Recentemente ho letto un interessante volume sul caso del Mostro di Firenze: “Il Mostro di Firenze – Scene del delitto e profili criminologici” di Luca Marrone e Micaela Marrazzo (Studi & Saggi, 2020). Si tratta di un testo tecnico di criminal profiling, se vogliamo anche un’analisi filologica delle più importanti analisi comportamentali dell’omicida (in particolare si fa riferimento a quelle del 1981, 1984 – 1985, 1989 e 1994) fatte da periti diversi. Il libro presenta anche dei curiosi capitoli finali composti da congetture, riflessioni e ipotesi; una riguarda le analogie tra il caso del mostro e i delitti del serial killer americano conosciuto come Zodiac (1). Un altro, quello che mi ha più colpito, riguarda l’immaginario mediatico del mostro e riprende le fila di un discorso poco fatto (e conosciuto) sulla vicenda.
Gli autori hanno anche la cortesia di citare un articolo del sottoscritto, oltre che riprendere e ipotizzare eventuali connessioni e stimoli che l’autore dei delitti può aver ricevuto da un immaginario fantasmatico allora assai suggestivo. Gli autori si riferiscono al cinema thriller del tempo, citando le ipotesi di Filastò e del fondamentale De Gothia (vero precursore in questo campo di studi che privilegiano le “suggestioni culturali” ai meri fatti di cronaca o alle supposizioni investigative). Personalmente ho sempre trovato ben più suggestivo percorrere un campo di indagine che era più “culturale” che tecnico/scientifico, lasciando ad altri ipotesi, piste o colpevoli presunti. È passato troppo tempo per pensare davvero di andare ancora a bussare alla porta di qualcuno e inchiodarlo a quei terribili delitti. Ciò che rimane è il fantasma di un’epoca. Il cuore nero di un passato in cui film, pellicole violente, flani, manifesti, fumetti e soprattutto fotoromanzi, si intrecciano in una spirale folle coi delitti ai danni delle coppiette.
Il mostro ha agito dal ’74 (o già dal ’68, chi può dirlo davvero?) fino al 1985 e anche su questa data abbiamo parecchi dubbi, visto il numero esagerato di prostitute ammazzate, di persone più o meno coinvolte con la vicenda finite incaprettate e bruciate in macchina. A seguire questa pista di morte si arriva fino alla fine degli anni ’90, con la morte del Pacciani.
Negli anni Zero, a ridare corpo al fantasma di quei delitti, è arrivata la riesumazione del corpo di Francesco Narducci, altri sospetti, i processi, un bellissimo romanzo di (non)fiction di Diego Cugia e poi ancora un nulla di fatto. Giuttari intanto è assurto al rango di super investigatore di riviste crime, altri testimoni della prima ora sono morti, in primis un indispensabile Mario Spezi, vero Rustin Cole ossessionato per tutta la sua vita dal caso del mostro.
Oggi i “mostrologi” sono tutti di seconda generazione, ognuno col suo blog, i suoi libri, le sue teorie, alcune persino validissime. Personalmente mi trovo più vicino a chi, come il geniale regista dadaista Francis Trinipet, si accosta all’argomento cercando di coniugare la cronaca con le suggestioni storiche di allora.
Essendo un collezionista amatoriale di cultura popolare degli anni ’60 e ’70 (oltre a conoscere, per studi e inclinazioni, il cinema di genere di quel periodo), ho sempre cercato di annotare le coincidenze (casuali, certo, però non per questo meno vere, meno “necessarie” appunto) con la vicenda dei delitti fiorentini. E ne ho trovate molte, disseminandole in una serie di articoli dispersi nel web; articoli che nemmeno avevano il mostro come cuore di partenza (anche se poi il mostro, pian piano, arrivava, si faceva strada nella mia mente e nelle mie parole, imponendosi quasi contro la mia volontà (2)). Fa piacere quindi vedere che un testo così preciso come quello di Marrone/Marrazzo, apra anche a queste suggestioni (dai più liquidate come cazzate, soprattutto in quel gran calderone di saputelli della rete, chiacchieroni compulsivi con la tastiera che però di quelle cose, di quelle riviste, testate, collane, non hanno letto e non conoscono nulla). A differenza del mio maestro De Gothia, non credo nemmeno che sia poi così importante sapere se il mostro avesse davvero preso spunto, nell’evoluzione paranoica e sadica del suo agire, da certi stimoli esterni; ciò che mi interessa (e colpisce ancora oggi) è accorgermi come quella cultura popolare (e metto i film, i fotoromanzi e i fumetti sul medesimo piano, lasciando da parte il discorso sulle colonne sonore, perché la musica è un medium più sofisticato e astratto) fosse in grado di alimentare un immaginario aggressivo e rivoluzionario, capace da un lato di erodere le ipocrisie di una certa società e di una certa politica falsamente moralista, ma anche, da un altro, di portare avanti istanze cripto-fasciste, connesse a raffigurazioni succubi di un corpo femminile che nei ‘70 si stava smarcando sempre più dalle strette patriarcali.
