IL FUTURO E’ MARTE

Dalla missione “Curiosity” della Nasa su Marte sono arrivati nuovi incredibili dati dai quali si evince che mai come adesso il pianeta rosso sembra avere tutti i requisiti per avere ospitato la vita e forse per accoglierla ancora.

Su Marte infatti ci sono molecole organiche e il metano nell’atmosfera varia ciclicamente: certo, non sono ancora la prova della vita, ma indicano comunque una forte probabilità che tre miliardi e mezzo di anni fa su Marte ci fossero i requisiti per ospitarla.

Le molecole organiche sono state scoperte da “Curiosity” nel cratere Gale, che il rover-laboratorio sta esplorando dal 6 agosto 2012: “si sono conservate nell’argillite di origine lacustre alla base della formazione Murray, antica 3,5 miliardi di anni”, scrive sulla rivista Science il gruppo coordinato da Jennifer Eigenbrode, del Centro Goddard della Nasa.

L’incredibile laboratorio miniaturizzato del rover “Curiosity”, il Sam (Sample Analysis at Mars), ha escluso ogni dubbio su un’eventuale contaminazione, ma non è riuscito a chiarire l’origine: potrebbe essere la testimonianza di una vita passata, o cibo di forme di vita esistenti, o qualcosa di indipendente dalla vita. Quello che è certo è che se la materia organica è stata trovata vicino alla superficie di un ambiente ostile come quello marziano, aumentano moltissimo le probabilità di trovarla nel sottosuolo: una speranza enorme per la missione “ExoMars 2020” dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Russia, che perforerà il suolo marziano fino a due metri di profondità. Nello stesso numero di Science il gruppo del Jet Propulsione Laboratory (Jpl) della Nasa coordinato da Christopher Webster descrive le prime oscillazioni nel livello del metano.

Il metano nell’atmosfera marziana era stato scoperto nel 2004 dalla missione “Mars Express” dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e fin da allora ci si era chiesti da dove provenisse questo gas, considerato una delle fondamentali spie della vita. Si pensava che la scoperta di eventuali variazioni stagionali avrebbe potuto essere proprio la spia di una sorgente ancora attiva sul pianeta rosso. La risposta è arrivata adesso, ancora da “Curiosity”: le variazioni stagionali nel livello del metano sono state viste e, scrivono i ricercatori, “sono consistenti con piccole sorgenti di metano localizzate sulla superficie o nel sottosuolo”.

Per saperne di più bisognerà indagare: l’origine non è ancora nota e la presenza di forme di vita è solo una delle ipotesi, anche se sempre più fondata.

L’apparecchio di ricerca russo FREND, montato sull’orbiter ExoMars, ha dimostrato anche la presenza di acqua ghiacciata nelle regioni equatoriali di Marte. Lo ha dichiarato il direttore del dipartimento di planetologia nucleare dell’Istituto per la ricerca spaziale Igor Mitrofanov.

“La regolite marziana può contenere acqua sotto forma di ghiaccio non solo alle latitudini superiori ai 60 gradi, ma… in alcune regioni può avvicinarsi all’equatore”, ha detto Mitrofanov alla conferenza scientifica dedicata al 61esimo anniversario del lancio del primo satellite artificiale tenutasi a Mosca.

Egli ha aggiunto che in due regioni il ghiaccio è presente sotto i 30 gradi di latitudine nell’emisfero settentrionale di Marte. Mitrofanov ha affermato anche che i dati relativi allo spessore del ghiaccio saranno disponibili il prossimo anno, dal momento che in questo momento gli scienziati hanno circa il 10% dei dati raccolti dall’apparecchio russo.

Altri risultati della missione ci confermano altresì che nell’acqua salata che si trova nel sottosuolo di Marte c’è ossigeno sufficiente per ospitare la vita. Lo scrive stavolta il California Institute of Technology (Caltech) in una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Geoscience. I calcoli fatti dal gruppo di Vlada Stamenkovic indicano che l’ossigeno potrebbe sostenere la vita di microrganismi e animali più complessi, come spugne.

