Titolo originale: Le strelle nel fosso
Anno: 1978
Regia: Pupi Avati
Soggetto: Pupi Avati, Maurizio Costanzo e Antonio Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati e Cesare Bornazzini
Direttore della fotografia: Franco Delli Colli
Montaggio: Maurizio Tedesco e Piera Gabutti
Musica: Amedeo Tommasi (tema: Le strelle nel fosso di Pupi Avati e Amedeo Tommasi eseguito da Hengel Gualdi)
Produzione: Gianni Minervini e Antonio Avati
Origine: Italia
Durata: 1h e 45’
CAST
Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Carlo Delle Piane, Giulio Pizzirani, Roberta Paladini, Adolfo Belletti, Ferdinando Orlandi, Ferdinando Pannullo, Pietro Bona, Tonino Corazzari
TRAMA
Le strelle nel fosso è ambientato nel 1800. Un vecchio ammazzatopi passa la notte davanti al fuoco per raccontare a una bambina la storia di un padre e di quattro fratelli che vivono soli in una casupola sul Delta del Po. Il padre si chiama Giove e vince la solitudine narrando storie di fantasmi, soprattutto la vicenda di Santo Bartolomeo che passa per i campi e porta la morte. Un giorno arriva Olimpia, una giovane pianista, bloccata al casolare per via di un incidente alla sua carrozza. I cinque uomini si innamorano di lei, persino il vecchio padre, non solo i quattro figli che non hanno ancora conosciuto una donna. Olimpia accetta di sposare tutti nel corso di uno strano rituale, ma dopo la prima notte di nozze abbandona il casolare. La ragazza altri non era che Santo Bartolomeo, vale a dire la Morte. E infatti nessuno degli abitanti del casolare si sveglierà dal sonno eterno. Doppio finale. L’ammazzatopi si rende conto che la bambina che ascolta la storia prende l’aspetto di Olimpia e si mette a cantare l’antica ninna nanna che dà il titolo al film.
Pupi Avati torna al genere fantastico girando Le strelle nel fosso, titolo in dialetto romagnolo che sta per Le stelle nel fosso. Gli interpreti principali sono quattro attori fedelissimi come Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, Lino Capolicchio e Giulio Pizzirani. Roberta Paladini, Adolfo Belletti e la teatrale voce narrante di Ferdinando Orlandi completano il cast. Il valore della pellicola va ben oltre la distinzione tra generi, ma anche in questo caso il regista – con la collaborazione del fratello Antonio e di Maurizio Costanzo – sfrutta a piene mani il repertorio di favole nere fantastiche dell’Emilia Romagna. Si parte da un soggetto di poche pagine e si scrive la sceneggiatura giorno dopo giorno, girando il film in maniera estemporanea e con grande spontaneità.
Il critico Paolo Valmarana dice che Le strelle nel fosso è il film più avatico di tutti, ma forse anche il più jazzistico, vista l’ottima colonna sonora composta da Tommasi, con parole di Avati per il tema conduttore, che accompagna i titoli di coda. Avati raccoglie leggende e fiabe della sua terra, traducendole in immagini, lasciando la sua vena artistica libera di improvvisare, fotografando casolari sperduti in mezzo alle paludi, notti nebbiose e nostalgici tramonti. Il pubblico non lo capisce, perché ne decreta il più completo insuccesso, forse spaventato dai ritmi lenti di una storia senza grandi colpi di scena. La critica lo apprezza subito, sia perché Avati proviene da un ottimo lavoro televisivo (Jazz Band), ma anche per il tono malinconico e favolistico insolito per il cinema del tempo. Le musiche sono di Amedeo Tommasi e accompagnano lo spettatore in un viaggio incantato nei meandri della fantasia dell’autore.
