Chi sono “gli spiriti viventi” di cui parla Murakami Haruki nel suo romanzo KAFKA SULLA SPIAGGIA? Proprio un personaggio del libro, l’androgino Oshima, custode di una biblioteca molto speciale, ci spiega: “che in Giappone, almeno nella Letteratura, questi spiriti viventi vengono spesso citati come una solida realtà. Si tratta infatti di persone che possono trasformarsi in spiriti anche da vivi, viaggiare nel tempo e nello spazio e realizzare i loro pensieri, nonchè i desideri repressi”. Tuttavia questi uomini e queste donne, pur essendo ancora vivi, – e ciò è comprensibile anche per il nostro più realistico Occidente – rappresentano coloro che hanno avuto in sorte “una vita spezzata”… sono stati cioè vittime di un trauma di tale portata, da essere come “morti a metà”, anche se costretti a seguitare il loro percorso di vita.
Per qualche imperscrutabile motivo riescono però, sotto forma appunto di “spiriti viventi”, a tornare indietro nel tempo e a tornare in una realtà – con un corpo astrale che ha l’aspetto e l’età di allora – che si è verificata prima di quell’evento distruttore, in perenne ricerca di un perduto equilibrio, se non di una vendetta.
Così accadrà ad esempio per l’affascinante Signora Saeki , ormai matura direttrice in un biblioteca quanto mai alternativa, a cui in gioventù, dopo lunghe e spietate torture, era stato innocentemente ucciso l’uomo che, riamata, ardentemente amava. Quasi ogni notte infatti Saeki , da spirito vivente ancora giovane e bellissima, torna al momento più splendente e pieno della sua vita, quando nulla era ancora perduto. Quel momento si concretizza nella stanza che aveva condiviso con l’uomo amato, dove torna a contemplare un quadro – “Kafka sulla spiaggia” appunto – che fissava per sempre nella tela una giornata perfetta vissuta da entrambi tra il sole e l’odore del mare.
E tutti i personaggi di questo quanto mai bizzarro romanzo sono, in un certo senso “degli spiriti viventi e solitari” che si muovono su piani surreali e simbolici e vagano spesso lungo la riva dell’assurdo. Kafka – il quindicenne che si è scelto questo pseudonimo – in fuga da un padre, scultore geniale e sadico e dalla sua profezia che riecheggia ed amplifica quella di Edipo. Il vecchio Nataka – che ha conservato lo stupore e l’innocenza di un bimbo – che possiede la facoltà di parlare e capire il linguaggio dei gatti, costretto a fuggire dalla scena di un delitto sconvolgente e destinato a portare a termine, anche a costo della vita, un missione tanto importante, quanto quasi impossibile. Kafka e Nataka, come racchiusi in un cerchio magico, saranno destinati un giorno a incrociare le loro vite.
Insieme a loro, alternativamente, a muoversi altri personaggi minori: il giovane camionista Hoshino d’irresistibile simpatia; la prostituta che conosce a perfezione Hegel; i gatti che spesso rubano la scena agi umani, ecc… e che paiono usciti “dal paese delle meraviglie” di un Alice ancora più strampalata e stralunata.
In questo straordinario romanzo c’è persino “un aldilà”, identico a un “aldiquà” ma sfocato, quasi “in bianco e nero”… C’è una foresta misteriosa e minacciosa dove soldati scomparsi durante una guerra ormai terminata da tempo, sono divenuti custodi di un confine invalicabile. C’è persino una semplice pietra – “la pietra d’entrata” – che diviene viva e pulsante al fine di dare un inizio e una fine all’intera storia.
Un romanzo dunque che non si può spiegare e di cui è impossibile fornire “una trama logica”, ma che vale comunque la pena di leggere.