Finora, forme di vita in grado di respirare ossigeno su Marte si ritenevano impossibili, perché l’atmosfera del Pianeta Rosso è poverissima di questo gas. Adesso, invece, lo scenario cambia completamente: significa che aumenta la probabilità che ci siano le condizioni per ospitare microrganismi il cui metabolismo è basato sull’ossigeno, perché trovano il gas disciolto nell’acqua salata.

I ricercatori lo hanno dimostrato calcolando la quantità di ossigeno che può essere disciolto nell’acqua salata sotto le varie condizioni di pressione e temperatura nel sottosuolo di Marte, compreso il lago scoperto a una profondità di 1,5 chilometri. “I nostri calcoli indicano – scrivono gli studiosi nell’articolo – che in un serbatoio d’acqua salata di questo tipo ci potrebbero essere elevate concentrazioni di ossigeno disciolto”. Secondo lo studio, inoltre, le concentrazioni di ossigeno sono particolarmente elevate nel sottosuolo delle regioni polari.

“Non sappiamo – concludono gli autori – se Marte abbia mai ospitato la vita”, ma “i nostri risultati” estendono la possibilità di cercarla, indicando che le forme di vita basate sull’ossigeno sul Pianeta Rosso potrebbero essere possibili, a differenza di quanto immaginato finora. Questo estende anche l’opportunità per la caccia alla vita su altri pianeti e lune che ospitino sacche di acqua salata o oceani sotterranei, come ad esempio Encelado, la luna di Saturno.

Secondo gli scienziati, Marte non è sempre stato un pianeta polveroso ed arido. Un nuovo studio condotto da alcuni geologi dell’Agenzia Spaziale Europea ha dimostrato che tempo fa il pianeta rosso era traboccante d’acqua, che poi si sarebbe ritirata sotto la sua superficie.

Una nuova ricerca dettagliata parla infatti di un “sistema idrico sotterraneo su tutto il pianeta”, che spiega la storia acquosa passata di Marte e fornisce anche delle nuove preziose indicazioni per le future missioni che dovranno per varie ragioni andare alla ricerca di segni di vita.

Le rivelazioni sono state rese possibili grazie al Mars Express Orbiter dell’ESA, la navicella spaziale lanciata nel 2003 composta da una serie di telecamere ad alta risoluzione che scattano costantemente immagini della superficie marziana. I ricercatori dell’Università di Utrecht, guidati dal nostro connazionale Francesco Selese, hanno esaminato attentamente le immagini e studiato ventiquattro crateri profondi nell’emisfero nord di Marte, alla ricerca di segni che potessero generare qualche indicazione sulla presenza passata di acqua.

Le scoperte sono state pubblicate sul Journal Of Jeophysical Research, e mostrano che quasi tutti i crateri una volta contenevano acqua corrente. Ciò ha portato i ricercatori a credere che Marte potrebbe avere una riserva d’acqua bloccata tra i 4.000 e 5.000 metri sotto il livello della superficie. “Il primo Marte era un mondo acquoso, ma quando il clima del pianeta è cambiato, questa acqua si è ritirata sotto la superficie”, si legge nel comunicato.

I crateri mostrano una grande varietà di caratteristiche: canali scavati dall’acqua, testimonianze di valli scavate dall’erosione e la presenza di coste create dall’acqua stagnante. Ci sono anche prove di sedimenti che lasciano cadere l’acqua lentamente, in 15 dei 24 crateri analizzati, mentre i ricercatori non hanno trovato prove che l’acqua fosse penetrata dall’esterno dei crateri.

Nello studio si legge anche che tutti i crateri potrebbero essere collegati allo stesso sistema idrico sotterraneo, anche se non ci sono prove certe a riguardo. Uno scienziato del progetto Mars Express sostiene che “risultati come questo sono estremamente importanti, in quanto ci aiutano ad identificare le regioni di Marte che sono le più promettenti per trovare segni di vita passati”.

