Il “Necronomicon” e Rattimiro Bulgheroni, misterioso e introvabile misantropo
Nel libro citato nella prima parte di questo articolo, libro edito da Fanucci, a pagina 213, c’è un interessante saggio di Giuseppe Lippi intitolato “La traduzione perduta del Necronomicon”.
Nel testo Lippi cita un articolo di otto pagine, pubblicato – così pare – sull’ultimo numero della rivista parigina “Cahiers Noires” – forse mai esistita… – e intitolato “Sur le Maitre Giulio Camillo Delminio, par Rattimiro Bulgheroni”.
Ora, mentre dell’umanista Giulio Camillo, detto Delminio, sono note la data di nascita (1480), quella di morte (1544), la città natale (Portogruaro) e le sue opere, dal trattato Imitazione nell’arte al mai concluso Teatro della memoria, di Rattimiro Bulgheroni, un non meglio identificabile corrispondente italiano, non sono riuscito a trovare nulla. Proprio nulla!
Il “Tricefalo” opera pittorica di Tiziano Vecellio, ispiratagli – si dice… – dal “mago” Giulio Camillo Delminio.
Un vero peccato, poiché il fantomatico Bulgheroni, dopo avere svolto chissà quali e quante approfondite ricerche, era arrivato alla conclusione che Delminio “… conobbe senz’altro il Necronomicon e che anzi ne tentò una versione in volgare…”.
Più avanti leggo che “… Bulgheroni dimostrò anche inconfutabilmente che tutte le volte in cui nel testo di Scotto – ovvero Marco Scotto, ma “chi era costui?”, direbbe a tal punto il manzoniano Don Abbondio. Cercatelo anche sulla “Enciclopedia Treccani”… – si nomina il Liber Damnatus questo non è altri che il Necronomicon…”.
Pane per i nostri e vostri denti, non credete? Ma il “meglio” viene adesso…
“L’attendibilità di ricercatore del Bulgheroni – leggo ancora nello strano saggio di Giuseppe Lippi – è così confermata da Giorgio Manganelli, che lo conobbe poco prima della morte. Era un uomo schivo, assolutamente eccentrico in ogni abitudine; scriveva e leggeva schermando fino all’inverosimile le lampadine e sorgenti di luce, sicché si può affermate che lo facesse al buio…”.
Non vi ricorda un po’ Lovecraft che scriveva di notte mentre di giorno simulava l’oscurità chiudendosi in casa con le imposte serrate? Un caso?
“… Con gli uomini parlava molto poco – continua Lippi – ma era prodigo di consigli verso gli animali, e specialmente i gatti randagi del suo quartiere, la borgata di San Basilio. Conosceva perfettamente il greco e il latino e, fra le lingue moderne, francese e tedesco li leggeva regolarmente. Era un filosofo autodidatta ma perfettamente preparato, un provetto bibliografo e un erudito conoscitore di storia delle tradizioni, specie per il verso che riguarda l’occulto e il magico. Ha compiuto studi importantissimi di regionalistica e mi auguro che presto i suoi manoscritti trovino un editore e un pubblico: interesserebbero almeno una mezza dozzina di scienze umane. Prima di morire esprimeva un solo desiderio: conoscere l’arabo medievale abbastanza bene da leggere un grimoire scritto a Damasco nell’VIII secolo e intitolato Al-Azif. A patto, aggiungeva sorridendo, di rintracciarne una copia.”
Tutto ciò sarebbe stato pubblicato dal Manganelli sulla rivista Tempo del 10 febbraio 1973 in un articolo intitolato “É un filosofo? No, uno stregone”.
Rattimiro Bulgheroni probabilmente non è mai esistito, ma la rivista Tempo esisteva. Ecco alcune copertine della fine degli anni Sessanta.
Non sono stato in grado di procurarmi quel numero della citata rivista e l’unica cosa che ho accertato è che Giorgio Manganelli si è – en passant – occupato di Lovecraft nel suo libro “La letteratura come menzogna”, ristampato da Adelphi nel 2004. Però la figura di questo stranissimo personaggio, le sue strambe abitudini, il suo interesse per il Necronomicon mi avevano affascinato e pensai di indagare un po’ di più.
Invano, ovviamente!
