IMAGELAND – PARTE 08

Cap. 8°

Snelle colonne di fumo salivano in cielo ed i raggi del sole al tramonto, attraversandoli,  donava loro una cupa tinta sanguigna.

Ecìla aveva lasciato Occhidolci a brucare la tenera erba novella e stava attraversando i pascoli mentre Pilù, appoggiato alla sua spalla, le stava raccontando gli ultimi avvenimenti del bosco.

Fu Pilù il primo a volgere lo sguardo verso le scie di quel fumo imprevisto. I suoi occhietti, come neri punti di spillo, fissarono a lungo l’insolito fenomeno, per  portare di nuovo lo sguardo su Ecìla, ancora ignara, e lanciare poi un sonoro “Ciricì!”

<Guarda!> esclamò poi correggendo il suo linguaggio aviario ed, a rafforzare la sua esclamazione, puntò una piccola aluccia verso il castello.

<Guarda!>

Ombre scure parevano attraversare il castello e sagome aguzze e contorte scivolavano dietro alle finestre.

 

Ecìla, dopo la sua affannosa corsa verso il maniero, osservava attonita quel fenomeno inquietante … Non ai suoi occhi, ma ai suoi sensi affinati apparve un fiume nero che pareva colare dai davanzali, dalle ogive, dalle finestre e persino da invisibile fessure, incuneate nelle pietre stesse del castello: rivoli di un’acqua nera e sporca che, raggiunte le fondamenta del maniero, si andava poi allargando in una immonda pozza che il terreno pareva non riuscire ad assorbire.

Ecìla era spaventata e Pilù, divenuto muto, teneva le piume accostate al corpicino, come irrigidito dal gelo.

Nonostante il terrore che si stava impossessando di lei, Ecìla si sforzò però di avanzare verso il castello, lentamente … molto lentamente …

Un piede dietro l’altro stava ormai quasi per sfiorarne le massicce mura, quando quel tenebroso fenomeno, così come era iniziato, di colpo si arrestò: il fumo smise  d’innalzarsi verso il cielo e ben presto non ci furono più ombre ad aggirarsi al suo interno, mentre quei mefitici rigagnoli smisero di riversarsi all’esterno. Soltanto l’immonda pozza rimase per un attimo a rispecchiare quel cielo corrusco che stazionava soltanto sopra al castello …

Poi, con un ultimo, sinistro scintillio, sparì anche lei, prosciugata dalla stessa sostanza che l’aveva provocata.

 

Ecìla si sforzò di dimenticare quell’episodio che le aveva lasciato come un’ombra interna … una piega oscura dell’anima che, soprattutto di notte, si apriva su di un mondo sconosciuto ed ostile.

“Perché?” si chiedeva allora in quei momenti in cui la sua solitudine, già determinata dall’unicità della sua natura, diveniva ancora più profonda e spaventevole.

“Perché?”

“Se tutto nasce da me, perché quel castello pare sfuggire al mio potere, agendo per suo conto, straniero … alieno ed anche, ne sono certa, ostile a tutto ciò che lo circonda? Al mondo stesso di Imageland, cui pure appartiene?”

“E perché …” – ma ciò Ecìla lo sussurrava con insito timore anche a se stessa, come vergognandosene – “perché colgo sempre più spesso un senso di estraneità proprio nelle persone che dovrebbero essermi invece più vicine? I miei genitori … la mia amica del cuore … a volte anche il dolce Gabriel?

Ecìla sospirò “Soltanto gli animali paiono comprendermi e parlare lo stesso linguaggio del mio cuore … Soltanto loro!”

Ed Ecìla spinse la porta della sua casa con il cuore gonfio di amarezza: sapeva che all’interno non avrebbe trovato quel calore che si aspettava, ma rigidi manichini che avevano soltanto imparato molto bene la parte assegnategli.

 

Le ore ad Imageland, come in un orologio esposto ad un forte calore, colavano lente.

Così come accadeva per le ore, anche i gesti dei suoi abitanti tradivano una calma sonnolenta: una vita anestetizzata che pareva non perseguire alcuna meta.

Quando scendevano le prime ombre della sera, come un lungo sospiro scivolava sul paese, sfiorava le cime degli alberi, accarezzava i tetti delle case, s’incuneava tra i vicoli e le stradine, spazzava le piazzette e si perdeva poi in un veloce ribollire delle fontane.

La notte scendeva piena di silenzio e di stelle.

(8 – continua)

Myriam Ambrosini