La struttura è da racconto macabro narrato davanti al focolare, tra parentesi e divagazioni surreali. Le strelle del fosso è un film che non può essere classificato di genere, soprattutto non è un horror, ma un’opera fantastica che affascina e fa pensare, pure se a tratti incute timore e svela l’anima nera del suo autore. Ricordiamo il fantasma di un prete che emerge da uno stagno, la favola della madre morta che pretende dalle figlie la sua gamba d’oro, ma anche la rappresentazione della bambina – spettro che ascolta le fiabe. Il personaggio di Santo Bartolomeo è rappresentato come un uomo nero che vaga per i casolari immersi nelle notti nebbiose e dispensa un sonno mortale. Avati cita Fellini e Bava (Tobby Dammit e Operazione paura), inserendo nel film la figura della bambina malefica, tipica della tradizione horror italiana.
Le strelle nel fosso è un film che profuma di fiaba, gli ingredienti delle storie – concatenate e confuse in un mix di musica e poesia narrativa – provengono dalla tradizione popolare più antica e ancestrale. I personaggi sono al tempo stesso grotteschi e verosimili, agiscono in uno spazio temporale sospeso, tipico della narrazione orale campestre, rappresentano l’ingenuità infantile, la purezza incontaminata. Regia raffinata e ispirata di Avati, che grazie alla tecnica sopraffina del direttore della fotografia Franco Delli Colli, immortala paesaggi lacustri e tramonti suadenti, conferendo alla narrazione un andamento lento, quasi sognante. Tecnica di regia perfetta che abusa di dissolvenze e piani sequenza, alternando tramonti a visioni di albe tra le acque del fiume, ricreando il rumore del vento che fischia tra gli alberi durante lunghe notti silenziose. Avati costruisce una sinfonia per immagini e musica, dipinta con colori pastello, immaginifica, pervasa da sogni impossibili.
Impostazione molto teatrale, come una sorta di scatola cinese dei racconti fantastici, perché ogni personaggio ha la sua storia da narrare, un mistero da rivelare. I personaggi sono ben costruiti psicologicamente, dal vecchio Giove (Belletti), all’impulsivo Marione (Cavina), passando per Marzio (Pizzirani) che sa fare tutto e il malinconico Silvano (Capolicchio) – il solo a saper leggere -, fino al candido Bracco (Delle Piane), che i genitori volevano femmina. Nella vita della famiglia sul fiume il soprannaturale convive con il quotidiano, da un arciprete che di tanto in tanto viene a far visita e racconta storie di vivi e di morti, a un vecchio conte impazzito che vive nel fiume, fino alle presenze oniriche degli spettri che popolano i silenzi delle paludi. L’arrivo della donna (Paladini) al casolare segna il tempo del definitivo cambiamento, il modificarsi dei rapporti virili che non saranno più gli stessi, anche se il candido Bracco tenta di evocarli incitando Marione a dedicarsi alle vecchie scazzottate. Pupi Avati evita con accortezza di cadere nel luogo comune e nel melenso, si dedica alla costruzione incantata di un gioiello per immagini, di un film fuori dal tempo e dalla storia, sincero e genuino. Personaggi fiabeschi, ilari e tristi, al tempo stesso, che vivono in un istante la loro impossibile storia d’amore, un romanzo di formazione intenso e surreale, un incontro con l’amore che prelude alla morte.
Musiche suadenti di Tommasi, tra ispirati pezzi al violino e intensi passaggi composti al pianoforte che scandiscono i tempi onirici della fiaba. Una ninna nanna in romagnolo (Le strelle nel fosso) sottolinea i momenti topici della pellicola. Bucolico e fiabesco, orrorifico e onirico, ma anche poetica storia di crescita individuale dal tono poetico. Favola tenera e suggestiva, composta da immagini che vivono di una straordinaria forza evocativa, da sorrisi ingenui che si aprono improvvisi, interpretata da cinque attori ispirati che ci regalano un piccolo capolavoro lirico. L’ammazzatopi – mestiere ottocentesco superato dalla storia – termina il racconto e abbandona il casolare. Presto sarebbe venuto l’inverno…
Gordiano Lupi
(tratto dal libro Tutto Avati di Gordiano Lupi e Michele Bergantin – Edizioni Il Foglio, 2012)