L’AMICO D’INFANZIA

SCHEDA TECNICA

Titolo originale: L’amico d’infanzia

Anno: 1993

Regia: Pupi Avati

Soggetto: Pupi Avati

Sceneggiatura: Pupi Avati

Direttore della fotografia: Cesare Bastelli

Montaggio: Amedeo Salfa

Musica: Stefano Caprioli e brani di Richard Wagner

Produzione: Antonio Avati e Aurelio De Laurentiis

Origine: Italia / Stati Uniti

Durata: 1h e 40’

CAST

Jason Robards III, Amy Galper, Jim Ortlieb, Jim Mullins, Joe Ryan, Robert Swan. Doppiatori italiani: Roberto Pedicini, Claudia Balboni, Luca Dal Fabbro

TRAMA

Lo scomodo giornalista televisivo Duncan Mackay si suicida in una stanza d’albergo. Arnold Gardner è un altro giornalista che ammira Mackay, ma è genero di uno dei capi dell’emittente che sta boicottando il lavoro del giornalista. Gardner conduce la trasmissione per commemorare Mackay, ottiene un grande successo, sfrutta l’occasione della sua vita e si fa affidare un importante talk-show serale. Nella città natale di Gardner un uomo esce dall’ospedale con una prognosi infausta di tumore che gli concede tre mesi di vita. L’uomo non si suicida solo perché vede Gardner in TV e lo riconosce come un vecchio amico di giovinezza. Si reca a Chicago e comincia a tempestarlo di telefonate affinché racconti i fatti accaduti ventitré anni prima, se non vuole che capiti qualcosa di terribile. Alla base del film c’è il tema dell’amicizia tradita, e il personaggio dell’amico che ha subito un grave torto – un uomo perseguitato dalla sorte – è tratteggiato in maniera mirabile. Avati afferma che voleva dimostrare come i fustigatori dei costumi tengano spesso molti scheletri nell’armadio. Il famoso giornalista in gioventù si era ubriacato e insieme a un amico aveva abusato di una ragazza vergine, dopo averla drogata. Alla fine l’amico sfigato aveva dovuto sposare la ragazza violentata da Gardner che era pure rimasta incinta.

NOTE

L’amico d’infanzia è una pellicola sulla caducità dell’amicizia, ma è pure un thriller classico, introduce con inquietanti soggettive la figura del vecchio amico, malato terminale, che minaccia per telefono con respiro ansimante. Troppo poco per qualificarlo horror, ma qualcosa resta della lezione di Bava e Argento. Ai nostri fini interessa solo fare una rapida citazione perché non fa parte della produzione intimista e minimalista del regista bolognese. Il film è ambientato a Chicago, viene girato negli Stati Uniti e interpretato solo da attori statunitensi.

La parte thriller-horror è una scusa per un discorso più ampio sul tradimento dell’amicizia, anche se a tratti riscontriamo un po’ di lentezza e prevedibilità. Non è uno dei migliori film di Avati, ma non va trascurato perché la confezione è pregevole. Il tema principale è affrontato a dovere e gli accenni allo strapotere del mezzo televisivo sono abbastanza graffianti. Come elementi horror citiamo le telefonate dell’amico fatte con voce ansimante e con un tono gutturale e macabro che pare provenire dall’oltretomba. Ci sono alcuni omicidi efferati, il sangue che scorre nelle tubature dopo l’uccisione di un giudice, una buona dose di suspense e il finale concitato.

Notevole la confessione del giornalista davanti a milioni di spettatori, mentre l’amico lo incalza al telefono per fargli raccontare un torbido segreto del passato. Il finale vede la morte dell’amico, ormai soddisfatto del risultato raggiunto, ma soprattutto lo scorrere amaro di immagini che vengono dal passato e che raccontano istanti di un’amicizia tradita. Il Parsifal di Wagner fa parte della colonna sonora e compone una languida sigla di coda.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro Tutto Avati di Gordiano Lupi e Michele Bergantin – Edizioni Il Foglio, 2012)