d’accordo: “E’ più emozionante di quella volta che avevo dimenticato come ci si siede”; di seguito lo si vede in salotto che va verso una poltrona, quindi si ferma e la osserva un po’ perplesso e quasi diffidente, infine si lancia a pesce su di essa distruggendola e schiantandosi al suolo. Il flash-back dura pochissimo (12 secondi), eppure io lo ricordavo molto più lungo… ma nonostante le ricerche su YouTube svolte sia da me che da veri e propri esperti della rete e dei Griffin su mia commissione, non ho trovato niente di ciò che pensavo di aver visto, ovvero una serie di esilaranti prove che Peter faceva per imparare di nuovo a sedersi: con la testa sul cuscino e le gambe in aria, o steso ad arco sulla sedia, o ancora in piedi su di essa, ritto su un solo arto inferiore come le gru quando dormono, e via delirando…
Tempo dopo scoprii che in realtà demenzialità del genere riguardano il protagonista dei Griffin quando non sa più come scendere le scale. Peccato. Scherzi della memoria. In ogni caso, sedersi o scender le scale che sia, c’è un motivo ben preciso per l’interesse che nutro per elementari dimenticanze del genere: se ci penso sufficientemente a lungo e approfondisco bene la questione, infatti, sono in grado di autosuggestionarmi al punto di non esser neppure più in grado di sollevare un bicchiere… forse per questo sono così affezionato a quei dodici secondi (al punto da moltiplicarli almeno per qualche minuto): perché non mi abituo a niente – o mi disabituo facilmente a tutto.
In ogni caso, le macroscopiche dimenticanze di Peter pongono almeno due questioni: una letterale – abbiamo appreso culturalmente a sederci, la prova è che per gli occidentali farlo a terra e non sulla sedia, almeno nella quotidianità (che so, quando si mangia), è un vero supplizio (e naturalmente valeva il contrario per popolazioni come quella giapponese prima della Seconda Guerra Mondiale) e quindi possiamo anche disimparare a farlo… magari in futuro succederà – se per qualche ragione che oggi non riusciamo a immaginare ci risulterà comodo non sederci più (almeno come lo intendiamo adesso). La cosa non è così strana quanto sembra, se si pensa che, per fare un altro esempio, la camminata degli uomini del Medioevo era assai differente da quella attuale: il piede veniva appoggiato sulla punta, dato che le strade dell’epoca erano ben diverse e ben più insidiose delle nostre e quindi era il caso di usare “i piedi di piombo” per procedere, anche perché le calzature erano una sorta di guanto di pelle (senza suola e senza tacco); si pensi anche al modo in cui si nuotava un tempo, portando avanti la spalla e con la testa ben fuori dall’acqua; in entrambi i casi penso che la velocità come valore della nostra cultura abbia determinato i cambiamenti avvenuti in questi due gesti elementari e capitali.
La seconda questione è più filosofica. Se è vero che non si può vivere senza sapere come “sedersi” – in un modo o nell’altro, qualunque cosa voglia dire storicamente – è anche vero che non si sa nulla dell’angoscia della vita se almeno per un attimo non si ritiene innaturale, come di fatto è, posare le proprie natiche su una poltrona, un divano o uno striminzito sgabello.
A conclusione dei 12 secondi che mi sono concesso per questa notarella, vorrei ricordare una geniale – e anche in questo caso brevissima – sequenza di Mr. Crocodile Dundee 2 (o forse era Mr. Crocodile Dundee 1?) nella quale il primitivo protagonista, trovatosi in una camera d’albergo e notato un televisore, lo accende: lo osserva per un attimo e poi lo spegne dicendo: “Ah sì, anche quell’altro funzionava così”, ovvero: non vede niente dentro il televisore perché per farlo bisogna essere abituati storicamente a guardarci dentro e lui non lo era poiché aveva sempre vissuto immerso nella natura come una sorta di Tarzan (proprio come io non noterei altro che macchioline indistinte nel vetrino di un microscopio perché non saprei che cosa dovrei aspettarmi di percepire non avendo mai imparato a farlo).