In ogni caso, sebbene sempre più indizi suggeriscano che Marte in passato fosse in realtà azzurro, addirittura forse più ricco di acqua della Terra di oggi, in merito all’argomento c’è un vero e proprio mistero: infatti, la domanda che tutti si pongono a questo punto è dove il liquido della vita sia finito oggi. Di quel fluire copioso rimangono infatti solamente letti di fiumi disseccati, resti di fonti prosciugate e foci a delta ormai imbrunite. Due studi recenti dimostrano l’uno la presenza di sorgenti che sgorgavano dal sottosuolo e l’altro l’esistenza di fiumi con una portata addirittura doppia rispetto alla nostra. L’Italia l’anno scorso ha fornito l’unica prova diretta di acqua liquida – presente ancora oggi – sul nostro vicino di casa: un lago che si estende al di sotto della calotta di ghiaccio al polo sud marziano. L’osservazione di Inaf, Asi, Roma Tre e Cnr era avvenuta grazie al radar Marsis in orbita attorno al pianeta rosso.

Sempre usando gli stessi dati, i geologi della University of Southern California scrivono invece che falde acquifere sotterranee sarebbero presenti un po’ ovunque sul pianeta, non solo al Polo Sud. In alcuni crateri osservati da Marsis infatti si osservano strutture geologiche molto simili. “La nostra ipotesi è che dalle falde a oltre 750 metri di profondità l’acqua risalisse attraverso le fratture delle rocce e sgorgasse in superficie”, ha spiegato il coordinatore della ricerca Essam Heggy.

Marte, diversamente da quanto si possa pensare, non è dunque un pianeta arido e secco. Il sottosuolo e i poli del Pianeta Rosso sono ricchissimi d’acqua. Un’altra conferma giunge anche dai dati ottenuti dall’Agenzia spaziale statunitense (Nasa) che, grazie al radar italiano Sharad, ha realizzato una mappa che mostra l’esatta posizione dei bacini idrici fondamentali per le future missioni spaziali. In base ai dati raccolti su Marte vi sarebbero complessivamente 400mila chilometri cubici di ghiaccio, distribuiti anche a latitudini che gli scienziati definiscono “molto interessanti”.

Nel 90 per cento dei casi il ghiaccio individuato potrebbe esser composto da acqua pura, celata sotto superficiali strati di detriti. Anche le profondità del Pianeta Rosso sarebbero ricche di ghiaccio. Il radar ne ha individuato notevoli quantità entro i primi 40 metri sotto la superficie.

In attesa di vedere un equipaggio umano partire verso il Pianeta Rosso le agenzie spaziali continuano pertanto a raccogliere informazioni. Una delle novità più rilevanti risale a qualche mese fa, e riguarda le fotografie del cratere di Korolev, situato vicino al polo nord del Pianeta Rosso, e al cui interno si trova un gigantesco lago d’acqua ghiacciata. Secondo gli scienziati, il bacino – strategico per le future missioni su Marte – misura 83 chilometri di diametro e ha un accumulo di 1,8 chilometri di profondità, per un totale di 2.200 chilometri cubi di acqua ghiacciata. Le due immagini, ottenute con la sovrapposizione di una moltitudine di scatti composti e ad altissima risoluzione, sono state elaborate per ottenere due differenti prospettive del lago.

“L’acqua ghiacciata – spiega l’Agenzia spaziale attraverso un comunicato stampa – è il risultato di un interessante fenomeno noto come trappola fredda. Il fondo del cratere è profondo circa 2 chilometri sotto al bordo del cratere. Le parti più profonde gelano l’aria soprastante, e intrappolano l’aria che si raffredda e affonda verso il centro del cratere, creando uno strato di aria gelida che si trova costantemente sopra il ghiaccio stesso. Questo strato di aria ghiacciata si comporta come uno scudo che consente al ghiaccio di rimanere stabile, che non si riscalda e non si fonde mai”. Gli incredibili scatti, ottenuti grazie alla sonda Mars Express, che ha iniziato la sua missione il 2 giugno del 2003, e ha raggiunto il Pianeta Rosso sei mesi dopo, con l’ingresso nella sua orbita il 25 dicembre, sono il risultato dell’impegno europeo nella corsa allo spazio.