La borgata San Basilio è a Roma e Rattimiro Bulgheroni – con un nome così – non pareva potesse essere un qualsiasi “Mario Rossi”, dei quali Roma abbonda nel suo elenco telefonico. No, pensai, di Rattimiro Bulgheroni, se esiste davvero, ce ne è solo uno. Andai nella borgata San Basilio – tra la via Tiburtina e la via Nomentana – chiesi a destra e a manca, ma nessuno ne aveva mai sentito parlare. Eppure, date le sue “stranezze” non avrebbe dovuto passare inosservato!
Poi presi spunto da una nota a piè di pagina nel saggio di Lippi in cui, con riferimento all’introvabile articolo del Manganelli, si ricordava “… la scomparsa di Bulgheroni avvenuta in circostanze tanto misteriose da renderle romanzesche. Il 4 febbraio 1964 il ricercatore solitario sparì dalla sua casa e non fu più visto da nessuno fino al 7 ottobre dello stesso anno, epoca in cui fu ritrovato morto – ma solo da pochi giorni – in una casa colonica abbandonata presso Tarquinia. Le cause del decesso non sono mai risultate chiare, anche se il certificato di morte depositato all’anagrafe di Roma parla di trombosi ad effetto letale.”
E allora? Cosa dedurne?
Ammetto che le mie ricerche su Rattimiro Bulgheroni potrebbero essere state incomplete, ammetto che avrei dovuto cercare in un’emeroteca la rivista Tempo del 10 febbraio 1973, ammetto che avrei dovuto indagare più a lungo tra le case coloniche di Tarquinia per ricavare dettagli sulla strana scomparsa del filosofo autodidatta, ma di più non sono riuscito a fare. Eppure, in tutte le mie ricerche non lesino certamente l’impegno!
Una traduzione perduta del “Necronomicon”?
Poiché nel breve saggio di Giuseppe Lippi – inserito nel libro della Fanucci di cui ci stiamo occupando – intitolato “La traduzione perduta del Necronomicon” viene più volte citato tale “Marco Scotto”, ho indagato anche in quella direzione…
Di certo gli Scotto – o anche Scotti – erano una famiglia di tipografi che operarono a Venezia tra il XV e il XVII secolo. L’attività ebbe inizio con Ottaviano il Vecchio (1440 – 1498) e continuò con Ottaviano il Giovane e Girolamo, suoi nipoti. Pubblicarono messali, testi musicali, classici e anche opere dantesche.
Ma non risulta che della famiglia facesse parte tale “Marco Scotto” il quale avrebbe scritto, alla fine del XVI secolo, che Giulio Camillo Delminio “… non trascurò le fonti islamiche – evidenzia Lippi – e che del mondo arabo riportò i preziosi insegnamenti di un maestro ingegnosissimo, Abdul Azhared – non come scrive Lovecraft, Alhazred – di Sana’a”. Secondo Lippi, Rattimiro Bulgheroni avrebbe affermato che Delminio ebbe tra le mani il Necronomicon e ne tentò una traduzione in volgare.
E qui ricompare parte della “cronologia” del famigerato libro…
L’imprendibile Bulgheroni avrebbe sostenuto che a Roma sarebbe comparsa la versione greca ad opera di “Teodoro Fileta” e che a Roma operava lo stampatore “Francesco Guiduccio”, in corrispondenza con Giulio Camillo Delminio.
“Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!”, ma non sono riuscito a trovare traccia alcuna né di “Francesco Guiduccio”, né di “Marco Scotto” né di altri personaggi, o testi, citati nel saggio di Lippi. Ne volete un ulteriore esempio?
Provate a trovar tracce – in Wikipedia, nella Enciclopedia Treccani, dove volete – di tale “Arturo Boffa”, autore di un libro intitolato “I neoplatonici del Rinascimento”, libro che sarebbe stato pubblicato da Laterza nel 1929 e di un “…monumentale Magic Lore in Western Highbrow Culture edito dall’Oxford University Press nel 1965.” Io non ci sono riuscito…
Ma non è finita qui.
Volete sapere cosa mi hanno risposto proprio dalla Oxford University Press a cui ho chiesto “lumi” sul misterioso “Arturo Boffa” e su quest’ultimo libro? Eccovi accontentati…
“Dear Dr. Volterri, thank you for your query.
