TEOTIHUACÀN COME GIZA? LE PIRAMIDI DELLA “CITTÀ DEGLI DEI”

“Cuando aun era de noce,

                                                                                cuando aun no abia dia,

                                                                                cuando aun non abia luz,

                                                                                se riunieron,

                                                                                se convocaron los dioses

                                                                                alla en Teotihuacàn”.

                                                                                (Codice Matritense)

È definita “ la citta degli Dei” oppure “la città ove si diventa dei”.

È a poco meno di cinquanta chilometri da Città del Messico.

È a dir poco inquietante, offrendo un panorama circostante alquanto brullo, quasi lunare, ben diverso dal verde e umidissimo panorama di Palenque.

È Teotihuacàn, una delle più misteriose aree cultuali del Messico archeologico.

L’ho girata in lungo e in largo qualche anno fa, mi sono arrampicato, alle due di un caldissimo pomeriggio, sulla Piramide della Luna  e, non contento, il giorno dopo, più o meno alla stessa ora (chissà perché certe avventure non si affrontano all’ora del tè?) anche sulla più imponente Piramide del Sole.

Dalla sua sommità, dai suoi 63 metri di altezza, è possibile avere una stupenda vista d’insieme del sito archeologico. Guardando verso sud si può osservare la piccola piramide (in realtà non presenta una vera e propria struttura piramidale) dedicata al Serpente Piumato, più nota infatti come Templo de Quetzalcoatl, mentre volgendo lo sguardo a nord appare l’imponente massa della Piramide della Luna.

In mezzo –  quasi a collegare tutte e tre le piramidi –  la cosiddetta Calzada de los Muertos, cioè il Viale dei morti o, in lingua azteca, Miccaotli.

E proprio mentre sostavo sulla sommità della Piramide del Sole è sorta spontanea un’idea: è possibile che quanto sostenuto da  Robert Bauval, Adrian Gilbert e altri cultori di archeologia “eretica” –  riguardo alla possibilità che le tre piramidi della Piana di Giza, Cheope, Chefren e Micerino rappresentino una sorta di “proiezione” sul terreno delle tre stelle della Cintura di Orione – possa applicarsi anche alle tre piramidi del sito archeologico di Teotihuacàn?

Il Dott. Roberto Volterri a Teotihuacàn, sulla sommità della Piramide del Sole.
Sullo sfondo è ben visibile la “Calzada de los Muertos” e la Piramide della Luna.
E’ possibile che queste strutture architettoniche – al di là delle semplici somiglianze formali – abbiano una comune “radice” culturale, di matrice astronomica, con quelle della Piana di Giza?

È possibile che lo stesso motivo ispiratore degli ignoti costruttori delle tre piramidi egizie abbia suggerito anche ai veri, ignoti costruttori delle tre strutture di Teotihuacàn la realizzazione di questo affascinante complesso cultuale in base a considerazioni di carattere astronomico?

Così potrebbe essere apparsa la Costellazione di Orione – soprattutto le tre stelle della “Cintura” – a un ipotetico sacerdote egizio della metà del III Millennio a.C. (o… molto prima?) che avesse osservato il cielo dalla Piana di Giza…

…e così avrebbe visto , nei primi decenni della nostra Era, la stessa Costellazione – diversamente orientata – un ipotetico sacerdote delle popolazioni che edificarono la “Città degli Dei”, Teotihuacàn. È eccessivamente avventato supporre che furono le stesse ragioni di carattere astronomico a “suggerire” la disposizione delle tre Piramidi, sia in Egitto che in Messico? Oppure ci furono contatti, di diversa natura, tra i due mondi?

Certamente ci sono delle analogie, ma ci sono anche differenze non del tutto trascurabili.

Il che non può assolutamente costringerci a… gettare immediatamente alle ortiche l’ipotesi appena avanzata!

