Cap. 7°
Ecìla si commosse quando ascoltò “la storia della spina santa e dell’uomo buono” raccontatale dal pettirosso e capì anche che quando la macchia scarlatta sul petto dell’uccellino s’intensificava, divenendo per un attimo liquida, il grazioso volatile diffondeva attorno a sé un’aura magica: un momento aulico dove all’animaletto si apriva una sorta “di terzo occhio” in grado di vedere lontano ed in profondità.
I giorni passavano lenti e quieti ad Imageland ed anche il sole e la pioggia, con reciproco rispetto, si dividevano equamente i propri spazi temporali.
Ecìla passava molto tempo insieme ad i suoi amici animali ma, mentre il gatto Cesare l’accompagnava nell’attraversamento della città, Pilù si materializzava non appena lei, da sola, si addentrava nei pascoli o nel bosco.
Un giorno, scaturita dal nulla, come ogni cosa prima di lei, apparve una bellissima puledrina bianca che si andò a posizionare dinanzi al portone d’ingresso della bimba.
Ecìla, prontamente uscita sulla soglia di casa, prese subito ad accarezzare il muso della puledra e ne notò immediatamente i grandi occhi mansueti.
<Occhidolci … ti chiamerò Occhidolci !> sentenziò allora senza indugio.
La cavallina nitrì ed abbasso poi ritmicamente la bella testa per assentire.
<Puoi parlare Occhidolci …> aggiunse allora Ecìla, riprendendo ad accarezzarle il muso affusolato.
<Grazie …> rispose soltanto, con fare timido, la nuova arrivata.
Già il giorno seguente Ecìla commissionò a Gabriel un calessino bianco e rosa da agganciare alla puledra con delle stanghe munite di campanellini d’argento e, non appena pronto, adornò il calesse anche con ghirlande di fiori freschissimi.
Su quel calesse, con seduto accanto a sé a cassetta il gatto Cesare, Ecìla prese a scorazzare per Imageland e, fatto poi scendere il felino, si inoltrava nei pascoli mentre Pilù, poggiato sulla sua spalla, le raccontava le ultime novità del bosco.
Poi, alla spicciolata, iniziarono ad arrivare altri esseri umani – uomini e donne in ugual numero – affinché potessero formare una famiglia con coloro che, già ormai da tempo, abitavano Imageland.
Si determinò così in paese una grande animazione e fabbri, falegnami, stagnini, ecc … dovettero lavorare alacremente poiché c’era bisogno di altri mobili, altri utensili e tutto ciò che occorreva ad una comunità notevolmente aumentata.
Soltanto il castello, appollaiato sul suo aguzzo picco, avvolto nella spessa nuvolaglia di color grigio spento, rimaneva silenzioso e deserto.
Poi tutto quel trambusto finì e la calma tornò ad abitare il paese.
Al tramonto, quando il lavoro giornaliero aveva termine, si potevano vedere le nuove coppie che si erano andate formando passeggiare per le vie o riempire le piazzette; alcune non erano accompagnate da bambini, altre vantavano invece una coppia di bimbi: sempre però un maschio ed una femmina e appartenenti alla stessa fascia d’età.
Ecìla, osservandole, dopo un’iniziale momento d’euforia, tornò a provare quell’oscura fitta di disagio come se, ancora una volta, in quel quadro, apparentemente perfetto, cogliesse qualcosa d’inespresso, d’incompleto, di difettoso …
Soltanto Gabriel, il biondo falegname dagli occhi di cielo, era rimasto da solo a gestire la sua bottega e ad abitare la minuscola casa: un guscio assai grazioso ma così minuto da non riuscire ad ospitare altre persone.
Ecìla fermava spesso il suo calesse fiorito dinanzi alla bottega di Gabriel – dalla cui insegna spiccava ora un essere alato fatto di luce – e, per lo più, s’intratteneva con lui intonando, sul far della sera, dolci melodie e dimenticate cantilene che odoravano di rose color cenere e trine dismesse: nel suo cuore, come una bolla d’aria che non riuscisse a trovare l’uscita, ribolliva ancora il sogno di “un’amica del cuore”, ma, pur desiderandolo intensamente, temeva il momento in cui quella bolla d’aria avrebbe finalmente visto la luce.
Era il tramonto e l’imminente primavera aveva fatto sbocciare i primi crochi e le margheritine di prato – le cui corolle, candide e nuove di vita, dondolavano timidamente ad una leggera brezza che le scuoteva -, quando un lieve toc toc scosse l’uscio dell’abitazione di Ecìla.
“Chi sarà?” si chiese la bimba, deponendo accanto a sé, sulla panca dove sedeva, il libro illustrato di antiche fiabe. Cesare, addormentato ai suoi piedi, drizzò gli orecchi, mentre un guizzo improvviso di sole illuminava il soffitto, per poi adagiarsi come un segnale luminoso sul davanzale della finestra.