Unfortunately we are unable to help as this title and author do not appear on any of our databases. I have tried looking on the internet and I cannot find any record of Arturo Boffa at all.
Good luck with your research
Kind Regards
Susan Emsley
Senior Bookseller”
Ovvero, alla Oxford University Press non risulta comparire nessun Arturo Boffa tra i loro autori e nel loro database il citato testo… non esiste!
Un coacervo di dati errati, imprecisi, inesistenti tanto per confondere sempre di più le acque?
Un geniale intervento del ben noto Giuseppe Lippi, giornalista, scrittore e traduttore, curatore del mensile di fantascienza “Urania” e attivissimo nel campo della letteratura “fantastica”?
Traete voi qualche razionale conclusione…
Ma una conclusione l’ho tratta da quando ho svolto accurate indagini presso il Ministero del Tesoro e anche presso l’Anagrafe di Roma e ho scoperto che di Rattimiro Bulgheroni… non c’è traccia alcuna!
Continuo? Sì? Bene, ma ancora una volta l’avete voluto voi!
Venusiano Carranza, chi era costui?
Date un’occhiata al frontespizio del libro “Necronomicon” nell’edizione italiana del 1994 (Fanucci). Leggerete…
“Introduzione di Venustiano Carranza
Straordinario di Filologia Paleosemitica
e Antichità Orientali
Università di Città del Messico”
Ora penserete che tale Venustiano Carranza non esista affatto! Errore!
Un bel signore, dall’aria professorale, munito di splendidi mustacchi che accrescono la sua aria da accademico di stretta osservanza è esistito e ha lasciato indelebili tracce di sé a Città del Messico.
Peccato, però, che tutto ciò sia accaduto tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento! Cosa non trascurabile è, inoltre, il fatto che Venustiano Carranza (1859 – 1920) è stato un uomo politico e militare messicano e non un professore universitario di “Filologia Paleosemitica” e dintorni! Fu nominato Presidente il 1º maggio 1915 e nel 1917, dopo aver sconfitto PanchoVilla e Zapata. Morì assassinato nel corso della ribellione di Álvaro Obregón, a sua volta Presidente dal 1920 al 1924.
Eccovi accontentati. Venustiano Carranza esiste!
Peccato che, anziché occuparsi di Filologia semitica, fu Presidente del Messico nel 1915 e 1917 e morì assassinato poco dopo…
Percepisco di già qualche vostra obiezione…
Forse si tratta di un caso di omonimia, forse un personaggio con tale strano nome è esistito in anni ben più a noi vicini…
Forse il “professor Venustiano Carranza” insegnava in qualcuna delle varie Università di Città del Messico a noi sconosciuta, tenendo conto che esistono…
l’Universidad Nacional Autónoma de México o UNAM, fondata nel 1551,
l’Instituto Politécnico Nacional, fondato nel 1936,
la Universidad Autónoma Metropolitana,
la Escuela Nacional de Antropología e Historia
e altre ancora di cui non conosco né anno di fondazione né altri particolari sul corpo accademico.
Forse sono un po’ prevenuto sulla “inesistenza” del famigerato “Necronomicon”, forse mi sono un po’ fissato, forse…
Ma un altro spunto di riflessione sulla geniale operazione editoriale della Fanucci la potete trovare dando un’ulteriore occhiata al frontespizio, dove leggerete…
“Prefazione di Zahir Shah
Ordinario di Parodistica Involontaria
Dipartimento di Paraletteratura
Università di Bombay”
Lavorando in un ambito universitario so bene che, in ossequio al principio della “moltiplicazione delle cattedre”, esistono corsi di “Geografia della Pallacanestro” (in realtà… altro sport), in “Scienze della Morte” e in “Enigmistica”, ma il corso di “Parodistica Involontaria” mi porta inevitabilmente a pensare al celebre libro “Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale” a cura di Paolo Albani e Paolo Della Bella (Zanichelli, 1999). Ve ne consiglio vivamente la lettura!