Ma proseguiamo con calma, recandoci proprio nella terra all’ombra delle piramidi…

Alcuni anni fa ho trascorso dieci giorni in Egitto, visitando i vari siti archeologici, primo tra tutti – ovviamente ! – quello di Giza.

Sarà anche per i fiumi di parole scritte per descrivere le “anomalie”, vere o presunte, della più nota e fotografata tra le tre piramidi, quella di Cheope, ma indubbiamente non si può non rimanere quasi ammutoliti davanti alle dimensioni e alla – ancora per molti versi sconosciuta –  struttura interna del più… “chiacchierato” monumento del mondo.

Il dottor Roberto Volterri, alcuni anni fa, durante una sua esplorazione archeologica nella Piana di Giza, fra le tre piramidi e la Sfinge…

Non entrerò certamente, in questa sede, nel merito degli studi dei cosiddetti “piramidologi”, non  prenderò neppure in considerazione le dieci o dodici ipotesi seriamente avanzate dai vari archeologi, dal Borchardt al Croon, dall’Hoelscher al Wheeler per spiegare come sia stato possibile – decine di secoli prima di Cristo – edificare le grandi piramidi e in particolare come sia stato possibile, nel caso della Piramide di Cheope, portare a circa centocinquanta metri di altezza massi pesanti tonnellate, ma cercherò di comparare due tra le più interessanti teorie archeoastronomiche riguardanti il loro posizionamento sul terreno.

Si proprio due teorie, perché alla più nota teoria avanzata dagli “eretici” studiosi inglesi, vorrei qui contrapporne una molto poco conosciuta avanzata vari anni or sono da un altro “eretico” e non accademico egittologo argentino, Ettore Moracci Beauvier-Vila. Cercherò nel corso dell’articolo di avanzare anche una mia personalissima ipotesi che, molto immodestamente, riterrei degna di essere ulteriormente approfondita:  un confronto, cioè, tra le teorie avanzate riguardo i tre “misteriosi” monumenti egizi e la posizione sul terreno delle altrettanto “misteriose” piramidi  mesoamericane.

Lo studioso argentino sostenne in un suo libro che riscosse un notevole successo, Teoria delle Piramidi, che i tre monumenti egizi sono posizionati sulla Piana di Giza in base a precisi rapporti matematici che rispecchiano fedelmente alcune distanze interplanetarie.

Vediamo in dettaglio la teoria dell’eretico egittologo.

Egli ipotizzò che la Piramide di Cheope rappresentasse il pianeta Terra, quella di Chefren rappresentasse il pianeta Venere e quella di Micerino rappresentasse il pianeta Mercurio. Prima di considerarla l’ennesima “follia piramidologica” vediamo come vengono giustificate tali affermazioni.

Dunque, tra la Terra e Venere vi sono circa 40 milioni di chilometri e tra la Piramide di Cheope e quella di Chefren ci sono 400 metri, inoltre tra Venere e Mercurio c’è una distanza di circa 50,7 milioni di chilometri e tra la piramide di Chefren e quella di Micerino ci sono proprio… 507 metri!

Schematizzazione della teoria avanzata alla fine degli anni ’60 dallo studioso di egittologia Ettore Moracci Beauvier-Vila. Le distanze, in milioni di chilometri, fra Mercurio, Venere, Terra e Sole corrispondono effettivamente, in metri, alle distanze tra le tre Piramidi della Piana di Giza.
Secondo lo studioso argentino a circa 1470 metri dalla “misteriosa” Piramide di Cheope dovrebbe trovarsi “qualcosa” di estremamente interessante per la comprensione della civiltà egizia.

Coincidenze?

Assurdità non consideranti la (teorica) impossibilità da parte degli astronomi egizi di conoscere con esattezza queste distanze interplanetarie?

Utilizzo, per giustificare la teoria, di unità di misura (il metro) non in uso nell’antica terra dei Faraoni?

