Titolo originale: I cavalieri che fecero l’impresa
Anno: 2001
Regia: Pupi Avati
Soggetto: Pupi Avati (tratto dal romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Pupi Avati
Direttore della fotografia: Pasquale Rachini
Montaggio: Amedeo Salfa
Musica: Riz Ortolani
Effetti speciali: Alvise Avati e Media Cube Italia srl
Produzione: Antonio Avati, Tarak Ben Ammar e Mark Lombardo
Origine: Italia / Francia
Durata: 2h e 27’
CAST
Raoul Bova, Edward Fulrlong, Thomas Kretschmann, Marco Leonardi, Stanislas Merhar, Carlo Delle Piane, F. Murray Abraham, Gigliola Cinquetti, Edmund Purdom, Loris Loddi, Franco Trevisi, Sarah Maestri, Romano Malaspina, Yorgo Voyagis, Romuald Andrzej Klos, Cesare Cremonini, Stefania Rivi, Claudio Undari, Victor Poletti, Renzo Rinaldi, Franco Pennasilico, Annamaria Petrova, Orazio Stracuzzi, Nello Riviè, Dino Cassio, Giovanni Capalbo, Massimo Sarchielli, Imelde Marani, Alan Caister Pearce, Diana Anselmo, Paolo Fiorino
Pupi Avati torna sulle atmosfere di Magnificat per raccontare una storia di respiro internazionale ambientata in un cupo e tormentato Medio Evo, al tempo delle Crociate, con una produzione ricca e sfarzosa. I cavalieri che fecero l’impresa sono cinque antieroi, presentati in un suggestivo incipit dall’abate Giovanni (Delle Piane), presso il Monastero di St. Denis, nel 1272, in occasione della visita per rendere onore alla salma di Luigi IX di Francia. Il film è un lungo flashback narrato da Giovanni da Cantalupo, che si addentra nei particolari dell’impresa compiuta da Ranieri di Panico (Leonardi), Jean de Cent Acres (Merhar), Giacomo di Altogiovanni (Bova), Vanni delle Rondini (Kretschmann) e Simon di Clarendon (Furlong). Cinque personaggi del tutto diversi tra loro, alcuni buoni e onorati, altri malvagi, altri ancora posseduti da demoni oscuri e paladini di Francia. L’impresa consiste nel recuperare la Sacra Sindone, il sudario dove fu deposto Cristo dopo la morte per crocifissione. Il film mette in luce il fallimento della settima crociata (1271) organizzata per convertire Tunisi, narra il ritorno delle spoglie mortali di Luigi IX e l’avventura dei cinque protagonisti che condividono un segreto: il luogo dove è stata nascosta da alcuni traditori la Sindone. La ricerca della reliquia è il tema del film, un viaggio che si dipana dall’Appennino tosco-emiliano (tanto caro ad Avati), fino alla Puglia, per attraversare il canale di Otranto e raggiungere Tebe, in Grecia, luogo dove troveranno la Sindone. Finale punitivo per i protagonisti, che comunque riescono a riportare in Francia la reliquia, ma vengono uccisi perché nessuno conosca l’impresa.
NOTE
Pupi Avati torna al Medio Evo, periodo storico che tanto lo affascina, ambienta con una preziosa ricostruzione – grazie alla consulenza di Franco Cardini – e perfetti costumi (David di Donatello per Nanà Cecchi) una storia a metà strada tra la narrazione epico – avventurosa e la leggenda. Film crudo e realistico con alcuni eccessi di violenza, che non piacciono a parte della critica ma che sono giustificati da esigenze di veridicità. Particolari splatter di braccia mozzate e sangue che schizza in battaglia, uomini condannati dalla Santa Inquisizione e bruciati vivi in un forno, malviventi cacciati da cani feroci, suore violentate nei conventi e chi più ne ha più ne metta. Il tono del film – sottolineato dalla musica sinfonica di Ortolani – va dal cupo all’avventuroso, con alcune sequenze che ricordano il cinema gotico della grande tradizione italiana. Un kolossal che immortala cruenti combattimenti medievali, alternando elementi fantasy, dark, eroici, fantastici, con momenti dal taglio esoterico e persino esorcistico. Un coacervo di generi che non poteva entusiasmare la critica alta, ma che piace senza mezzi termini a un appassionato di cinema italiano, una commistione tra cinema d’autore e cinema popolare non facile a reperire nel nostro panorama contemporaneo.
I cavalieri che fecero l’impresa è un film corale, epico, che mette in campo il romanzo picaresco e la chanson de geste, citando al tempo stesso il cinema di Bava e Ferroni, caratterizzando i personaggi in maniera certosina per conferire anime diverse ai rispettivi ruoli. Fotografia giallo ocra molto luminosa di Rachini, musica intensa e persino solenne di Ortolani, costumi e scenografie ben ricostruite da Cecchi e Pirrotta. Un film che possiede il ritmo tipico del cinema intimo di Avati ma alterna concitate parti avventurose e cruenti battaglie che ci portano in un clima da fantasy medievale.
Il film viene girato tra Appennino tosco – emiliano, Umbria (Todi, Perugia, Stroncone, Assisi…), Puglia (Otranto, Barletta, Molfetta, Parco del Gargano…), Lazio (Lago di Vico, Vulci, Anzio…), Francia e Tunisia, con grande spiegamento di mezzi, attori e comparse. Avati è grande direttore di interpreti, che danno tutti il meglio di loro stessi, con una nota di merito per Raoul Bova, intenso fabbro indemoniato. Nota di colore la presenza di Gigliola Cinquetti nel ruolo della madre superiora, ma c’è anche Edmund Purdom, in un piccolo ruolo, presenza importante del nostro cinema di genere.
Stupendi sia l’incipit che il finale, come sempre molto proustiani, circolari, con un intenso Delle Piane che termina la sua narrazione e finisce per sentire le voci dei cavalieri risuonare tra le navate del monastero. Un film che la critica italiana non ha capito e che non ha avuto neppure un grande successo di pubblico, ma che deve essere riscoperto e analizzato per l’importanza che riveste come esperimento di cinema d’autore che utilizza elementi tipici del cinema di genere. Avati è narratore dal grande respiro e si conferma affabulatore storico – fantastico di grande efficacia.
Gordiano Lupi
(tratto dal libro Tutto Avati di Gordiano Lupi e Michele Bergantin – Edizioni Il Foglio, 2012)