Vi troverete alcune scienze inventate da letterati, scienze comiche come la Teoria dell’andatura di H. de Balzac, l’Eccezionologia, la Fetenzialia (termine partenopeo che indica l’immondizia), l’Imbroglionica (ovvero la “scienza” che insegna agli scienziati come imbrogliare i colleghi. Disciplina abbastanza diffusa…), la Semiotica imperfetta e la Trentasettologia, elaborata dal critico d’arte professor Flavio Caroli, il quale ha sostenuto che i maggiori artisti sono deceduti… a trentasette anni.
Credetemi, credo proprio che chi ha avuto la geniale intuizione di scrivere il frontespizio del libro “Necronomicon – Il libro proibito di Howard Phillips Lovecraft” (Fanucci, 1994), qualche anno dopo avrebbe potuto dare un notevole contributo alla redazione dell’ineguagliabile opera “Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale”. Tanto per darvi qualche altro esempio, mi soffermo un attimo a pagina 146, dove si parla della “Facoltà di Irrilevanza Comparata” (non vi ricorda quella di “Parodistica Involontaria”?). Di tale inesistente facoltà universitaria farebbero parte il “Dipartimento di Ossimorica” – figura retorica consistente nell’accostare due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro – dove si terrebbero i corsi di “Enologia musulmana”, di “Fonetica del film muto”, di “Oceanografia tibetana” e, proprio per non farci mancare nulla, anche di “Istituzioni di oligarchia popolare”. Nell’improbabilissimo caso foste più interessati a ciò che verrebbe insegnato presso il “Dipartimento di Impossibilia”, potreste contattare il docente di “Storia degli Stati Uniti in epoca ellenistica”, oppure quello di “Letteratura sumera contemporanea” e – perché no? – quello di “Storia delle istituzioni familiari presso i Templari”.
Debbo controllare con maggior accuratezza ma non dispero di trovare anche la “Parodistica Involontaria”!
Sono certo che nessuno di voi potrebbe prendere sul serio l’esistenza della “Facoltà di Irrilevanza Comparata” anche nel caso qualcuno citasse gli inesistenti docenti delle ancor più inesistenti discipline universitarie!
Però, se qualche spirito allegro, con una simpatica propensione per l’ironia e l’esoterismo, volesse scrivere un libro su qualche altro “pseudobiblium”, troverebbe nel testo edito dalla Zanichelli un’infinità di spunti per fornire le sue cervellotiche tesi di adeguato “spessore probatorio”.
Basta consultare i vari siti nostrani – ma anche stranieri – dove si “disserta” sul “Necronomicon” per constatare che ogni “esperto”, ogni partecipante ai vari “Forum” riporta acriticamente… ciò che ha appena letto su un qualsiasi altro sito internet.
Io stesso potrei essere tentato di scrivere sul frontespizio di un mio futuro libro…
Prefazione del Professor Antonio Casao Ibañez
Ordinario di Giaculatorologia presso la
Facultad de Ciencia Inutiles
dell’Università di Madrid
e, proprio per dare maggiore importanza alla disdicevole iniziativa, sarei tentato di aggiungere…
Introduzione del Professor Fernando Martìnez
Straordinario di Cromobromatologia presso il
Dipartimento di Tetrapiloctomia
dell’Università di Barcellona.
Vi verrebbe mai in mente che l’inesistente “Giaculatorologia” sarebbe lo studio di “frasi brevi e dirompenti”?
E vi verrebbe qualche dubbio sulla disciplina scientifica definita “Cromobromatologia” che, sempre secondo il libro da cui sto attingendo queste esilaranti definizioni, si dovrebbe occupare dello “studio degli alimenti a partire dai loro colori interni e esterni”?
Sono più che sicuro che i lettori di questo libro non ci cascherebbero, ma le eccezioni sono sempre dietro l’angolo…
Il curioso, interessantissimo libro che non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi si interessa di “misteri” e delle anomalie della Conoscenza.
Naturalmente – ormai vi è più che chiaro – non esiste né il professor Zahir Shah né la Cattedradi “Parodistica Involontaria” che farebbe il paio con quella di “Teoria generale dell’Inesistenza Reale”! Ma non è affatto detto che non esista anche il “Necronomicon”, magari con altro nome…
Indubbiamente onore al merito di chi ha imbastito una così complessa, quasi geniale, iniziativa editoriale, ma siamo certi che anche Lovecraft abbia avuto la tentazione di agire così?
