Buio, accovacciata su se stessa come nel grembo freddo di un’anomala madre.
Freddo e torpore, raggomitolata sull’umida parete irregolare cercò di abituare la vista a quell’oscurità innaturale.
Volse inutilmente lo sguardo impaurito in ogni direzione, ottenendo poco più di niente poi una tenue luce si dipanò da una grossa ed irregolare crepa del soffitto.
L’odore di marcio era la prima cosa che si percepiva, poi si avvertiva muffa e stantio, misti ad un pungente ed agrodolce odore di sangue.
Il cunicolo era basso stretto ed sarebbe stato difficile starci in piedi, sempre che Sara fosse riuscita ad alzarsi, sempre che l’intorpidimento delle sue gambe glielo avesse permesso, sempre che il dolore lancinante che provava in tutto il corpo le avesse concesso tregua.
Il gocciolio di fondo era ritmico e cadenzato, un lento e inesorabile stillicidio le echeggiava tutto intorno.
Cercò l’origine del suono senza riuscire a trovarlo nella semi oscurità dell’angusto tugurio.
Faceva fatica a muoversi, due vani tentativi di alzarsi in piedi, risolti con altrettante cadute la portarono di nuovo a quella posizione raggomitolata appoggiata al muro.
Si guardò, seduta a terra in quella che sembrava una pozza di umidità, si guardò le mani, sporche di terra e sangue.
La paura sovrastava qualsiasi emozione, superava il dolore, sovrastava la possibilità di raziocinio.
Non era facile fare ordine tra i pensieri confusi che lottavano per farsi spazio nella sua testa, ricordi inconcludenti, sogni, deliri e paure le si accavallavano in testa, cercando tutti la strada per uscire.
Una matassa di ricordi confusi e confusionari sembrava accalcarsi, cozzavano e stridevano creando più confusione di quanta, Sara già non avesse.
Si impose chiarezza con quell’unica fondamentale domanda.
Come diavolo era finita lì?
Le dolevano gli occhi, anche pensare era faticoso, con un potente sforzo mnemonico aprì la strada della ragione a quell’ultimo ricordo reale. La sue memoria provata la collocava, la sera prima in una chiassosa festa in una pub.
Una di quelle feste da studenti universitari, molto alcol, musica forte e poche inibizioni, il genere di festa che preferiva in effetti.
Festeggiavano il compleanno di una sua amica, della sua amica più cara in realtà. Avevano ballato, riso e bevuto per ore, poi aveva notato un bellissimo ragazzo biondo.
La sua amica non lo conosceva, ne lo aveva visto arrivare con gli altri invitati, comunque era lì.
Probabilmente lo aveva fissato un minuto di troppo, perché lui poggiò il bicchiere che aveva in mano ed attraversò la sala andandole in contro.
Era quasi regale, attraversò la stanza come fosse una navata di chiesa gremita soltanto per lui, la musica sembrò fermarsi nell’istante in cui le prese la mano fra le sue.
Le concesse il più audace dei sorrisi, poi la accompagnò in un angolo più appartato, mentre la confusione e la musica parvero riprendere, ma come fossero soltanto rumori fuori campo, come se il suo cervello riuscisse a cogliere nitidamente soltanto la voce profonda e sensuale del suo interlocutore.
Avevano iniziato a parlare, i ricordi ripresero ad accavallarsi.
Erano usciti dal pub forse, forse avevano fatto l’amore, sicuramente si erano baciati e che fosse stato meraviglioso era sicura, su questo non aveva dubbi.
Non si era mai sentita talmente rapita da qualcuno, né per qualcuno aveva mai provato tanto ardore.
Sara chiuse gli occhi, come se questo gesto potesse permetterle di ricordare meglio, come se potesse aiutarla a destreggiarsi nel dedalo di informazioni sfalsate nel tempo e nello spazio che la sua memoria riportava alla luce.
Alla festa aveva bevuto parecchio di questo ne era certa, perché non riusciva a ricordare quanti “margarita” avesse ordinato, aveva ballato a lungo, poi nel bel mezzo del niente era arrivato lui.
L’aveva portata in una stanza semi vuota, fatta eccezione per un paio di coppiette, avevano parlato, poi quando finalmente rimasero soli del tutto, la scortò, come un cavaliere d’altri tempi al centro della sala vuota e le chiese di ballare.
Nel momento in cui le possenti mani di lui l’avevano toccata aveva capito che avrebbe potuto concedergli qualunque cosa.
