E’ ormai in viaggio da quasi un anno l’orbiter internazionale BepiColombo progettato dall’agenzia spaziale europea ESA, partito dalla Terra il 20 ottobre 2018, giorno che ha segnato la prima missione in assoluto dell’Europa verso Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, nonché il più piccolo e meno esplorato.
Non è un caso se Mercurio è il pianeta che conosciamo meno di tutti nel Sistema Solare: è quasi privo di atmosfera e la sua vicinanza al Sole rende difficile un qualsiasi viaggio per esplorarlo. BepiColombo dovrà passare 9 volte vicino al pianeta prima di arrivare a destinazione su Mercurio, in un viaggio di 9 miliardi di km che durerà 7 anni e che dovrebbe concludersi a dicembre del 2025, che prevede che la sonda, aiutata dalla spinta della Terra, di Venere e di Mercurio stesso, possa finalmente arrivare in orbita al primo pianeta per poterlo studiare.
La missione nasce dalla collaborazione tra l’ESA e la JAXA, agenzia spaziale giapponese. Il Mercury Planetary Orbiter è opera dell’ESA, mentre il Mercury Magnetospheric Orbiter è stato costruito dalla JAXA. Sarà il Mercury Transfer Module a portare entrambi gli orbiter a destinazione, nel lungo viaggio che porterà BepiColombo su Mercurio.
Nel 2025 i due orbiter cominceranno a raccogliere dati sul pianeta: parliamo della sua composizione, della densità, del campo magnetico, della sua atmosfera e dell’interazione tra il corpo celeste e il Sole.
Sarà una esplorazione difficile, in cui gli strumenti eseguiranno contemporaneamente misurazioni complementari in 3D muovendosi nello spazio intorno al pianeta.
Già la navicella della Nasa Messenger per quattro anni, dal 2011 al 2015, ha indagato a fondo Mercurio. Ma molte cose rimangono da capire. Interrogando il pianeta con gli strumenti di BepiColombo si spera di comprendere meglio come si è formato il Sistema Solare e quindi come nascono e si evolvono gli esopianeti, i sistemi planetari di altre stelle ormai noti a migliaia. Ma probabilmente ci saranno anche altre sorprese perché la regione interna del sistema solare, dove si muovono Venere e Mercurio, è stata poco esplorata rispetto alla parte esterna, anche per la difficoltà di raggiungere e operare in quell’ambiente dove il Sole fa sentire tutta sua energia e la potenza del suo campo gravitazionale.
Mercurio è un pianeta roccioso particolarmente denso, con un diametro 4.878 chilometri, un terzo della Terra. Dal 1960 verso Marte sono state inviate circa 60 sonde, con una percentuale di successi che sfiora il 50 per cento. Mercurio, invece, finora è stato visitato solo da due navicelle della Nasa. La prima, Mariner 10, fu lanciata il 3 novembre 1973 e, sfruttando la gravità di Venere, grazie a una intuizione del matematico italiano Giuseppe (Bepi) Colombo, compì una serie di sorvoli ravvicinati di entrambi i pianeti, sfiorando Mercurio per tre volte fra il 1974 e il 1975. La seconda, Messenger, entrò in orbita attorno a Mercurio nel 2011. Ma non sappiano ancora come mai Mercurio sembra essersi “ristretto”, perché abbia un campo magnetico debole nonostante il suo massiccio nucleo di ferro pari al 42% del volume planetario, perché il centro magnetico sia spostato rispetto al centro del pianeta. Ci si domanda anche se Mercurio si sia formato lì dove oggi si trova o sia arrivato da regioni lontane del sistema solare.
Una anomalia notata nell’orbita di Mercurio ad esempio, offrì la prima prova a favore della relatività generale di Einstein. Curioso è anche un altro fatto: Mercurio completa un giro intorno al Sole in 88 giorni ed è ovviamente, per le leggi di Keplero, il pianeta più veloce, ma impiega 59 giorni a compiere un giro su se stesso. I due movimenti stanno in un rapporto preciso: tre rotazioni ogni due rivoluzioni. Questo fa sì che ogni punto del pianeta rimanga esposto alla luce del Sole per 176 giorni. Conseguenza: la superficie illuminata raggiunge temperature di 430° C, mentre la parte in ombra scende a 180° C sotto zero. Anche la scoperta del rapporto tra i periodi di rivoluzione e di rotazione è merito di Giuseppe Colombo.
Ma vediamo chi era questo grande scienziato italiano che ha dato il nome a questa missione.
Giuseppe Colombo, «Bepi» per i colleghi, ha legato il suo nome allo studio di Mercurio e a quel «satellite al guinzaglio» che ha volato due volte con lo Shuttle. Mercurio è osservabile anche a occhio nudo ed è noto fin dall’antichità, ma la sua vera scoperta avvenne il 29 marzo 1974, quando la sonda Mariner 10 lo sorvolò ad appena 720 chilometri di distanza e ci inviò perfette immagini della sua superficie cosparsa di crateri. La missione della Nasa sarebbe finita lì se “Bepi” Colombo non avesse suggerito una modifica della rotta che portò la sonda a sfiorare Mercurio altre due volte, il 21 settembre del 1974 e il 16 marzo nel 1975, permettendo la ripresa di 6000 immagini.
Nato a Padova nel 1920 e scomparso per un tumore nel 1984, brillante matematico, in cattedra all’Università di Padova, già negli anni ‘60 Giuseppe Colombo aveva intuito, sulla base di ragionamenti di meccanica celeste, il vero periodo di rotazione di Mercurio: 58,65 giorni, cioè due terzi esatti del periodo di rivoluzione intorno al Sole. In pratica, ogni due orbite, Mercurio compie tre giri su sé stesso.
Colombo, Goldreich e Shapiro (due colleghi che lavorarono con lui allo studio del primo pianeta) hanno spiegato questa coincidenza come una risonanza tra moto di rotazione e orbita dovuta all’azione di marea esercitata dal Sole.
Ecco dunque perché la sonda in viaggio per Mercurio si chiama BepiColombo.
Quanto invece alle due missioni del «satellite al guinzaglio», hanno tenuto a battesimo i tre primi astronauti italiani: Franco Malerba nel 1992, e Umberto Guidoni e Maurizio Cheli nel 1996. Nella prima missione il cavo si inceppò dopo essersi srotolato soltanto per 260 metri, nella seconda si raggiunsero i 18 chilometri e tutta la fisica dell’esperimento prevista a tavolino fu confermata dai dati, nonostante la rottura del cavo.
Tornando a Mercurio… ci aspettano sicuramente tante sorprese negli anni a venire!