Cap. 11
Primavere, estati, inverni ed autunni regalavano fiori e calore, così come depositavano su Imageland neve e foglie morte.
Nelle botteghe il lavoro ferveva come sempre e nei pascoli il bestiame si moltiplicava, mentre gli orti ed i giardini divenivano, man mano, sempre più produttivi gli uni e lussureggianti gli altri.
Sui volti degli abitanti il tempo non pareva invece scorrere ed i loro corpi non mostravano segni di cambiamento, né d’invecchiamento.
Ecìla invece cresceva e la bimbetta dalle treccine bionde e l’eterno vestitino a fiori si andava trasformando in una snella adolescente dove già si iniziavano ad individuare le forme della futura donna.
Anche quel mattino, dopo aver provato il suo nuovo vestito a fiori – identico, se non per dimensioni, a quello di sempre –, cucitole dalla sarta del paese, Ecìla si preparava a trascorrere, come al suo solito, la giornata.
Avrebbe iniziato con la visita alle botteghe, soffermandosi soprattutto in quella di Gabriel. Gli occhi di cielo ed i capelli color dell’oro del giovane falegname non avevano perduto per lei alcuna attrattiva e la sua voce melodiosa seguitava a scaldarle il cuore, ma nulla, sia nel bene che nel male, era mutato nei loro rapporti. Era piacevole passare del tempo insieme, ma non si era andata creando tra di loro una vera intimità … un sentimento che travalicasse i confini di una serena frequentazione. Ma in cuor suo Ecìla intuiva che quel giovane non era soltanto quello che sembrava … in lui doveva esserci qualcosa di più … molto di più. E lei non aveva fretta …
Lasciato Gabriel, si sarebbe diretta ai pascoli e, da lì, avrebbe raggiunto il bosco.
Pilù, come sempre, l’aspettava per accompagnarla nelle assolate radure o nella frescura dei sentieri boschivi. Il suo piccolo amico da qualche tempo pareva però saltellare con meno vigore ed appariva più lento nello spiccare il volo, come se le sue alucce si fossero un po’ arrugginite.
Anche il gatto Cesare era divenuto sempre più grasso e pigro, ma Ecìla mostrava di non accorgersene o, forse, fingeva soltanto di non rendersi conto di quei cambiamenti – assenti invece negli esseri umani – poiché era per lei inimmaginabile – e lei era detentrice di ogni immaginazione – che ai suoi piccoli amici potesse accadere qualcosa di spiacevole o di negativo.
Stava dunque iniziando per Ecìla un altro giorno, uguale, reputava, a tutti quelli che l’avevano preceduto.
Era ormai sulla soglia di casa, quando udì un insolito tramestio e voci eccitate che si mescolavano tra loro.
Colta da un presentimento, Ecìla tentennò ed ebbe un attimo d’esitazione prima di aprire la porta di casa … poi, fattasi coraggio, girò il pomello ed uscì in strada.
Come se un vento improvviso li spingesse tutti nella stessa direzione, uomini, donne e bambini di Imageland si affrettavano verso un unico luogo.
Ecìla, sempre più incuriosita, li seguì.
Era lì … fermo ed immobile al centro della piazza dove era comparso la prima volta, l’uomo dello specchio girava le spalle alla folla che, sempre più numerosa, accorreva: dall’enorme specchio che la sua schiena sosteneva parevano provenire come dei lunghi sonori rintocchi che scuotevano l’aria intorno, facendo fremere i cespugli fioriti e deviare la direzione degli zampilli della fontana che ornava il grazioso slargo.
“Dlong … dlong … dlong …” lo specchio sembrava chiamare a raccolta tutto il paese.
“Dlong … dlong … dlong …”
Ecìla sopraggiunse affannata e rossa in volto e soltanto allora, percependo sicuramente la sua presenza, l’uomo dello specchio si voltò e, nello stesso istante, lo specchio smise di rilasciare quei sonori, forse un po’ lugubri rintocchi.
<Venite miei cari … avvicinatevi buoni abitanti di Imageland!>esclamò allora ad alta voce l’uomo ed, osservando poi i bimbi che si mostravano più incuriositi ed eccitati degli adulti <Venite bambini,> aggiunse, accompagnando l’invito con quello straordinario, seducente sorriso <Venite … ho qualcosa per voi!>
E, infilando una mano nella tasca dei bizzarri calzoni, sempre una taglia troppo corta per lui, ne tirò fuori una manciata di caramelle che brillò sotto i raggi del sole come fosse oro puro.
Facendosi coraggio tra di loro, alcuni bimbetti iniziarono ad avvicinarsi e la prima raggiungere l’uomo fu una bimba dalla pelle brunita e gli occhi così grandi da parere eternamente spalancati sul mondo.
