DOPPIO VIAGGIO NELLA MATRICE (2003)
Il 2003 si presenta con moltissimi film interessanti, fra i quali citiamo per cominciare Terminator 3: Le macchine ribelli (Terminator 3: Rise of the Machines) di Jonathan Mostow: si tratta della terza puntata della saga di Terminator, la prima senza Cameron, che, dopo molti tentennamenti, decise di abbandonarla. Sarah Connor è morta e suo figlio John (Nick Stahl) conduce una vita randagia temendo un nuovo attacco dal futuro. Il che puntualmente avviene con l’arrivo della Terminatrix (Kristanna Loken), ma a difesa di John giunge anche il nuovo modello Terminator-850 (Arnold Schwarzenegger): ancora una volta Los Angeles sarà un campo di battaglia. La mancanza di uno spirito creativo e sanguigno come Cameron si sente e Terminator 3 si risolve in una sfilata di scene spettacolari e di ottimi effetti speciali, senza particolare pathos. Il regista Jonathan Mostow è uno specialista di videoclip musicali e nel cast compare anche una giovane Clare Danes, oggi famosa per la serie TV Homeland.
CODICE 46 (Code 46) di Michael Winterbottom ci porta nel futuro, dove vige un rigido sistema per cui chi è privo di una speciale tessera vive “fuori”, senza accesso alle grandi città, in condizioni precarie. Maria González (Samantha Norton) lavora alla Sphinx, la società che produce le tessere, e le falsifica per venderle di nascosto. William Geld (Tim Robbins) è un investigatore dotato del “virus dell’empatia” che gli permette di intuire i pensieri altrui, e così scopre le attività di Maria, ma, innamoratosi di lei non la denuncia. Maria però è un clone della madre di William e la loro relazione viola il Codice 46, che proibisce rapporti fra persone geneticamente affini… Insolito caso di film di fantascienza intimista, Codice 46 è tutto giocato su ritmi volutamente lenti e atmosfere rarefatte, che affascineranno alcuni spettatori e irriteranno altri. Ma il regista Winterbottom e il suo sceneggiatore Frank Cottrell Boyle costruiscono un mondo distopico articolato e convincente, e lo integrano con sagacia con l’aspetto sentimentale, sostenuti da due ottimi interpreti.
NATURAL CITY (Natural City) di Min Beyong-cheon è ambientato nel 2080: i cyborg sono parte integrante della società, anche delle forze dell’ordine, ma il loro processo vitale è limitato a tre anni, a meno che non si ricorra alla pratica illegale di impiantare la loro memoria in un corpo umano. R (Yoo Ji-tae) e il suo superiore Noma (Yoon Chan) sono due poliziotti membri di una squadra che dà la caccia a cyborg ribelli che rifiutano la loro fine e cercano corpi con cui continuare la loro esistenza. R è innamorato della sua cyborg Ria (Seo Lin), e trova nella vagabonda Cyon (Lee Jae-eun) il corpo adatto per continuare la vita di Ria, ma lo stesso pensa Cypher (Jung Doo-hong) il capo dei cyborg ribelli… Il film è una mega produzione coreana dalla trama fin troppo scopiazzata da Blade Runner e da varie anime giapponesi come Ghost in che Shell e Alita. Se l’originalità latita, ci si può rifare con una buona mistura di ottimi effetti digitali, di spettacolari combattimenti e di sentimentalismi a profusione. E di un’ambientazione asiatica che, a occhi occidentali, può apparire esotica e suggestiva.
E arriviamo alla doppietta MATRIX RELOADED (Matrix Reloaded) e MATRIX REVOLUTIONS (Matrix Revolutions) dei Wachowski Brothers: dopo l’epocale successo di Matrix, i due fratelli registi imbastirono un sequel così mastodontico che fu necessario dividerlo in due parti, che furono distribuite a pochi mesi di distanza l’una dall’altra. In pratica, si tratta però di un unico film, che racconta un’unica trama senza soluzione di continuità, che inizia sei mesi dopo le vicende del primo film. È impossibile riassumere in poche righe una vicenda così caleidoscopica. Restiamo comunque ammirati dalla perizia narrativa e tecnica dei Wachowski, capaci di amalgamare colpi di scena avvincenti, sfondi fantastici e tecnologici, allusioni mitologiche, religiose, filosofiche, e sorprendente spettacolarità. Lodi incondizionate anche ai responsabili degli effetti speciali, anche stavolta capaci di procedimenti innovativi e prodigiosi come la moltiplicazione dell’agente Smith (Hugo Weaving) nella lotta sul tetto contro Neo (Keanu Reeves) in Reloaded, o l’appassionante battaglia nella darsena in Revolutions. Durante le riprese dei due film, i fratelli Larry e Andy Wachowski cambiarono sesso, assumendo rispettivamente i nomi di Lana e Lily.
Infine parliamo di PAYCHECK (Paycheck) di John Woo: Michael Jennings (Ben Affleck) è un ingegnere informatico che lavora per la società ALLCOM, diretta dal suo amico Rethrick (Aaron Eckhart). Clausola del suo contratto con la società è che alla fine di ogni lavoro la sua memoria relativa a quel periodo viene cancellata. L’ultimo lavoro dura tre anni, ma dopo la cancellazione dei ricordi, Jennings chiede che il suo compenso consista in una serie di oggetti all’apparenza inutili. A questo punto Jennings si trova oggetto di una serie di agguati dai quali esce proprio usando gli oggetti nella busta. Jennings scopre di essere al centro di un complotto che minaccia il futuro stesso dell’umanità, ma riceverà l’aiuto della fidanzata Rachel (Uma Thurman) e del suo amico Shorty (Paul Giamatti). Tratto da un racconto giovanile di Philip K. Dick, il film è diretto da John Woo, geniale talento del cinema d’azione dì Hong Kong, genere da lui rivoluzionato negli anni ’80 e ’90, prima di trasferirsi a Hollywood. La prima parte di Paycheck è senz’altro la migliore, grazie alle brillanti trovate ricavate dal racconto originale (anche se ne cancella l’aspetto politico e distopico). La seconda parte del film invece si riduce a un banale e improbabile action-movie, girato con grande professionalità, ma senza l’inventivo estro coreografico e spettacolare tipico del regista cinese.