Ebbe di nuovo un brivido, un fremito piacevole e accattivante nell’istante in cui ricordò il tocco del bellissimo ragazzo biondo, come se l’avesse sfiorata di nuovo. Si sorprese ad accarezzarsi un braccio mentre l’ombra di un decontestualizzato sorriso le allargava le labbra.
Uno così non capita tutti i giorni si era detta: alto, muscoloso ma longilineo, un fisico da atleta aveva pensato, occhi seducenti da demonio, decisamente molto bello.
E ora “decisamente molto” morto. Inutilmente riverso a terra a pochi passi da lei, in una di quelle assurde posizioni che solo un corpo morto può assumere.
Il viso ancora contratto in un espressione di dolore e stupore, mentre i suoi bellissimi e vitrei occhi la fissavano senza guardarla, dal riflesso di una pozza di fanghiglia scarlatta sul pavimento.
Fece un salto all’indietro pur rimanendo seduta, una sorta di disarticolato saltello che la fece cozzare ancora una volta sul muro bagnato e scrostato. Due gocce d’acqua le caddero tra i capelli.
Avvicinò una mano tremante al viso del ragazzo senza riuscire a toccarlo, poi la sua attenzione venne rapita dalla voce profonda e sensuale alla sua sinistra.
-È così da secoli, sempre la stessa storia.
La voce calda ed avvolgente le arrivò dal lato più scuro di quella specie di grotta, ogni parola scandita perfettamente sembrava accarezzarla, maliziosa e suadente.
Istintivamente si girò dalla parte da cui proveniva, strinse gli occhi cercando di mettere a fuoco la figura che le si stava lentamente avvicinando.
Prima non lo aveva visto, non aveva visto quasi niente in realtà, a parte il corpo scomposto del ragazzo biondo e i tre pezzi di legno scheggiato che uscivano dal suo torace maciullato.
Il secondo uomo le si avvicinò claudicando appena e si pose a sedere accanto a lei, appoggiò la schiena al muro con una smorfia che poteva essere di dolore e reclinò il capo, appoggiandolo alla parete fredda.
Era bellissimo anche lui, il suo sguardo intenso e freddo allo stesso tempo sembrò trafiggerla. Era uno sguardo antico, l’espressione cupa e priva di sorpresa di chi ha visto tutto.
Distolse lo sguardo da lei e si perse in un punto indefinito oltre il muro che avevano di fronte.
-Si, è sempre la stessa storia.
Come nelle trame di successo del resto, come in un film strappa lacrime da adolescenti, ci sono sempre il vampiro buono e suo fratello cattivo.
Come se quell’ultima frase avesse acceso un interruttore, il dolore esplose all’altezza della sua giugulare, Istintivamente la ragazza si portò una mano alla gola, la prima sensazione fu di calore, mentre il denso liquido viscoso le scivolava lento tra le dita.
Il dolore si acutizzò, si duplicò, mentre lei cercava di tamponare la ferita, ma era come tentare di contenere con le mani l’acqua del mare.
La paura genera veri e propri slanci dovuti a scariche di adrenalina, alle volte.
Alle volte invece, ti paralizza soltanto.
Quindi Sara rimase immobile, in silenzio, mentre il colore del suo viso prendeva una sfumatura sempre più cerulea.
Avrebbe voluto dire qualcosa, magari urlare, piangere!
L’unica cosa però, che ricordava lo squittio sconnesso che le uscì dalle sue labbra, era una preghiera.
L’uomo accanto a lei non la stava ascoltando, lo sguardo ancora perso nell’immenso nulla che sembrava avere dinnanzi.
Era stanco, sudato e aveva il viso e le mani sporche di sangue, si era battuto, era evidente.
Aveva un vistoso taglio trasversale sulla guancia destra, le macchie di sangue sulla sua pelle bianca sembravano brillare.
Mentre si premeva una mano sullo stomaco, il fiore rosso sulla sua camicia bianca si allargava sempre di più, comunque continuò a parlare, riprese il suo soliloquio come se lei non fosse neanche lì. Uno sguardo di compassionevole amarezza al ragazzo morto, soltanto uno poi il vuoto rinnovò il suo interesse.
-Tutta una vita passata a mediare, e porre rimedio.
-Il fratello cattivo distrugge ed il fratello buono riordina, il fratello cattivo uccide e l’altro fa sparire le tracce, cancella le memorie, media ai suoi danni.