<Vieni … vieni cara …> la sollecitò l’uomo dello specchio e, curvatosi un po’ verso di lei, le porse quella manciata di caramelle simili all’oro puro.
La bimba, scartandola in fretta, se le mise subito in bocca e, mentre quella si scioglieva sul suo palato, mostrò un’espressione di vera beatitudine.
<E’ buona?> le chiese l’uomo dello specchio, seguitando a sorridere.
Lei annuì, emettendo pi come un gioioso squittio.
<Oh, sì,> affermò poi <è la caramella più buona che io abbia mai mangiato!> e se ne ficcò subito un’altra in bocca e, per l’intenso piacere, i suoi occhi parvero persino inumidirsi, come prossimi a lasciar andare una lacrima.
Di lì poco la bimba terminò tutte le caramelle che le erano state donate e, tirando l’uomo per le lunghe falde della giacca, ne chiese delle altre.
<Va bene …> le rispose allora l’uomo, ma prima devi fare anche tu una cosa per me.>
<Cosa?> chiese la bimba un po’ seccata per non vedere subito soddisfatta la sua richiesta.
<Vedi il grande specchio che ho sulla schiena?> le domandò l’uomo.
La bimba annuì e guardò poi con una sorta di timore la grande superficie specchiante che, alle lusinghe dei raggi solari, rispondeva invece, a differenza delle caramelle, con un cupo riverbero dove l’ombra pareva ricacciare indietro la luce.
<Dai cara … non ti mangia mica!> esclamò l’uomo, raddrizzandosi e mostrandole la schiena, affinché la bimba potesse, con maggior agio, specchiarsi.>
La bimba si rassettò istintivamente l’abito e la capigliatura e si posizionò poi dinanzi allo specchio, ma ciò che vide fu … IL NULLA!
Disorientata si stropicciò gli occhi e guardò poi nuovamente verso la superficie riflettente, ma ancora una volta furono soltanto il vuoto ed il nulla ad abitare lo specchio.
<Non funziona!> gridò allora la bimba, frustrata <E’ rotto!> aggiunse poi ed, irritata, iniziò a piangere.
<No … non è rotto!> la sconfessò l’uomo e, per mostrare che stava dicendo la verità, si staccò lo specchio dalla schiena e, poggiatolo poi al tronco di un albero, vi si posò di fronte.
Immediatamente lo specchio rifletté, con la perfezione e la fedeltà che solo uno specchio può dare, la sua immagine, lunga ed allampanata.
L’uomo, come per dare un’ulteriore prova della sua veridicità, mimò poi una sorta di danza dinanzi allo specchio – che, naturalmente, ripeté pedissequamente tutti i suoi movimenti, saltelli, giravolte – ed infine si scappellò dinanzi a lui in una sorta di scherzoso saluto.
<Qualcun altro vuole provare?> chiese poi, tirando fuori dalla tasca una nuova manciata di caramelle che, come la prima volta, s’indorò al sole ormai al suo vertice.
Uno dopo l’altro tutti i bimbi di Imageland si sottoposero alla prova dello specchio … e con lo stesso identico risultato.
Lo specchio seguitava a non riflettere alcuno di loro, ma registrava invece ogni movimento ed espressione dell’uomo dello specchio.
Poi, interdetti ed incuriositi, ma soprattutto sollecitati dai doni – pettini di tartaruga, fazzoletti ricamati e piccoli monili per le donne; tabacco, pipe o graziosi orologi per gli uomini – che l’uomo dello specchio seguitava a tirar fuori dall’inesauribile tasca.
Fu un andirivieni, a volte frenetico, che si prolungò sino a sera. Ma lo specchio rimase spento, muto, vuoto.
Ecìla, in disparte, aveva osservato, con ansia sempre crescente, tutta quell’animazione e, ad ogni tentativo fallito, si sentiva come personalmente sminuita, svuotata a sua volta di sostanza.
Poi rimase soltanto lei …
Non ci fu bisogno che l’uomo la sollecitasse o si arrischiasse a chiamarla … Ecìla, in silenzio e con gli angoli della bocca piegati all’ingiù, si diresse spedita verso lo specchio: totem ormai misterioso e silente.
Capì immediatamente di essere entrata nel suo raggio d’azione, poiché, sfiorandone appena un orlo, un lembo della veste, con i suoi fiori in boccio, occhieggiò già prepotente.
Non appena Ecìla inserì poi per intero la sua figura nella superficie specchiante, quella le restituì, netta e vivace, la sua immagine che il sole al tramonto trasformò poi quasi in una creatura di luce: puro oro e vera carne.
(11 – continua)