E, mentre Usa, Europa e Russia stanno preparando le prossime missioni verso il Pianeta Rosso, compresa la prima con un equipaggio umano, anche la Cina vuole rivendicare un ruolo in primo piano nel segmento dell’esplorazione aerospaziale, e lo fa annunciando i suoi piani di esplorazione di Marte e del sistema solare, da mettere in pratica in un lasso temporale di 30 anni a cominciare dal 2020 fino al 2050, dopo l’annuncio della missione lunare a partire proprio dal 2020.

Come dichiarato da Zhang Rongqiao, il capo progettista della prima missione cinese con obiettivo Marte, la prima sonda sarà composta da orbiter, lander e rover, un progetto completo quindi, che a conti fatti trasporterà un totale di 13 strumentazioni scientifiche.

Le operazioni che il trittico di mezzi svolgerà, saranno molto simili a quelle che sta attualmente portando avanti la NASA con mezzi equiparabili: si parla di raccolta dei dati atmosferici di Marte, informazioni sul campo elettromagnetico del pianeta, temperature, caratteristiche della superficie ed altri dati rilevanti a livello scientifico.

Zhang Rongqiao è poi sceso in alcuni dettagli durante il recente forum internazionale sull’esplorazione lunare e dello spazio profondo, avvenuto qualche tempo fa a Pechino. Riguardo al rover ad esempio, si parla di un mezzo del peso di 200 kg in grado di muoversi, che, oltre ad occuparsi dei rilevamenti superficiali, risulterà uno strumento chiave per la raccolta dei campioni di terreno marziano, previsti per un recupero grazie a una missione da portare a termine entro il 2030. Sulle tecnologie che verranno impiegate per la sua realizzazione però, nessun dettaglio al momento.

Anche la Luna, come già abbiamo avuto modo di dire, è tra gli obiettivi del 2020: la Cina è intenzionata a dare il via alla missione di atterraggio senza equipaggio chiamata “Chang’e 4”, seguita qualche anno dopo da una missione di recupero di campioni del terreno lunare. Si parla poi di progetti a lungo termine, come l’invio di sonde su Giove nel 2036, e su Urano nel 2046, oltre a missioni minori focalizzate sullo studio degli asteroidi e di altri corpi minori del sistema solare.

Un annuncio decisamente ricco quello cinese: resta da vedere se tutti gli obiettivi prefissati riusciranno ad essere portati a termine senza eccessivi ritardi e nella massima sicurezza. Il traguardo principale resta comunque Marte, considerando che anche ESA e NASA si preparano all’invio di nuove missioni sul Pianeta Rosso nel medesimo periodo… si prospetta dunque un 2020 piuttosto intenso sul fronte dell’esplorazione spaziale.

A questo punto è ormai chiaro che si tratta di aspettare una manciata di anni, un decennio forse, prima di poter posare piede su Marte, considerando la gara in corso tra gli scienziati della NASA, dell’ESA, della Russia e della Cina, oltre a quelli sovvenzionati da istrionici miliardari, in competizione tra loro nella realizzazione del mezzo che porterà l’uomo sul Pianeta Rosso. Ma prima che l’uomo possa realmente insediarsi su Marte, ci sono una serie di ostacoli da superare, alcuni molto tecnici. Uno di questi è una sfida che il genere umano ha affrontato da quando i nostri antenati sono scesi dagli alberi: imparare a coltivare terreni inospitali. Così, se è vero che non abbiamo mai viaggiato cosi lontano da casa come ora, possiamo invece essere confidenti sulle nostre competenze in materia agricola.