Può essere possibile, ma l’aspetto più interessante della teoria avanzata dall’argentino è che… all’appello manca l’astro più importante: il Sole.

Ciò farebbe ipotizzare che, dato che la distanza Terra-Sole è pari a circa 147 milioni di chilometri, seguendo in direzione sud il meridiano su cui è costruita la Piramide di Cheope, a circa 1470 metri dovrebbe essere nascosto… qualcosa di estremamente importante.

Sarà l’ultimo Faraone, il Dott. Zahi Hawass – il telegenico archeologo, autore di gran parte degli scavi effettuati nella Piana di Giza – a portare alla luce, prima o poi, questo qualcosa?

D’altra parte è proprio lo stesso Hawass ad affermare che sotto la sabbia giace almeno il settanta per cento di ciò che resta della antica civiltà egizia. Vedremo…

Ma torniamo ora in Messico, nel Messico delle Piramidi e vediamo se è seriamente proponibile un’analogia tra la disposizione dei monumenti piramidali mesoamericani di Teotihuacàn e quelli situati lungo le rive del Nilo.

L’edificazione del sito messicano si può suddividere in almeno tre distinti periodi: durante il cosiddetto Periodo Preclassico, collocabile nei primissimi anni della nostra Era, furono realizzate le strutture che caratterizzano Teotihuacàn I; all’inizio del Periodo Classico, furono edificate le strutture di Teotihuacàn II; Teotihuacàn III fu edificata sempre durante il Periodo Classico che va dal 200 al 600 d.C., mentre Teotihuacàn IV fu realizzata nel Periodo Post-classico o Decadente che è cronologicamente collocabile tra il 600 e il 900 d.C.

Teotihuacàn significa – come già accennato – luogo dove si diventa dei, poiché si credeva che vi fossero sepolti i sovrani poi trasformati in divinità.

Non è forse, questa, già una prima, stretta analogia con la religione egizia che contemplava una sorta di “deificazione” post-mortem del  Faraone ?

…O Horus, questo re defunto è Osiride, questa sua piramide è Osiride, questa sua costruzione è Osiride, recati verso di essa…” troviamo infatti nei cosiddetti Testi delle Piramidi (PT 1657): Bauval sostiene quindi che Osiride deve identificarsi nella costellazione dagli Egizi denominata Sahu e dai moderni astronomi chiamata Orione.

Ma torniamo ancora in Mesoamerica.

La via principale di Teotihuacàn, lunga circa due chilometri, era chiamata Miccaotli, ovveroViale dei Morti, poiché gli Aztechi ritenevano che le costruzioni poste lungo la via stessa fossero dei sepolcri e chiamarono Piramide del Sole e della Luna le due maggiori costruzioni poiché pensavano che i due corpi celesti si fossero “sacrificati” a Teotihuacàn.

Antiche leggende locali parlano infatti della partenza di due divinità azteche, Tecciztecatl e Nanauatzin che, dopo una complessa cerimonia di vestizione con “speciali acconciature”  balzarono all’interno di una “grande fornace” preriscaldata da alcuni giorni e… scomparvero in cielo raggiungendo i due astri per noi più visibili.

E qui si potrebbero avanzare parecchie altre ipotesi care a Erik von Daniken… e non solo a lui !

Ma non divaghiamo!

La Piramide del Sole è alta 63 metri e presenta una base non proprio quadrata di circa 223 x 225 metri. È composta da cinque corpi sovrapposti e rientranti, di differente altezza.

Similmente alla più nota Piramide di Cheope, cela al suo interno cavità e strutture ancora poco studiate. Ad esempio, nel 1971 fu scoperta una galleria lunga più di cento metri, situata sotto la sommità, con quattro camere laterali a forma di semicerchio. A cosa servivano? Erano camere sepolcrali?

