Giuseppe D’Agata, nell’introduzione al suo romanzo “Il segno del Comando” (Rusconi, 1987), torna con la memoria agli anni ’60 del secolo scorso, quando “un’ondata di interesse per le scienze occulte era salita in quegli anni in tutti i settori dell’industria culturale internazionale, dal cinema all’editoria”. Un’ondata di interesse ben indagata anche da Fabio Camilletti nel suo seminale “Italia lunare”, viaggio nostalgico alla ricerca delle varie diramazioni del gotico nella letteratura della seconda modernizzazione in Italia. In un capitolo in particolare, lo studioso si concentra su una nuova Italia, con le autostrade e le utilitarie a fare da sfondi apparentemente contradditori ad arcaicità e superstizioni millenarie non ancora scomparse. “La narrativa intercetta le nuove spazialità aperte dalle metamorfosi economiche e infrastrutturali attraverso oggetti narrativi ibridi, fra giornalismo, etnografia, letteratura, fotografia e cinema, in cui si racconta il mutamento della penisola con sguardo deliberatamente errante”. Camilletti prende in esame una serie nutrita di romanzi e saggi, di cui darò, brevemente, conto.
Si tratta di volumi d’epoca, su cui sono riuscito a mettere le mani. Oggi, nolenti o volenti, su e-bay si trova di tutto. Dai bazooka, ai mitragliatori per qualche strage nelle scuole, ai libri di occultismo…
In questo via vai di offerte spunta il Bozzano, nome che ai più, oggi, dirà poco, ma che allora pareva come un titano del pensiero alternativo. Siamo negli anni ’30 e ’40, quando ancora il Duce si affacciava dai balconi e non dalle palle di vetro di qualche fattucchiera di provincia. Il Bozzano (Ernesto) è stato uno dei primi esperti italici di materie occulte e oltretombali. Di suo mi garbava un volumetto d’una vecchia Bompiani (la collana è quella delle Avventure del pensiero, dove si potevano trovare titoli sull’energia interatomica o nuovi orizzonti della meteorologia) intitolato appunto “Letteratura d’oltretomba” (Bompiani, 1947), titolo geniale con introduzione di Gastone De Boni, il quale ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che il Bozzano, nella metapsichica, era uno dei più illustri rappresentanti mondiali. Dunque? Cos’è la Letteratura d’oltretomba? Il Bozzano ci spiega che esistono opere letterarie dettate psicograficamente dagli spiriti dei trapassati. Elaborazioni testuali onirico-subcoscienti di sonnambule e medium entrati in contatto con le luminescenze residue di grandi artisti deceduti. Il Bozzano spiega e illustra con sicurezza vari casi esempio, tutti folgoranti e di gran merito: la Enrichetta Beecher-Stowe autrice de “La capanna dello Zio Tom”, romanzo che contribuì efficacemente all’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, in realtà era una grande sensitiva (pure il marito di lei, informa premuroso il Bozzano) e il romanzo le è stato dettato da Dio in persona! Brani emersi da strati sconosciuti della coscienza, già scritti, come visioni cinematografiche dettate dall’Altissimo. Il Bozzano non tarda ad aggiungere il caso di un tale Francesco Scaramuzza, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Parma, “autore” si fa per dire di un “Poema Sacro” dettatogli in ottave nientemeno che dall’Ariosto. Lo Scaramuzza però è anche autore – per tramite – di alcune commedie postume di Goldoni, tutte opere giudicate e vagliate da esimi studiosi del noto commediografo. Il volume prosegue su questi toni, raccontando ancora il caso di T. P. James, operaio meccanico visitato dallo spiritello indomito di Charles Dickens, preoccupato per l’incompiuto “Edwin Drood”; e che dire della commedia postuma “Psychic Messages from Oscar Wilde”, scritta e ragguagliata dal noto invertito vittoriano per mezzo di una celebre medium inglese? Notevole anche il caso analizzato della medium Geraldine Cummins che, insieme all’amica Miss Gibbes, cominciò a dilettarsi in scritture automatiche, venendo subito visitata da qualche spirito appartenente al primo secolo di vita della Chiesa cristiana. Ecco allora ragguagli sull’infanzia misteriosa di Gesù, sul suo rapporto coi genitori. E come non finire con le sedute di Victor Hugo nell’isola di Jersey, dove Eschilo, Molière e Shakespeare sono di casa e divertono i partecipanti con componimenti inediti e strabilianti…