Perché non ipotizzare – al di là di ogni ragionevole dubbio… – che egli abbia voluto intorbidire le acque affinché, diversamente dal noto detto “Nell’acqua torbida si pesca meglio” fosse difficile “pescare” sul serio qualcosa, qualche notizia, qualche riferimento storico che portasse ad individuare la vera fonte del suo “pseudobiblium”, del suo “Libro dell’Abisso”?
Chissà, forse sto perdendo del tempo, ma… io continuo nella mia ricerca!
Ed ora, qualche indispensabile nota (quasi) al termine di questa iniziale tappa del “viaggio”…
E se tu forse credi ch’io t’inganni…
(Dante, Purgatorio, XXVII, v. 28)
Non sono il solo, non siamo i soli…
Per dare maggiore “spessore probatorio” a quanto ho fin qui espresso sulla possibilità che il grande HPL non ci abbia raccontata tutta la verità sul suo “Necronomicon”, suggerirei al lettore di dare un’occhiata al recente volume di Jorg Sabellicus (un suggestivo pseudonimo che si ispira a un “necromante” e “ciarlatano” vissuto realmente tra XV e XVI secolo…) intitolato “Magia Pratica”, volume 4°, Edizioni Mediterranee.
Se andate a pagina 103, troverete l’illuminante pensiero di Kenneth Grant, prolifico autore di saggi sulla Magia Cerimoniale e profondo conoscitore di quello strano personaggio che fu Aleister Crowley.
Solo per spingervi ad approfondire l’argomento, riporto una significativa frase (pag. 108) dell’occultista…
“E’ possibile che il malefico e aborrito Necronomicon fosse ispirato dalle clavicole o chiavi di Enoch, che Dee e Kelley scoprirono e che Crowley in seguito utilizzò per acquisire l’accesso a dimensioni ignote.”
E concludo con le parole di Sabellicus (pag. 111)…
“A suo giudizio – di Grant. N.d.A. – lo scrittore era autenticamente, anche se inconsapevolmente “ispirato” da entità simili a quelle che condussero Aleister Crowley a prevedere la fine dell’Era presente del mondo e il sorgere di un “nuovo Eone”… Fra quanti si sono ispirati al suo modo narrativo – di Lovecraft. N.d.A. – per elaborare cerimoniali magici, citiamo il fondatore della Church of Satan, Anton La Vey, che invoca l’ombra dell’inconsapevole scrittore in due suoi rituali diabolici; lo stesso Grant, per i rituali del suo OTO Tifoniano; l’Order of The Trapezoid del “Tempio di Seth”(il nome stesso è un riferimento lovecraftiano); il Lovecraftian Coven di Michel Berthiaux, della derivazione “Haitiana” dell’OTO; l’Ordine “Bate Cabal”…”
Però…
Però onestà intellettuale impone che io debba riportare ancora una volta il pensiero dei due massimi esperti “lovecraftiani”, Sebastiano Fusco e Gianfranco De Turris.
In un interessantissimo loro intervento – ben diffuso sul web – essi forniscono una spiegazione ai mille e più “inganni” che ho descritto nella prima parte di questo libro, in particolare riguardo all’intervento di Colin Wilson in cui egli sostiene che il “Necronomicon” sarebbe basato sul “Liber Loagaeth”, un manoscritto del più volte citato mago elisabettiano John Dee, ora conservato a Londra, presso il British Museum e catalogato come “Ms 3189 – Fondo Sloane”.
Non contento di avere fornito una patente di (falsa)… “autenticità” all’introvabile “Necronomicon”, Wilson sosteneva che da una comparazione tra esso e un misteriosissimo manoscritto “arabo” acquistato da Sprague de Camp in Iraq sarebbe emersa la pura “verità”: il “Necronomicon” esiste davvero e deriverebbe da una sorta di curiosa “simbiosi” di queste due opere!
Affascinati da questa strana mescolanza di inverosimili, inattendibilissime, affermazioni, Fusco e De Turris proposero alla Casa Editrice Fanucci la traduzione e la pubblicazione del libro, in origine intitolato “The Necronomicon, the Book of Dead Names”, diffuso dall’editore inglese Neville Spearman.