Recenti scavi sotto la Piramide del Sole, a Teotihuacan, hanno messo in evidenza di gallerie e interessanti reperti archeologici, statue, vasellame, gioielli. Anche una notevole quantità di mercurio è stata rinvenuta  in una galleria sotto la Piramide del Serpente Piumato. A cosa serviva?

La Piramide della Luna è di minori dimensioni, presentando un’altezza di circa 40 metri e una base di circa 120 x 150 metri. È posizionata in una zona più elevata perciò la sua piattaforma superiore è alla stessa altezza di quella della Piramide del Sole.

All’estremità sud del sito troviamo invece la Ciudadela, la Cittadella, un grande quadrilatero limitato da piattaforme, al cui interno si trova quello che, impropriamente, ho preferito definire terza “Piramide”: il Tempio di Quetzalcoatl.

La “Piramide” (consentitemi di chiamarla, per comodità, così) – rinvenuta sotto un altro edificio – è formata da sei corpi rivestiti da lastroni di pietra e i suoi taludes, le parti a vista, sono ornate con teste di serpente stilizzate, uscenti da un collare di piume a forma di corolla di fiore (il Quetzalcoatl) oltre che da mascheroni di Tlaloc, il dio della pioggia.

Fin qui la descrizione, necessariamente sommaria, del complesso dei tre principali edifici di Teotihuacàn: ma la sua vera storia, ciò che realmente spinse gli ignoti costruttori delle tre piramidi a realizzare questa suggestiva ed imponente area cultuale, si perde nella notte dei tempi “…cuando aun no habia dia, cuando aun no habia luz…”.

La grande città di Teotihuacan era, infatti, già in rovina durante il regno del sovrano azteco Montezuma I ed era divenuta ormai leggenda quando Hernàn Cortès – fuggendo dalla schiera di inferociti guerrieri aztechi, in direzione di Tlaxcala – la “scoprì” il 7 luglio 1520.

La più antica descrizione del sito è però dovuta a Don Francisco de Castaneda, redatta sotto forma di rapporto ufficiale per Filippo II di Spagna, nel 1580.

Ma se avessimo dovuto attenerci solo alle imprecise descrizioni dei cronisti spagnoli dell’epoca, Teotihuacàn ci sarebbe apparsa in una luce ben diversa da quel che realmente è: “…tumuli di terra che sembrano montagnole fatte a mano…” definisce Bernardino de Sahagùn le piramidi che stiamo qui considerando, mentre di parere diametralmente opposto sembra fosse Juan de Torquemada che ebbe modo di scrivere che “…Questi indios  avevano due templi altissimi e grandissimi, edificati vicino a San Juan Teotihuacan…”.

Più interessanti appaiono, ovviamente, i resoconti di scavo effettuati nel 1941 da Josè R. Perez nel sito definito Viking Gruppe, più tardi continuati dall’archeologo Pedro Armillas con un finanziamento del “Viking Fund”, da cui il nome del sito stesso. Tali scavi permisero di accertare che questa parte del complesso appare edificata nel periodo più arcaico, ma quel che – almeno dal mio punto di vista –  apparve particolarmente interessante fu la scoperta di alcune strutture ipogee ricoperte di spessi strati di mica (muscovite): a cosa servivano queste ricoperture effettuate con un materiale  le cui principali caratteristiche sono quelle di essere un ottimo isolante termico ed elettrico? Cosa dovevano isolare?

Ma torniamo agli aspetti archeoastronomici del sito messicano.

Possiamo forse comparare la “piramide” di Quetzalcoatl, situata nella Ciudadela, a quella più piccola della Piana di Giza, Micerino?

Possiamo far corrispondere la Piramide del Sole a quella di Chefren?

Infine, potrebbe la Piramide della Luna corrispondere alla Piramide di Cheope?

Potrebbero tutte e tre rappresentare – come a Giza – le tre stelle della Cintura di Orione?