Lasciamo Bozzano e arriviamo di colpo agli anni ’60. Seminale il corposo “Il mattino dei maghi” di Louis Pauwels e Jacques Bergier (Mondadori, 1963), ibrido testuale alla base di tutti i Giornali del mistero e i Voyager futuri (nonché del fumetto Bonelli Martin Mystère). Pauwels e Bergier, figli dell’enciclopedismo deviante di Charles Fort, montano insieme un volume che oscilla tra occultismo e surrealismo, senza rinunciare a una vocazione ermetica e romanzesca. Pauwels e Bergier sono due personaggi piuttosto particolari, cultori della magia antica e delle scienze moderne ed è in questa coniugazione originale che trova spazio il loro lavoro. Il mattino dei maghi è un catalogo (apparentemente ondivago) di stranezze, impasto eterogeneo di mistery e ottimismo scientifico progressista, ma anche un viaggio autobiografico nel proprio passato. Il fantastico ricercato e indagato dai due è un fantastico che vuole nascere dalle viscere di una realtà osservata con occhi nuovi. Ecco allora capitoli e riflessioni sulla fisica moderna, sulla matematica, la biologia moderna, la radioattività e l’occultismo. Lunghe riflessioni sulla tecnica, i computer e l’alchimia di Fulcanelli. La seconda parte del libro si concentra sulle civiltà scomparse e sulla Germania hitleriana, vera ossessione narrativa degli autori, vista come un puzzle magico, comunità demoniaca dedita a dottrine e dogmi segreti. La società di Thule come un’Atlantide rifondata, vivaio di medium, sogno e realtà. Alla fine la lettura del Mattino appare fumosa e ridondante, appesantita forse da una certa vocazione messianica degli autori, vocazione che strariperà nella rivista fondata dai due, la famigerata Planète, vera enciclopedia dell’ideologia occulta degli anni ’60.
Altro libro seminale è quello di Buzzati, I misteri d’Italia (Mondadori, 1978): si tratta di un volume postumo scaturito dalla raccolta di una serie di articoli scritti dal Buzzati giornalista nella prima metà degli anni ’60. Il libro raccoglie materiali eterogenei (mescolati con alcuni racconti di fiction estrapolati da raccolte precedenti) che mettono in scena gli angoli strani del Veneto, alcune leggende locali italiane e presentano, per la prima volta, una serie di personaggi folklorici che avranno un certo seguito in quei decenni. Penso alla figura di Pasqualina Pezzolla, una donna che riesce a vedere all’interno del corpo umano e ad esplorarlo alla ricerca di malattie meglio di un medico della mutua; Buzzati introduce la figura dell’ammiraglio Paolo Aloisi, di Melinda la strega, o di Rosa Quattrini, donna del piacentino a cui appare regolarmente nientemeno che la Madonna. Tuttavia il pezzo forte del libro (gradevolissimo e scorrevole, del Buzzati migliore) è la parte dedicata a Fellini e Gustavo Rol, l’indefinibile fenomeno torinese: medium? Spiritista? Prestigiatore abilissimo? Impostore e massone amico della Torino bene? Rol rimane un mistero, diversissimo dai suoi contraltari folklorici, ultimi rimasugli di un primitivismo sul punto di essere assorbito dall’omologazione di massa. Rol è un borghese arricchito, civilissimo, abita in una via centralissima di Torino, ha gusti raffinati e non dimostra di cadere in trance. Ha poteri particolarissimi e i “giochi” di carte sono il suo pezzo forte. Fellini, Buzzati, Zeffirelli, Bevilacqua ne rimarranno estasiati e con loro moltissimi altri. La figura di Rol tornerà in parecchi libri di quegli anni, rimanendo comunque un mistero (recentemente, durante una visita torinese al Museo Lombrosiano, con un collega mi sono recato in via Silvio Pellico 31 e ho occhieggiato il favoloso quarto piano della casa napoleonica di Rol, luogo a metà tra questa dimensione e un’altra, perlomeno letteraria – le persiane scrostate erano abbassate e solo una targa nella bella facciata sabauda del palazzo indicava la presenza, nel ‘900, del famoso uomo dell’aldilà).