Marte, in fondo, non è così dissimile alla Terra. Da un punto di vista cosmico, sono praticamente gemelli. Entrambi i pianeti hanno superfici rocciose e sono di dimensioni, composizione e gravità molto simili. Su Marte c’è anche acqua come abbiamo visto. Ma Marte è gelido. E’ persino più freddo delle nostre regioni polari. Ed è carente in tutto ciò che assomiglia a un’atmosfera. L’uomo, quindi, avrà necessità di un riparo e di aria. Volendo dare per scontato che il problema del riparo e dell’aria respirabile è già risolto, cos’altro servirebbe ai nostri amici vegetali, per svilupparsi, che non serve a noi umani?

La risposta è: la sporcizia!

Il suolo, così come è inteso sulla Terra, manca su Marte. Il suolo è molto più che una distesa di roccia sottile, anche se le rocce contengono una parte dei minerali necessari alle piante per vivere. Il terreno adatto a una coltura deve contenere infatti materia organica, come sostanze morte e microbi viventi. Anzi, il suolo è proprio la materia organica che lo compone, così come lo sono l’aria e l’acqua. Senza tutta la materia organica, avremmo soltanto roccia sminuzzata, che è esattamente quel che c’è, in questo momento, sulla superficie di Marte.

Ma l’essere umano ha imparato, nella sua storia, a coltivare in ambienti ostili fin da quando abbiamo iniziato a cibarci del nostro raccolto. Abbiamo imparato a rendere produttivo un terreno inospitale utilizzando, ad esempio, i nostri rifiuti o i rifiuti di origine animale. Siamo in grado, ad esempio, di far fiorire un orto domestico fertilizzandolo con le foglie (decomposte) della stagione precedente. Oggi usiamo fertilizzanti chimici complessi, fabbricati in laboratorio. Senza scomodare la scienza, usiamo anche fertilizzanti casalinghi quali i fondi di caffè o i resti di una mela, per ridare vita al terriccio della pianta del nostro ufficio.

Anche i minerali contenuti nel sottosuolo sono importanti. All’interno del suolo di Marte sono stati rilevate sostanze quali i perclorati, nemici dell’agricoltura. Bisogna tenerne conto. La buona notizia è queste sostanze possono essere “lavate” via dal terreno semplicemente con acqua.

Una volta lavato il terreno di Marte, e aggiunto del compost, cosa sarebbe possibile coltivare? Pur non avendo mai prelevato e riportato sulla Terra dei campioni marziani di terreno, abbiamo comunque moltissime informazioni, grazie alla squadra di robot che hanno esplorato il Pianeta Rosso e analizzato il relativo terreno, detto regolite. Sulla base di queste informazioni, alcuni laboratori hanno ricreato la regolite marziana. Si può comprare a meno di 10 dollari al chilo.

Al Florida Institute of Technology, un gruppo di ricercatori e studenti ha provato le loro abilità agricole simulando un terreno marziano. Hanno provato a piantare colture nel suolo terrestre (per un controllo), simulato la regolite marziana e simulato la regolite con fertilizzante aggiunto. Prima hanno piantato della lattuga, poi hanno aggiunto pomodori, piselli e peperoni.

All’università di Villanova, gli studenti hanno provato la maggior parte delle stesse colture, oltre ad erbe come aglio, menta e basilico, perché il cibo coloniale non deve essere privo di gusto. Hanno anche provato a far crescere il luppolo… vedi mai gli astronauti abbiano voglia di una buona birra marziana! Hanno provato a coltivare i loro raccolti negli angusti angoli della serra, per simulare la luce solare più limitata di Marte. Altri gruppi hanno sperimentato l’illuminazione artificiale.

La ricerca ha subito purtroppo anche delle battute di arresto. Ad esempio, in Florida l’uragano Matthew ha interrotto l’esperimento degli studenti, che dimenticarono di innaffiare il loro raccolto. Ma quando saremo su Marte, non ci saranno distrazioni. E comunque, dai tentativi sopra citati, sono emersi dati incoraggianti. La lattuga si è sviluppata persino nella regolite non trattata. Le altre colture hanno avuto bisogno del fertilizzante, ma i risultati sono stati soddisfacenti.