L’orientazione delle tre strutture di Teotihuacan, in realtà, è un po’ diversa; non è proprio nord-sud come a Giza ma è molto simile: i lati delle piramidi  possiedono  infatti un’orientazione di 17 gradi più a ovest.

Ora vedremo che – molto, ma molto verosimilmente – c’è una precisa ragione di natura astronomica che giustifica questo scostamento.

Tutti gli edifici di Teotihuacan sono infatti orientati verso il punto in cui il Sole tramonta nel giorno del solstizio invernale, che cade “a cavallo” del 22 dicembre, e questo punto corrisponde esattamente a 17 gradi più ad ovest del nord geografico!

Il solstizio, ricordo, è il giorno in cui il Sole, nel suo moto apparente sull’eclittica, raggiunge la sua massima declinazione boreale (o australe), che corrisponde alla durata massima o minima del giorno.

In alto veduta aerea delle tre piramidi della Piana di Giza e in basso due delle tre piramidi di Teotihuacan. Non è del tutto improbabile che esistano strette analogie sulla disposizione di queste piramidi, similmente a quanto sarebbe accaduto in Egitto secondo l’ipotesi di Robert Bauval e Gilbert e la loro  ipotesi “Orione”…

Il passaggio del Sole per i punti solstiziali, a cavallo del 22 giugno e del 22 dicembre, determina rispettivamente il giorno più lungo e quello più corto dell’anno nell’emisfero settentrionale. Nell’emisfero meridionale la situazione è inversa.

Usando il noto programma di astronomia Skyglobe ho potuto quindi stabilire la posizione di Orione rispetto alla città del Cairo nel 10.450 a.C., data ritenuta molto importante, da Bauval e Gilbert, per la realizzazione di alcune particolari strutture  della Grande Piramide (il condotto sud che parte dalla Camera del Re) e ho calcolato la posizione della stessa costellazione nel cielo di dove ora sorge Città del Messico nei primi decenni della nostra Era.

Ricostruzione – sempre ottenuta con Skyglobe – del cielo della Piana di Giza nel 10.450 a.C. data “ufficiosamente” considerata come punto di riferimento temporale per l’edificazione delle tre Piramidi della Piana di Giza.
Anche in questo caso è stata scelta la data del solstizio invernale, il 22 dicembre.
Secondo Bauval e Gilbert le tre stelle rispecchierebbero, sul terreno, la posizione (e, in un certo senso, anche le proporzioni) delle tre stelle della Cintura di Orione.
Anche in questo periodo, ben anteriore a quello “ufficiale”, appare, appena sotto l’orizzonte, la stella Sirio.

Come poi effettuato per Teotihuacàn, con il computer ho “ricostruito” il cielo sulla Piana di Giza nelle date più significative.

Per l’Egitto ho utilizzato sia la cronologia proposta da Bauval, sia quella “ufficiale” che daterebbe la Piramide di Cheope alla metà del III millennio a.C. circa, poiché ambedue giustificherebbero la correlazione esistente tra la sfera celeste e la piramide stessa, mentre ho considerato, per Teotihuacàn, i primi decenni della nostra Era, perché quest’ultima è la cronologia “ufficiale” stabilita negli anni ’50 da Renè Millon della Stanford University, almeno riguardo le due piramidi del Sole e della Luna.

Per la precisione, egli le datò la primo Periodo Classico, cioè prima del 200 -300 d.C. Anche per il sito messicano, in pratica, ho “chiesto” al programma di posizionare il Sole al tramonto del 22 dicembre (o del 21, se vogliamo) del 31 d.C. e poi di mostrare, appena dopo il tramonto, la posizione di Orione: dalle figure che completano l’articolo si vede chiaramente che anche nel cielo notturno di Teotihuacàn appariva ben visibile la Costellazione e le tre stelle della sua cintura.

