Sussurrano… Le loro voci si levano da quella zona immota, da quella palude spenta, marcescente ed oscura dove sono stati precipitati: aliti confusi, ancora sospesi tra l’ignoranza e la certezza della fine, grida silenti da un pozzo cieco. Tra tante vite spezzate la loro morte è come uno sputo all’opera di Dio, un delitto per cui è quasi impossibile il perdono.
I Episodio
TOMMY
La sera è l’ora più giusta: l’inverno fuori infuria ed accartoccia cose e cuori in una gelida malinconia, ma osservare l’opera delle sue dita spietate attraverso il leggero velo che un caldo tepore deposita sui vetri della finestra ed accanto ad un fuoco scoppiettante che, consolando le tue ossa stanche, ti fa anche compagnia è una delle sensazioni più speciali che l’essere intelligente chiamato a vivere su questa terra può provare.
Vista da fuori la famigliola raccolta attorno al desco serale è quasi da cartolina, da antica fiaba natalizia dove all’improvviso tutto può accadere ed il prodigio è in continuo agguato.
Tommy è seduto sul suo seggiolone e sorride di niente, pronto a mutare il riso in pianto per nonnulla, così come fanno i bimbi della sua età, ma anche lui, sicuramente, avverte il caldo buono che lo circonda e che esclude il buio macchiato di pioggia mista a neve che appanna invece il vetro che pare rabbrividirne: al pari di una nenia infantile… una ninna nanna da toni famigliari, la voce del padre e della madre, che si raccontano la loro giornata, lo raggiungono e lo cullano.
Tic… tac… Tic… tac… da qualche parte un vecchio orologio frantuma il giorno e gli occhi del piccolo Tommy, pian piano, si abbassano, poi si aprono di nuovo cogliendo una scintilla di fuoco volante e poi tornano ad abbassarsi e, definitivamente, si chiudono sul suo mondo felice, l’unico che conosce…
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C’è il lato oscuro delle fiabe che Tommy invece non conosce: vi dimorano atroci Brunilde pronte a regalarti venefici pomi, vi si trovano ammuffite megere piene d’astio che si cibano di bambini, le popolano orrendi orchi che, sottraendoti alla luce, ti trascinano in inferi inimmaginabili. La loro è una nera magia che vuole sottrarre agli altri energia – sottoforma di bellezza, di nutrimento o soltanto vile denaro – per arrogarla soltanto a se stessi.
Tommy dorme sul seggiolone ed il suo è un sogno piccolo ed innocente proprio come è lui: forse soltanto l’immagine di un battito di ciglia di sua madre china su di lui, ma il ghigno che invece intravede in un brusco risveglio è ignoto, terrorizzante, alieno… Si ha quasi l’impressione di percepire il “crac” di un ghiacciolo di neve che si spezza quando tutti i suoi sogni, le sue sicurezze, la sua ipotesi di vita si frantumano all’improvviso insieme a quella mano che lo strappa a forza dal suo nido caldo e lo proietta in un mondo crudele da cui è fuggito tutto il calore, tutto il certo, tutto il buono che avevano nutrito i suoi diciotto mesi.
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La corsa nella notte gelida è straziante per quel piccolo cuore e per quella mente agli albori che ancora stenta persino a riconoscersi, non vi sono braccia calde a cui aggrapparsi, non c’è il piccolo amico di pezza da stringere e condurre con sé nel prossimo sogno: c’è solo il buio che inghiotte ogni cosa… E lui urla allora a quel buio, contro quel buio e piange e si dispera, ripetendo all’infinito l’unico nome che sa pronunziare senza incertezze: “Dove… dove sei… mamma? Dov’è il mio tiepido nido da dove mi pareva ancora di percepire il battito del tuo cuore, quando ero una parte di te?”.
Lacerato, urla allora tutta la sua disperazione ad una notte che non ascolta, ad un orco assetato di sangue innocente che incrudelisce a quelle grida strazianti che, forse, turbano la sua tranquilla perfidia, rischiando di fargli avvertire gli urti di una coscienza che, anche lui, deve pur possedere… O forse, più probabilmente, ha solo paura di venir smascherato.
Un’improvvisa carezza sfiora il suo collo…
E’ forse possibile? Forse…”, prova allora a tranquillizzarsi Tommy. “Forse…”.
La mano si stringe intorno al suo piccolo collo e Tommy, in un ultimo sguardo, cerca nel cielo le stelle che ha appena imparato a conoscere, ma vede solo pioggia amara mista a solitudine e poi arriva la fine della vita: quella vita che lui non ha ancora imparato a comprendere, ma che percepiva come calore, cibo, risate… amore.
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Quella piccola fossa lungo le rive fangose del fiume dove il suo corpo è stato deposto è ancora più gelida del gelo ed, anche se lui ancora non lo sa, è già un angolo nascosto di quella palude da cui riprenderà a gridare.
(1 – continua)