Sulla scia degli articoli buzzatiani ho rintracciato facilmente il fortunato libro di Leo Talamonti “Universo proibito” (Sugar, 1966), altro viaggio alle frontiere della mente e del conosciuto: ad accompagnarci la signora Pasqualina Pezzola, il sensitivo olandese Croiset (a cui la RAI dedicherà una bella fiction tra il maggio e il giugno del 1973), la sensitiva romana Sandra Bajetto, riti propiziatori e ancora la figura ombrosa di Rol, cattolicissimo e massone al medesimo tempo. Di Talamonti ho apprezzato maggiormente un curioso volume Rizzoli del 1975 (con sempre azzeccata copertina di John Alcorn) intitolato Parapsicologia della vita quotidiana, raccolta di lettere inviate all’autore da persone comuni interessate alle problematiche del mistero, della telecinesi, dello spiritismo e parapsicologia. Un mondo piccolo e moderno di notai, industriali, casalinghe (di Voghera), di pastori abruzzesi, disoccupati e disperati che emerge dai margini culturali nei quali sono stati sempre relegati dalla cultura ufficiale; essi si confessano per lettera, abbandonandosi, in certi casi, a veri e propri memoriali del fantastico quotidiano, esperienze marginali e comuni con un mistero fatto di piccole vicende, cose poco importanti. Si va dai presunti poteri dell’inconscio, ai sogni premonitori, fino all’elaborazione dell’idea del fantasma come un miraggio retrospettivo, un ricordo legato agli ambienti, un calco mentale che sopravvive per un certo periodo. Intuizione questa ripresa successivamente da altri saggisti e scrittori. A parlare della nostra testa come la migliore casa spettrale in circolazione lo scrittore Michele Mari, nell’inutile mattone saggistico I demoni e la pasta sfoglia (2017): salverei solo una pagina, quella in cui butta lì in conclusione che “bisogna abitarla, la fastosa casa letteraria, bisogna auscultarla, muoversi al suo interno non come turisti occasionali o come “tecnici” ma come legittimi inquilini.” Spettrali s’intende.
Francesco Dimitri, nella sua Guida alle case più stregate del mondo (2014), dopo averci deliziato con la Winchester Mystery House – incarnazione di calce e legno dell’inconscio turbato della proprietaria – sintetizza in poche righe il concetto proponendo “la possibilità di considerare i fantasmi come dei “frammenti d’immaginario” che si staccano e precipitano sulla realtà”. Un immaginario liquido fatto di scienza e narrazione dell’orrore. Antica magia e scienza moderna, impasto eterogeneo di ottimismo scientifico e nostalgie occultistiche. Storie di spettri e mattini dei maghi.