Ecìla allora si affacciò, ma, anche sporgendosi, non riuscì a vedere chi stesse bussando alla sua porta.
Incuriosita, affrontò allora, quasi correndo, la scala che conduceva al piano di sotto e, d’istinto, si sistemò una ciocca di capelli sfuggita all’abbraccio della folta treccia: inconsciamente voleva essere trovata in ordine da chi la cercava.
Il cuore le diede un battito più prolungato mentre girava il pomello della porta e si affacciava all’esterno.
Era minuta … diafana e appariva spaventata . Le sue ciglia, come i suoi capelli, erano di un biondo così chiaro da sembrare bianchi e l’azzurro degli occhi era come un panno, lavato così tante volte da avere quasi completamente perso il suo colore originale.
Quando l’esserino vide Ecìla si contrasse e si appiattì, quasi a voler scomparire tra le pietre del muro portante della casa.
<Chi sei?> le chiese allora Ecìla e, non ricevendo risposta, aggiunse < Vieni … entra … accomodati pure nella mia casa. Parleremo così con calma e mi dirai di cosa hai bisogno.>
La sconosciuta si staccò allora lentamente dal muro, nel quale aveva tentato di mimetizzarsi e scomparire, ed afferrò la mano che le veniva porta.
Ingoiata quasi dalla capiente poltrona dove Ecìla l’aveva fatta accomodare, la fragile creatura – che era in realtà una bimba che mostrava sei o sette anni d’età – fissava intimidita le labbra della padrona di casa, quasi a volervi leggere un significato più profondo delle stesse parole che venivano pronunciate.
<Nives …> disse d’improvviso <Il mio nome è Nives.>
Ecìla tremò, perché quello stesso nome aveva appena attraversato la sua mente, ma ancora non aveva raggiunto la sua bocca.
<Già …> assentì allora <Nives è proprio un bel nome.>
La bimba sorrise e, nel farlo, parve d’improvviso divenire trasparente … per un battito di ciglia persino invisibile.
Ecìla era incantata da quel prodigio, ma anche spaventata da quell’estrema fragilità che la nuova arrivata mostrava.
“Ora c’è … ed ora sembra non esserci più!> si disse infatti “Sembra potersi spezzare al più insignificante soffio di vento o scomparire d’improvviso come un bel sogno all’alba.”
<Nives > disse comunque a voce alta <Chi sei? Perché sei qui?>
<Non … non lo sai?> chiese la bimba e parve di nuovo spaventata al solo vedersi costretta a formulare quella domanda.
Ecìla fissò la bizzarra creatura con ancora più intensità e cercò nel profondo di se stessa – dove sapeva di poterla trovare – la risposta.
<Un’amica? La mia migliore amica, forse ?>
Di nuovo la sagoma di Nives parve per un attimo impallidire, sin quasi a scomparire, poi, recuperando quel timido sorriso di poco prima, rispose: <Credo … credo proprio che sia così!>
Ecìla allora, facendola sollevare dalla poltrona, l’abbracciò ed, a quel semplice contatto, l’evanescenza che caratterizzava la diafana creatura che Nives era si propagò anche a lei … alla sua stessa fisicità corporea: le parve infatti che, per qualche istante, le sue braccia, fatte d’aria, stringessero soltanto l’aria.
Osservando poi il cielo, ormai scuro oltre la finestra, si accorse che il buio era sceso su Imageland.
<Questa notte puoi dormire qui, nella mia casa> disse Ecìla, rivolgendo un sorriso rassicurante a Nives, ancora palesemente intimidita <Domani invece ti mostrerò la tua casa, dove, se ti piacerà, potrai vivere a tuo agio ed in tutta libertà.>
Le pallide labbra della bimba si piegarono all’ingiù, incapace di celare il cruccio che quella affermazione doveva aver suscitato, tuttavia affermò: <Certo … come vuoi tu …>
<Comunque domani, alla luce del sole, ne riparleremo.> disse Ecìla, alla quale il cruccio di Nives non era sfuggito.
<Sì … alla luce del sole …> ribadì lei, fissando a sua volta il ritaglio di cielo che mostrava la finestra … un cielo che quella notte tardò ad ospitare le stelle.
Nell’ora più fonda della notte Ecìla si svegliò ed, uscendo in punta di piedi dalla sua stanza, seguì l’impulso di andare a scrutare nel sonno la nuova arrivata.
Sul candido letto messole a disposizione la sagoma del corpo di Nives aveva formato un leggero affossamento, ma del corpo di lei pareva non esservi alcuna traccia … scomparsa come avviene nei sogni dove luoghi e presenze compaiono o scompaiono seguendo una loro incomprensibile logica che appartiene, appunto, soltanto ai sogni.
Ecìla, rabbrividendo, tornò nella sua stanza e tentò di affidare, a sua volta, al sonno quella irreale realtà.
(7 – continua)