Per completare l’opera e crearci… altri spunti di riflessione, nello stesso momento – come accade anche per la Piana di Giza -  appare ben visibile, appena sopra l’orizzonte, la stella Sirio, nell’antico Egitto denominata Sothis e osservata con estrema attenzione perché considerata legata, forse erroneamente, ai periodi delle inondazioni del Nilo e correlata quindi al concetto di maggior “fertilità”.

Forse proprio come a Teotihuacan, dove – in particolare al solstizio d’inverno – l’apparire in cielo della Costellazione di Orione e, soprattutto delle tre stelle della Cintura, coincideva con la comparsa di Sirio e con l’inizio del periodo di maggior piovosità sull’Altopiano Centrale, periodo quindi determinante per le popolazioni agricole?

Con il software di astronomia citato ho infatti potuto verificare che il 22 dicembre dei primi decenni del primo secolo (ho scelto… a caso il 31 d.C.) se i costruttori del complesso cultuale di Teotihuacàn avessero alzato gli occhi al cielo avrebbero visto… la Costellazione di Orione e la sua celeberrima cintura costituita da tre stelle, Al Nilam (Epsilon Orionis), Al Nitak (Zeta Orionis) e Al Mintaka (Delta Orionis)!

Ricostruzione – con Skyglobe – del cielo su Teotihuacàn (Messico) tra il 21 e il 22 dicembre  (solstizio di inverno) del 31 d.C. L’anno è stato scelto del tutto arbitrariamente, basandosi sulla cronologia stabilita da Renè Millon che collocò l’edificazione delle due Piramidi principali, quella del Sole e quella della Luna, tra la fine del Periodo Preclassico e l’inizio del Periodo Classico.
È un caso che anche in questo periodo, in corrispondenza del Solstizio invernale, oltre ad  Orione, sia visibile – appena sopra l’orizzonte – la stella Sirio?

Proprio come, probabilmente, avvenne millenni prima in un altro continente, con altre genti, con altra cultura, con altre concezioni religiose.

Anche in questo caso ho ricostruito quella che potrebbe essere stata la situazione del cielo, in Messico, in una notte del solstizio invernale, in un anno dei primi decenni della nostra Era.

Possiamo quindi ipotizzare che fu proprio quel sistema di tre stelle ad ispirare la casta sacerdotale che poi determinò dove e come edificare le due principali piramidi e la “piramide” più piccola, il Tempio di Quetzalcoatl?

Possiamo ipotizzare – come, d’altra parte è stato già fatto riguardo le somiglianze architettoniche tra le piramidi egizie e quelle mesoamericane – contatti, di varia natura, tra l’Egitto dinastico e le genti che edificarono la suggestiva area cultuale messicana?

Le coincidenze di carattere archeoastronomico sono solo… coincidenze o c’è qualcosa di più?

Ovviamente le indagini con l’aiuto di Skyglobe andrebbero eseguite con maggior attenzione: ad esempio, andrebbe considerata – sia a Giza che a Teotihuacàn – la levata eliaca delle tre stelle, intendendo con ciò un’analisi più esatta del sorgere della Cintura di Orione nello stesso momento del sorgere del Sole.

Come d’altra parte avveniva tra i Caldei e i Babilonesi con la stella Regolo (Alfa Leonis) o proprio nell’antico Egitto con Sirio (Alfa Canis Maioris).

Un’altra obiezione mi aspetterei : non abbiamo alcun indizio riguardo la possibilità che le popolazioni che precedettero gli Aztechi (ma chi costruì, in realtà, il complesso cultuale di Teotihuacàn?) contemplassero nella loro teogonia, nella loro cosmologia correlazioni con la Costellazione di Orione.

Prima di concludere vorrei riassumere i sei punti essenziali della mia ipotesi:

1)     A Teotihuacàn, come a Giza, troviamo tre piramidi in una complessa area cultuale.