Su queste cose aveva scritto con un acume assoluto anche Umberto Eco, parlando proprio dei fumetti neri come di un serbatoio acerbo di aggressività biologica, fabbrica mediale per un’ideologia politica della morte “eletta a rituale e a ragion di vita”. L’amore per la morte (e la necrofilia del fumetto nero) dilaga nell’Italia dei ’70. “Se questo voleva il terrorismo (nel suo animo profondamente, ancestralmente squadrista) l’ha avuto. Ha chiamato a raccolta pulsioni profonde, fascismi variamente mascherati, ignoti anche a chi li celava nell’inconscio (3).
I fumetti neri come madri oscure di una sagra della morte che semplifica e rende piacevoli le lunghe e cupe ombre della banda armata, delle stragi, delle bombe. Il liquame di questa cultura vuole smorzare le forze sociali e riformiste esplose dalla scossa del ’68, dai nuovi giovani col sacco a pelo e lo zaino sulle spalle, dagli studenti di Architettura a Valle Giulia, dai metalmeccanici, dai cortei di lavoratori che chiedevano una democrazia sindacale e un miglioramento sostanziale delle condizioni di lavoro nelle fabbriche. Questa scossa fece paura al potere di allora. Il 14 dicembre del ’69 fu una ferita mai più rimarginata, un buco nero da cui si sono liberate le forze oscure di cui parla anche Eco in molti articoli scritti proprio in quegli “anni di piombo”. Se il ’74 sarà il primo vero delitto del mostro, avverrà in un anno cruciale per il paese, chiamato ad affrontare un referendum abrogativo per la legge sul divorzio, conquista civile osteggiata da un fronte compatto di clericali, neofascisti e conservatori. Il 13 maggio il referendum vide prevalere nettamente il fronte favorevole al divorzio. Il 18 aprile le Brigate Rosse fecero la loro comparsa sulla scena nazionale rapendo il giudice Sossi. E poi il 28 maggio una bomba terribile e vigliacca uccide cittadini inermi a Brescia. Sarà uno spartiacque nella cosiddetta “strategia della tensione”. In questo contesto muore martoriata la giovane Stefania Pettini, vittima a cui il mostro riserva un’attenzione particolare, uccidendola all’arma bianca, in un’esplosione di violenza bestiale, lontana dalla freddezza (già slasher) dei delitti degli anni ’80, delitti quasi spenti, in cui la vita, il sesso e la giovinezza sono cancellate da una mano senza colori, già svuotata e postuma di se stessa.
Per tornare a quel che dicevo all’inizio, che il MdF fosse un lettore ideale di testate come Oltretomba, Jacula, Bigfilm, Cinestop, Supersex, Le novelle erotiche del mese è assai probabile e comunque non rovina la teoria di nessuno (mostro solitario, satanisti, compagni di merende, Vigna mostro, sardi, fantasmi, alieni, Lotti); Salvatore Vinci, Pacciani, Vanni, se volete anche un Calamandrei, o il mago Indovino, persino il Narducci della vulgata popolare, son tutti (la definizione semiologica è sempre di Eco) “lettori ideali” di quei prodotti scadenti e reazionari, scritti, disegnati e fotografati per rispondere alle esigenze di un maschio spesso costretto a guardare, spiare il corpo femminile da lontano; ragazzi minorenni, pensionati, impotenti, impiegati all’apparenza irreprensibili, indiani, guardoni che si riconoscono in un’ideologia misogina che vuole la donna sempre puttana, ridotta a mero oggetto di un desiderio a una sola direzione.
