IMAGELAND – PARTE 10

Cap. 10°

Il bosco sussurrava.

Le cime degli alberi si piegavano sino a congiungersi come in un colloquio più intimo.

Discorreva … fremeva …

Ecìla si destò inquieta e si accorse che Cesare non dormiva ai suoi piedi.

Lasciò allora il letto e, avvicinatasi al catino, vi versò dell’acqua e, velocemente, si deterse il volto e le mani ed, indossato il suo abito a fiori, scese silenziosamente dabbasso.

I suoi genitori erano lì, come sempre, ad attenderla davanti ad un fuoco già acceso: lo stesso sguardo inespressivo … il medesimo perenne sorriso a piegare all’insù gli angoli della bocca.

“Loro non avvertono nulla … alcun cambiamento.”  si disse Ecìla “D’altronde, per quanto mi riguarda, è sempre così.”

Sbocconcellando, a mo’ di colazione, un pezzo di pane Ecìla uscì …

Nel paese tutto era calmo; dalle botteghe già aperte arrivava il solito rumorio, tipico dei diversi mestieri che vi si praticavano.

Mamme e bambini passeggiavano per i viali e, vedendola, le rivolsero, a loro volta, quel sorriso stereotipato che Ecìla quel giorno, ignorandolo, non ricambiò.

Pensò di recarsi a casa di Nives, ma il pensiero del volto anemico di quella bimba e quella sua trasparenza la bloccarono, facendola desistere.

Poi si avvide che, a differenza degli umani, gli animali mostravano invece una grande inquietudine. Gli uccelli svolazzavano di qua e di là come disturbati da qualcosa, mentre le bestie di terra si aggiravano confuse per Imageland, a volte girando, come impazziti, su loro stessi.

<Cesare!> chiamò allora a gran voce Ecìla <Cesare!> ripetè non vedendo da nessuna parte l’amato gatto, ma il felino non rispondeva, né si faceva vedere.

Poi le giunse il mormorio del bosco … prima sommesso, poi sempre più nitido ed invadente.

Prese allora a dirigersi verso l’origine di quei suoni sconosciuti ed, una volta sulla soglia del bosco, vide spuntare da dietro un cespuglio il gatto Cesare su cui, inopinatamente, era appollaiato il pettirosso Pilù.

<Amici miei …> disse allora Ecìla, felice di vederli, ed andò loro velocemente incontro.

<Cosa accade?> chiese poi quando li raggiunse.

<Non lo sappiamo, Ecìla.> risposero entrambi all’unisono <Il bosco sembra come impazzito … gli alberi si piegano, si contorcono e, credo, dialogano tra loro.>

<Gli alberi parlano?> disse sgomenta Ecìla.

<Non soltanto gli alberi,> sottolineò Pilù <ma ogni arbusto, fiore, stelo

d’erba … è tutto un vocio, un cicaleccio, un brusio sempre più intenso.>

<Voglio andare a vedere!> affermò Ecìla, sempre coraggiosa e determinata quando si trattava di prendere rapide decisioni.

<Venite, accompagnatemi …>

Cesare e Pilù per un attimo parvero tentennare, poi si affiancarono alla bimba che, decisa, entrava ed affrontava il bosco.

Ecìla notò come Pilù, per non cadere, si fosse aggrappato con le zampine alle orecchie del gatto e ciò, nonostante tutto, la fece sorridere … In compagnia dei suoi amici animali si sentiva più forte e sicura!

 

Il bosco, effettivamente, era animato … Querce, lecci, castagni, eucalipti, ecc … parevano conversare tra loro: le chiome piegate uno verso l’altro, colloquiavano nel loro linguaggio segreto, intrecciando, a volte, persino i rami tra di loro.

I cespugli dondolavano seguendo un loro ritmo segreto, non indotto da un vento, peraltro assente; le corolle dei fiori si aprivano e si chiudevano, mimando quasi la gamma delle espressioni umane, l’erba fremeva come sotto la carezza continua della mano di un gigante.

<Capisci cosa dicono?> chiese Pilù ad Ecìla.

<No … e voi?>

<No … neppure noi …>

Pur intimorita da tutto quell’innaturale sommovimento, Ecìla seguitò a proseguire nei sentieri boscosi e, di lì a poco, intuì che non esisteva un reale pericolo … che gli abitanti arborei di quel luogo non costituivano una

minaccia … interagivano piuttosto o, meglio, presagivano, più e meglio degli umani, qualcosa che stava per accadere.

Si confidavano dunque … si consigliavano reciprocamente “sul da farsi” per operare la scelta migliore.

Non appena Ecìla fu raggiunta da questa intuizione, il bosco iniziò man mano a calmarsi e, nel giro di qualche minuto, si quietò e tutto tornò come sempre: quiete, odore di resina e profumo di fiori.

 

L’uomo dello specchio, alias Libero, non si era più fatto vedere in paese ed Ecìla ignorava dove si fosse rifugiato, ma, con quella sua speciale capacità intuitiva, che rasentava un potere profetico,  sapeva che al momento opportuno sarebbe ricomparso ad Imageland: quell’individuo aveva infatti sicuramente una missione … e quella missione riguardava lei e tutto ciò che da lei aveva preso vita.

Come per ingannare il tempo in attesa di ciò che sarebbe, comunque, inevitabilmente accaduto, Ecìla occupava i lunghi pomeriggi estivi nel tentativo di conoscere meglio Nives, l’amica del cuore che, da un suo intrinseco desiderio, si era infine materializzata.

 

Nelle iridi di Nives si riflettevano gli zampilli iridescenti che la fontana innalzava verso il cielo incredibilmente turchino, ma soltanto un atono vuoto pareva rispondere a tanta grazia e tripudio di colore.

Un brivido colse Ecìla nell’osservare quel raggelante vuoto espressivo: quali mai pensieri attraversavano la candida fronte di quella enigmatica bimba? V’era in lei qualche emozione? O il calore delle passioni le era invece completamente estraneo? Penosamente o paurosamente avulso da quel corpo quasi senza una reale consistenza …

<E’ straordinario come il sole accenda di riflessi iridescenti l’acqua, non credi?> disse allora come a voler spezzare un incantesimo e scuotere Nives, la sua migliore amica, da quel torpore che pareva accompagnare ogni suo gesto, sguardo, parola.

<E’ bello …> sentì che le rispondeva l’esile voce di Nives <E’ bello …> ma la sua espressione non mutava, né quel piatto gelo scompariva dai suoi occhi.

Ad Ecìla d’improvviso venne voglia di piangere e per lei, così solare, così sempre entusiasta e positiva, era veramente una rarità.

<Va bene …> rientriamo ora, sta scendendo la sera.> commentò allora, stanca ormai di quei spenti pomeriggi passati in compagnia di chi, invece di trasmettere il calore della complicità e dei pensieri condivisi, le lasciava soltanto l’amaro in bocca ed una sensazione come di perdita che le gelava il cuore.

Quella notte, nel caldo del suo lettino color salmone, Ecìla pianse.

(10 – continua)

Myriam Ambrosini