Una nota però: non basterà solo aggiungere nutrienti al suolo di Marte. Il team dell’Università di Villanova ha scoperto che la consistenza argillosa della regolite marziana è troppo densa per molti tipi di piante, patate comprese. Ma aggiungendo materiali, quali fondi di caffè oppure cartone trinciato, i ricercatori sono stati in grado di ammorbidire la regolite, rendendo più facile alle piante il compito di penetrare con le radici in profondità. Naturalmente, i fondi di caffè e il cartone non si trovano su Marte, così come i fertilizzanti industriali. E se occorre spendere molti soldi per “importarli” dalla Terra, tanto varrebbe importare il cibo. Quindi i ricercatori stanno lavorando su come utilizzare al meglio vermi e batteri in piccoli lotti e i prodotti di scarto che i coloni marziani avranno a portata di mano (vedi “feci”), per generare il proprio fertilizzante di alta qualità.

A questo punto sorge spontanea anche una domanda: dove andranno a vivere gli uomini che andranno alla conquista del Pianeta Rosso, soprattutto in vista di una possibile colonizzazione?

Fra le varie ipotesi, una è la terraformazione. Vediamo di cosa si tratta.

L’idea di terraformare Marte per renderlo abitabile è stata oggetto di diversi studi negli ultimi decenni, tuttavia la maggior parte delle soluzioni proposte si scontrano con i limiti tecnologici attuali. Lo scorso anno la NASA pubblicò uno studio nel quale definiva l’operazione “impossibile”. Anche se riuscissimo ad avviare un processo di formazione atmosferica e un ciclo dell’acqua, il problema principale resterebbe sempre e comunque la pressione atmosferica. L’attuale atmosfera marziana è composta per lo più da anidride carbonica, ma risulta troppo sottile e fredda per supportare la presenza di acqua liquida, un ingrediente essenziale per la vita. Su Marte, la pressione dell’atmosfera è inferiore all’uno percento (0,6 %) della pressione dell’atmosfera terrestre. Qualsiasi acqua liquida sulla superficie evaporerebbe o congelerebbe molto rapidamente.

Come risolvere dunque questo problema? Diversi studi lavorano per rispondere al quesito, appurato quindi che al momento non possiamo valutare una soluzione su larga scala, i ricercatori dell’Università di Harvard, del Jet Propulsion Lab della NASA e dell’Università di Edimburgo hanno proposto un approccio più limitato, trovando nell’aerogel di silice la possibile risposta.

L’idea di erigere delle cupole non è nuova, tuttavia l’aerogel di silice potrebbe avere le giuste caratteristiche per consentire una lenta e graduale terraformazione mirata. Alcuni esperimenti condotti dal team di studio hanno dimostrato che il gel di silice potrebbe trasmettere abbastanza luce visibile per la fotosintesi, bloccare le pericolose radiazione UV e innescare l’aumento delle temperature sottostanti senza alcuna fonte di calore interna.

A differenza di precedenti proposte, questa è compatibile con le attuali tecnologie e potrebbe essere sviluppata con discreta facilità. Il team di ricercatori non si vuole però fermare alla pura teoria, l’idea è di condurre esperimenti in zone terrestri caratterizzate da climi simili a quello marziano, come nel deserto di Atacama in Cile e nell’Antartide.

Ci sono ancora molte sfide dunque da superare: la bassa gravità di Marte, per citare solo un esempio lampante. Ma c’è sicuramente la speranza che i futuri coloni marziani saranno in grado di sgusciare piselli, pelare patate e magari persino produrre birra con colture coltivate nelle loro stesse fattorie marziane.

Restiamo sintonizzati… il Pianeta Rosso sembra sempre più vicino!

A cura della redazione