2)     Secondo l’ipotesi, abbastanza convincente, di Bauval e Gilbert, a Giza le tre Piramidi, Cheope, Chefren e Micerino avrebbero una stretta correlazione con le tre stelle della Cintura di Orione quando questa costellazione risplendeva nel cielo del 10.450 a.C. circa. e del 2450 a.C.

3)     A Teotihuacan le due Piramidi del Sole e della Luna e la “piramide” più piccola sembrano disposte come quelle di Giza.

4)     Differentemente da Giza, esse presentano uno  scostamento verso ovest di 17 gradi rispetto al Nord geografico. In questo punto il Sole tramonta in corrispondenza del solstizio di inverno, il 22 dicembre.

5)     In questo stesso giorno, in vari anni, nei primi decenni della nostra Era la Costellazione di Orione risplendeva all’orizzonte anche nel cielo di Teotihuacan.

6)  Si potrebbe forse dedurre, quindi, che fu la stessa visibilissima Costellazione,    che furono le stesse tre stelle – e forse anche l’apparire di Sirio -  a determinare la scelta dell’esatto posizionamento delle tre “Piramidi” messicane?

Se tutto ciò fosse verificato, si potrebbe trarre… un’infinità di altre “eretiche” conclusioni. Perciò aspettiamo!

Oppure dovremmo prendere in considerazione quanto sostenuto da Andrew Collins il quale ritiene che l’allineamento con le tre stelle della Costellazione di Orione non sia per nulla perfetto e che le tre Piramidi di Giza corrisponderebbero invece a un altro gruppo di stelle nella costellazione del Cigno, le cosiddette ali del Cigno (le stelle ε, γ e δ Cygni), che corrisponderebbero alla perfezione con le tre Piramidi?

In alto, al centro dell’immagine si vedono le tre stelle della Costellazione del Cigno, ε, γ e δ Cygni che secondo Andrew Collins corrisponderebbero alla perfezione alle tre piramidi della Piana di Giza, Cheope, Chefren e Micerino nell’immagine sottostante.

La mia, confesso, è al momento solo un’affascinante ipotesi e, in Messico, è stata  solo un’intuizione avuta sulla sommità della Piramide del Sole, in una giornata e in un’ora in cui il Sole stesso non pensava certamente di ripararsi dietro le nubi!

Nonostante i “rischi” e i “sospetti” imputabili a tali meteorologiche circostanze insisterei nell’indagare nella direzione suggerita, non esente di certo da dubbi e critiche…

Roberto Volterri

Cari lettori e frequentatori di “La Zona Morta” sapete che sarebbe ben arduo sperare di rintracciare in qualche Museo alcuni dei reperti descritti in questo libro scritto da Roberto Volterri e pubblicato da Eremon Edizioni. Perché? Ma è semplice: perché… essi non esistono o non sono mai esistiti. Almeno “ufficialmente”… Questo lavoro vorrebbe, quindi, colmare tale lacuna e dovrebbe essere inteso come un vero e proprio “Manuale di Archeologia eretica”, indispensabile a tutti quei ricercatori dell’ignoto che vogliono affrontare uno studio sperimentale sulle “possibili tecnologie antiche”, con l’indispensabile apertura mentale necessaria ad intraprendere una strada irta di ostacoli, ma soprattutto nel pieno rispetto dell’ortodossia scientifica.

L’Autore, pur occupandosi in ambito universitario degli aspetti più concreti della ricerca archeologica, ha tentato di ricostruire impossibili oggetti, basandosi in alcuni casi su testi biblici, in altri su testimonianze storiche e in qualche caso facendo “atto di fede” nei confronti di qualche studioso del passato che ha sostenuto di averli visti o di averli realizzati egli stesso. Pila di Baghdad? Arca dell’Alleanza? Lumi eterni? Bussola Caduceo? Specchi ustori? Urim e Tummin? Lente di Layard? Sono degli oggetti “impossibili”… ma non per tutti e, seguendo le indicazioni fornite in questo libro, anche voi riuscirete a realizzarli facilmente!