Sull’argomento anche Massimo Scotti autore del bel Storia degli spettri (2013): anche lui accenna al nostro cervello come vera casa di fantasmi. E se le infestazioni dipendessero dalla macerazione dei ricordi, dal profumo leggero di un’oscura memoria che ondeggia nei luoghi? Qualcosa del genere è teorizzato nell’incipit folgorante di Profondo Rosso di Dario Argento (1975), summa della parapsicologia nel thriller all’italiana. Ecco allora che la nostra testa può diventare una somma di fantasmi, medium, case spettrali alimentate dalle letture, dalla fantasia, da una buona dose di sciocchezze, un viaggio poco esplorato, una testimonianza, un documentario delle nostre letture o materia per un ennesimo – inutile – romanzo.
Identico nei temi, ma diverso nell’approccio, il volume dell’antiquario Giorgio Batini “Italia a mezzanotte” (Vallecchi Editore, 1968), viaggio ironico tra castelli, leggende e fantasmi della penisola. In Batini tornano temi e figure presenti anche in Talamonti e Buzzati, ma l’autore spinge sull’ironia, rileggendo l’anonima lenzuoli con uno spirito dissacrante degno di un film di Dino Risi.
Chi invece dimostra di crederci eccome è Pier Carpi, singolare figura di romanziere e saggista degli anni ’60 e ’70, mente (insieme ad Alfredo Castelli) del mensile a fumetti “Horror” edito da Gino Sansoni. Carpi edita più volte un suo volume “Storia della magia”, una prima volta con Mondadori nel 1965, poi nel ’70 per Sansoni, nel 1969 per Campironi e ancora nel 1978 per Umberto Nicoli Editore. Io mi rifaccio all’edizione del ’78 che, mi pare differisca soltanto nel titolo, formato, brossura e illustrazioni fotografiche che corredano il testo. La copertina, splendida, riprende quella del n. 61 della collana Oltretomba Colore, uscito nel gennaio di quel medesimo anno. Storia della magia è un excursus documentato dalla Caldea alle sfingi, dai misteri greci fino al cristianesimo, la gnosi, i templari e la massoneria dei RosaCroce. Il volume è impreziosito da una introduzione di un altro esperto dell’occulto letterario come Emilio De Rossignoli. Comunque Carpi torna sull’argomento con “I mercanti dell’Occulto” (Armenia, 1973), saggio narrativo sul mondo misteriosofico, ennesimo viaggio in un’Italia segreta fatta di maghi, impostori, fattucchiere, prestigiatori da strapazzo, astrologhi mussoliniani e parapsicologi della porta accanto. A differenza di Batini, Carpi è più serio, si approccia alla materia con l’intenzione di separare gli imbroglioni dai veri sapienti, tanto che la sua indagine (un po’ vaga, senza nomi e cognomi, senza pezze d’appoggio, tanto che il sospetto che si tratti di un’inchiesta fortemente romanzata rimane) non si arresta di fronte a nulla. Carpi esamina la penisola in lungo e in largo, un po’ come hanno fatto Buzzati e Batini, interessandosi però anche ai clienti, a coloro che, nella prima metà degli anni ’70, sembrano aver bisogno di rivolgersi a questi guaritori dell’occulto. Parroci, industriali, gente comune, un mosaico elaborato di italiani sembra sentire il bisogno di sbirciare dentro la sfera di cristallo per trovare risposte ai problemi di sempre: soldi, amore, sfortuna. Le cose non cambieranno nemmeno negli anni ’80 e ’90 e Carpi sembra intuirlo quando, nella parte per me più interessante, si volge verso il fenomeno della magia nera e del satanismo acido (in quegli anni attizza parecchi anche da noi: Laura Toscano ne scrive ripetutamente sui KKK i classici dell’orrore, per non parlare poi delle pellicole thriller e horror prodotte nel nostro paese con soggetti fortemente ricalcati su tematiche fuoriuscite dal sacco informe delle gesta di Charles Manson…); Carpi parla dei cimiteri di campagna profanati, pietre tombali spostate, cimeli sottratti (e quante cose di questo tipo ho sentito o letto sul giornale anche nel micromondo di Vercelli, alcuni fatti anche recentissimi dalle parti del santuario di Oropa, o nel cimiteri sconsacrato di Larizzate, piccolo borgo semi-scomparso a due passi dal casello autostradale e dai mega magazzini di Amazon). Chiese di campagna profanate, reliquie asportate, e ancora le facce da robot delle giovani hippy torinesi intervistate da un Carpi a un passo dal cinema marxista di Corrado Farina. Messe nere, orge caserecce, qualunquismo e banalità, con le apparizioni mariane in qualche angolino sperduto e ancora eserciti di fanatici religiosi che vedono gli UFO dietro la figura di S. Francesco o le gesta del santo pop Padre Pio (figura grottesca demolita dal bellissimo studio dello storico Luzzatto e a cui, invece, pare prestare parecchio credito il Carpi). E con questi profeti dello spazio profondo si chiude il denso e ondivago saggio del Carpi.