-Sempre con l’illusione, con la sciocca speranza che non dovesse finire così, con l’assurda convinzione che anche nel peggiore dei mostri ci fosse un barlume di bontà.
-Secoli interi passati a cercare quell’unica scintilla di umanità.- La ragazza premette di più la mano sul collo, mentre un’eclettica festa di globuli rossi imperversava fuori dalla sua giugulare.
-Quella scintilla che non c’è mai stata.
Si girò verso di lei, erano vicini, talmente vicini che Sara poteva sentire il suo alito algido sulla pelle.
I capelli bruni di lui ricadevano in eleganti ciocche sulle spalle possenti, il viso spigoloso che faceva da cornice ad un naso dal taglio antico. Lievemente arcuato, importante e bello come i nasi di alcuni dipinti del settecento.
La guardò intensamente per pochi attimi, con gli stessi intensi occhi da demonio di suo fratello. Sara si sorprese a pensare che forse voleva essere lì, accanto a quell’uomo bellissimo e misterioso. Che nonostante il dolore, la paura e l’angoscia, forse quello era esattamente il posto dove voleva stare, accanto a lui.
Le discostò i capelli dal viso con due dita e le acconciò la ciocca selvaggia dietro l’orecchio, quel gesto si trasformò poi in una carezza che arrivò al collo, lieve.
Con la stessa inumana delicatezza le sollevò la mano e guardò la ferita.
Un occhiata veloce, uno sguardo esperto, poi riportò la mano sul proprio grembo squarciato, come se questo potesse essergli di conforto.
Guardò la propria ferita all’addome, guardò il proprio ventre squarciato con la consapevolezza dell’inevitabile, e con la lucidità di un eroe, poi riprese il suo discorso da dove lo aveva lasciato.
-Ci sono persone che credono per tutta la vita nella redenzione, che credono che ci possa essere umanità anche nel peggiore degli assassini.
Tossì un paio di volte, la voce era rotta da quello che sembrava un pianto sommesso.
-Poi si scontrano con la realtà.
Guardò il corpo a terra con una pena infinita, mentre una lacrima gli rigava il volto.
Si alzò a fatica e si avvicinò al corpo senza vita del fratello.
Lo compose con una delicatezza estrema, sfilò lentamente i tre paletti, solenne, poi lo adagiò a terra compostamente.
Chiuse quegli occhi ancora assurdamente espressivi con due dita e si sedette accanto a lui.
Prese ad accarezzargli i capelli, lentamente in un gesto quasi meccanico. –Siamo stati insieme per più di trecento anni e avrei voluto tenerlo con me per sempre, ma le nostre nature sono così diverse.
-Dovevamo capirlo entrambi, non c’è modo di impedire che un predatore ghermisca la sua preda, ma non avrei mai voluto che finisse in questo modo.-
Si girò verso la ragazza sempre più pallida.
-Io lo amavo.
Sara guardò il suo interlocutore, si ritrasse ancora di più poggiando tutta la schiena alla parete, sentiva la testa ovattata, confusa e intorno a lei tutto stava diventando buio.
Chiuse le palpebre un paio di volte , mentre sentiva la vita scivolare via lenta, insieme al liquido denso che le macchiava il vestito.
Il gocciolio dell’acqua nella grotta era diventato un rumore lontano, come la voce dell’uomo al suo fianco. Dovette riscuotersi per non perdere conoscenza, deglutì e cercò inutilmente di inumidirsi le labbra.
Sara cercò di parlare anche se ogni parola era come carta vetrata sulla carne viva, come se un branco di calabroni impazziti stesse cercando un varco per uscire dalla sua gola.
La domanda che vale tutta una vita, mentre le mani adunche della morte le artigliavano l’anima, con lo sforzo di chi vuole vivere ad ogni costo, prese il coraggio a due mani e lo guardò negli occhi.
-Tu, sei il vampiro buono?-
Una lacrima, una soltanto scivolò dagli occhi di lei e lievemente arabescò con il trucco sciolto la sua gota.
Con uno scatto inverosimilmente veloce lui le arrivò accanto, la lingua repentina a lambire il nettare salato prima che le morisse tra le labbra.
Si fece indietro qualche centimetro, abbastanza perché il tenue bagliore che filtrava dalla fessura sul soffitto potesse illuminarlo.
L’antica falce della luna splendeva alta, lui sorrise, scoprendo dei bianchi ed affilati canini.
-No.-