D’altra parte tale libro iniziava con una lunga e dottissima introduzione di Colin Wilson, conosciutissimo divulgatore scientifico di argomenti “misteriosi”, gli facevano da corollario nomi come Robert Turner, capo dell’ordine esoterico della Pietra Cubica in cui le idee di Aleister Crowley erano pane quotidiano per tutti gli adepti, George Hay, presidente della Herbert G. Wells Society, L. Sprague de Camp, ben noto agli appassionati di fantascienza, oltre a vari altri “esperti” tra i quali un non meglio identificato “dottor Stanislaus Hinterstoisser”. Cosa volere di più?
Però, si sa, “la tentazione fa l’uomo ladro”, o meglio lo fa “ingannatore”…
Così Fusco e De Turris non resistettero – lo affermano essi stessi! – alla tentazione di partecipare all’inganno letterario, aggiungendo all’edizione italiana l’introduzione del mai esistito “Professor Francesco Pincus” – forse collega di un altro immateriale “Professor Giuseppe Pallinus”: permettetemi l’insolente chiosa! – docente di “Teoria Generale dell’Inesistenza Reale” preso l’evanescente “Università Sulcitanea”.
Ma di questi voluti, geniali, “inganni” avete già letto abbastanza…
Gli “inganni letterari”, in questi casi, sono come i… cioccolatini: uno tira l’altro!
Così i due geniali curatori delle opere lovecraftiane presso le Edizioni Fanucci chiesero allo scrittore Gustavo Gasparini di aggiungere una misteriosa storia in cui il “Necronomicon” sarebbe apparso in una crepuscolare Venezia, mentre Giuseppe Lippi fu incaricato di imbastire una tenebrosa vicenda ove il rinascimentale filosofo Giulio Camillo, detto Delminio, sarebbe stato il traduttore dell’infame testo!
Qualche molto improbabile riferimento cronologico (il 29 febbraio di un anno… non bisestile!) e altri depistaggi avrebbero, appunto dovuto “depistare” chi è ben convinto che il “Necronomicon” esista davvero.
Io tra questi, se non avessi una certa reticenza a prendere per “oro colato” sia le più strambe ipotesi sul “Libro dell’Abisso” di cui ci stiamo occupando, sia le ancor più strambe teorie in “odor di… pesce d’Aprile”!
D’altra parte, si sa, l’assenza di prove non è sempre prova… dell’assenza (del “Necronomicon”, ovviamente!).
Il libro ebbe un successo strepitoso, anche se – come avete visto – sarebbe bastata una puntigliosa ricerca dei vari strani personaggi citati – il “Professor Pincus & Co.” – per indurre i lettori ad approfondire gli argomenti trattati.
Magari con un occhio al deliberato “inganno editoriale” e l’altro occhio concentrato sulla possibilità che – poiché “nell’acqua torbida si pesca meglio” – qualche “pesciolino” possa realmente esistere sul fondo del virtuale “lago” in cui sembra sia da decenni immerso il “Necronomicon”, uno dei più discussi , magici, testi citati nell’opera letteraria di HPL!
Il dottor Roberto Volterri con “qualche” copia dell’introvabile “Necronomicon”?
Troppo bello per essere vero! Appassionato bibliofilo, ha con sé solo due interessanti volumi del XVII secolo di carattere storico, compreso l’Astronomicon di Manilio.
Per l’evanescente libro “Al-Hazif”… sarà per un’altra volta!.
Roberto Volterri
Ne I LIBRI DELL’ABISSO troverete inedite immagini e notizie su alcuni libri mai visti, sfogliati e letti da nessun essere umano. Forse perché… non sono mai esistiti, forse perché non li abbiamo ancora ritrovati. Molti sostengono di averli visti, ma nessuno… sa dove siano realmente, ovvero il famigerato Necronomicon. Ma tra i Libri dell’Abisso non potremmo non annoverare anche l’intraducibile (fino ad ora…) Manoscritto Voynich, definito come “il libro più misterioso del mondo”, catalogato come MS408 presso la “Beinecke Rare Book and Manuscript Library” dell’Università di Yale. Insomma, scoprirete, pagina per pagina, i “misteri” che da un secolo aleggiano intorno a questi stranissimi Libri dell’Abisso, ripercorrerete le ricerche degli autori, forse troverete altri indizi, altre “tracce”, altri “misteri”…