Curioso, a questo punto, l’istant book di Georges J. Demaix, tal esoterista francese autore de “Gli schiavi del diavolo” (Dellavalle, 1971), scritto a caldo dopo gli omicidi compiuti dalla setta di Charles Manson. Il libro è un curioso e suggestivo viaggio tra gli stregoni e i falsi profeti della Valle della Morte americana, controcanto a un’era dell’acquario lisergica e sanguinolenta. Demaix presenta un Diavolo nuovo e moderno, quasi antitetico a quello maggiormente folklorico e oscurantista esorcizzato dai frati gaudenti messi in scena dall’indagine del Collettivo studentesco di Arezzo e coadiuvati da Alfonso M. Di Nola in Inchiesta sul diavolo (Laterza, 1979). Charlie Manson si candida da subito a divenire una nuova icona moderna, così come quella delle sue vittime, a partire dalla celebre attrice statunitense Sharon Tate. Demaix è bravo a mescolare le carte e a creare un guazzabuglio di fatti, episodi e frasi suggestive, in un viaggio documentato nelle pieghe più oscure di un 1969 che ha visto salire da pochissimo l’uomo sulla luna e lo vedrà precipitare (i fatti di Manson sono agostani) nel buco nero di Piazza Fontana. Demaix descrive il mondo della tossicomania californiana, l’influenza dell’LSD, le nuove porte della percezione, il mondo degli hippy e l’avvento di un nuovo paganesimo alimentato da una libido sessuale ormai senza confini (e in Italia i fumetti neri ne sono un esempio perfetto, volumetti che in pochissime pagine condensano un politicamente scorretto per oggi inammissibile, caleidoscopio di sesso, violenze, blasfemie e una parata di personaggi in perenne bilico tra le mummie della prima Repubblica e vampire puttanesche in pose oscene a cavallo di bare divelte piene di liquami). Demaix scivola su tutto e affresca le sue pagine in un turbine di fatti, supposizioni e pettegolezzi, creando un saggio narrativo romanzesco tra i più affascinanti dedicati al caso Tate (ossessione che sta all’America come il caso Moro all’Italia; ossessione continuamente ritornante, come dimostra l’ultimo Tarantino o la serie Netflix Aquarius), esercizio senza posa di occultismo, magia e sociologia spiccia. Demaix, nella parte centrale del libro, abbandona in realtà l’invadenza dell’attualità e gli affari della magia californiana degli anni ‘60 e si perde in una cavalcata nella storia della stregoneria, un po’ alla maniera di Pier Carpi, arrivando a rispolverare le figure della Marchesa di Brinvilliers e le messe nere che si svolgevano in via Beauregard, o le streghe martiri di Salem, ultimi bagliori di un mondo a un passo dai bagliori della ragione e dell’uguaglianza di massa. Astrologia e alchimia sono i veri interessi del saggio di Demaix, infastidito dal profeta demente Manson, simbolo di un’epoca in cui i nuovi taumaturghi s’aggirano nei pressi del Fondo Monetario.
Molto bello anche, nella forma editoriale, un tardo volume uscito nel 1982 quando la moda della parapsicologia era già quasi svanita. Parlo di “Arte medianica” di Paola Giovetti (Mediterranee, 1982), ricognizione (a metà tra il saggio surreale di arte e il paranormale) dei pittori medianici, ossia dei medium e affini che dipingono in modo automatico, a grandissima velocità, spesso in condizioni fisiche impossibili (il caso di Rol che nemmeno toccherebbe tela e pennelli e lascerebbe fare agli spiriti dei pittori morti!!!…). Ecco allora che la medianità della creazione artistica dei vari Lesage, Rol, Canavero, Bressanello assume le forme di quadri sacrali, ultraterreni, extraterrestri, o comunemente paesaggistici. Motivi favolosi, esotici e sacrali a un passo da un mondo di consumi e stagnazione economica. L’ombra di Craxi e Berlusconi si stagliava già all’orizzonte. Moro era sepolto e con lui tutta l’Italia dei misteri o i misteri d’Italia. I movimenti sociali del ’68 (il rinnovamento nei costumi e nella vita pubblica italiana) scivolarono nelle lande di Castel Porziano, in un impantanamento culturale e morale, un declino di qualunque ideologia a favore di spazi privi di identità, non luoghi post-industriali, discount e via via la smaterializzazione definitiva, il gran salto nel dominio incontrastato e pieno del virtuale, e qui siamo nel qui e adesso. Nell’oggi, perciò caro lettore basta che ti alzi e guardi fuori dalla finestra, o controlli l’ora per vedere quanto ti manca dal tornare in ufficio o in qualche lager del lavoro dell’e-commerce…
Conclusione? Altri libri, altre epoche, altra editoria.
Piano piano il fascino per l’occulteria si dissolve, così come quelle collane, quei fumetti, quei saggi.
Che abbia ragione ancora Camilletti quando dice che il fantasma di quella cultura, della nostra storia italiana degli anni ’60 e ’70 (decenni densissimi economicamente e politicamente), sia riemerso sotto forma di una violenza da spurgare, da buttar fuori, violenza che contamina e caratterizza l’epopea dello splatter, fenomeno culturale emerso da noi soprattutto nei fumetti (e marginalmente in certa prosa “cannibale”) editati dalla ACME nei primi anni ’90; un fantasma culturale che non ha più l’eleganza di Ornella Volta o di Buzzati ma che assume le forme delle motoseghe dei vari mostri celebrati nei riti collettivi dei vari Dylan Dog Horror Fest; maschere e guanti di lattice. “E’ possibile che quella violenza eccessiva, sanguinolenta, ironica, fosse la nostra maniera di esorcizzare la scia di sangue che i nati di fine anni ’70 non potevano, obliquamente, non ricordare – dai telegiornali, dalle conversazioni in casa, da nomi allora incomprensibili come Fioravanti, Curcio, Gelli, Moro?”
Oggi di quell’occulto rimangono quei libri, facilmente reperibili (a prezzi abbordabili) nel grande contenitore immateriale di e-bay. Ultimi rimasugli di quel mondo, di quei testi ibridi, guide di viaggio verso l’insolito, di cui oggi segnalo il campanilistico volumetto “Vercelli Misteriosa” (Effedì, 2017) di Gian Luca Marino, agile opuscolo localistico (a cui è seguito subito un altro volume nel 2018) di una città nebbiosa, dei suoi fantasmi e della loro sopravvivenza attraverso la rete di internet (da cui l’autore pesca a piene mani, essendo lui stesso uno dei tanti scrittori da blog).
E sarebbe curioso indagare la similitudine tra lo spettrale in sé e la nostra contemporaneità, dove tutto, anche i rapporti umani e le transizioni commerciali si consumano in un non luogo, in un aldilà di dati e algoritmi invisibili, nuovo canale smaterializzato in cui la comunicazione medianica può nuovamente trovare il suo corso.