Il mostro si sarà mosso in questo sottobosco. Avrà consumato e alimentato i suoi desideri attraverso questi prodotti, finché non ha più avuto bisogno di ricercare affinità e somiglianze, ma è divenuto lui stesso fonte di ispirazione. Dagli anni ’80 in avanti, è il mostro a ispirare il cinema e i fumetti, muovendosi come un fantasma dietro le azioni dei tanti killer filmici di allora (4).
Per questo, e qui concludo, trovo sempre più importante ricercare a ritroso le influenze e l’educazione che il mostro ha ricevuto quando ancora era acerbo e insicuro, bisognoso di una legittimazione fantastica che probabilmente riceveva dalle sole riviste. In questo trovo significativo gli articoli di giornale dell’epoca, del ’74, che scorgono dietro il martirio di Stefania un oscuro fotoromanzo pornografico appena uscito nelle edicole. Purtroppo però anche questa fonte, come tante altre, s’è smarrita nel tempo, dimenticata dai protagonisti della prima ora (e snobbata dai blogger di oggi). Chissà se quel giornaletto riaffiorerà mai: forse potremmo scorgere tra quelle pagine il volto ancora incerto e rabbioso di qualcuno al limite estremo del suo continnum, pronto a smarrirsi nel territorio della sua (e nostra) fantasia…
Davide Rosso
NOTE
(1) Nel giugno del 2006 la Mondadori rilasciò nelle edicole un volume della collana “True Crime” scritto da Robert Graysmith e dedicato al caso di Zodiac. Il volume era uscito in America nel 1976 e aveva ispirato l’omonimo film di David Fincher del 2007. Comprai quel volumetto nel giugno del 2006 e ancora oggi ritrovo, su numerose pagine, mie annotazioni a matita sulle somiglianze tra quel caso e il MdF. Alcuni esempi: il primo delitto accertato del maniaco americano è del 20 dicembre del 1968. Il MdF aveva già colpito il 21 agosto di quell’anno, a Lastra a Signa. Zodiac uccide la prima coppietta (David Faraday & Betty Jensen) appartata dalle parti della Lake Herman Road di Vallejo. Era un luogo appartato per coppiette e questo la dice già lunga. I due giovani sono ammazzati a colpi di pistola, sparati a raffica dall’assalitore e a distanza ravvicinata. La seconda vittima, Darlene Ferrin, tra il febbraio e il maggio del 1969, mostrerà un certo nervosismo, lamentandosi di un uomo che la seguiva e le faceva paura. La cosa rimanda a certe confidenze fatte da Stefania Pettini su un uomo che l’aveva seguita dalla stazione centrale di Firenze fino a Novoli dove lavorava. Analoghe confidenze pare le avesse fatte anche da Susanna Cambi nell’81. Darlene verrà ammazzata mentre si trova appartata con un amante dalle parti del campo da golf di Blue Rock Springs, in un boschetto frequentato da coppiette. Il ragazzo, sopravvissuto, parlerà di un uomo tarchiato che li avvicina con una torcia in dotazione alla polizia (cosa che ci fa pensare al mostro poliziotto disegnato da Nino Filastò). Poco dopo l’aggressione il maniaco sente il bisogno di telefonare alla polizia da una cabina, avvisando del delitto. Cose simili avvengono anche a Firenze: una segnalazione anonima farà ritrovare la borsa di Stefania Pettini nel 1974; un’altra telefonata arriverà il 22 ottobre alla zia di Susanna Cambi da parte di uno sconosciuto intenzionato a parlare con la madre della ragazza appena trucidata; altre telefonate si susseguono dopo i fatti di Baccaiano nell’82, ne è testimone l’autista di ambulanza Lorenzo Allegranti. Torniamo a Zodiac; come per il mostro qualcuno cerca di far girare voci che tirano in ballo stregoneria e satanismo riferite alla povera Darlene. Il primo agosto del 1969 Zodiac scrive la prima di molte lettere. Su questo il MdF sarà più contenuto: di sicuro abbiamo la missiva mandata il 10 settembre del 1985 e contenente un lembo di seno della povera Mauriot. Già in quella prima missiva, contenente un messaggio cifrato, il maniaco americano svela un inedito legame con le suggestioni filmiche, citando il titolo di un vecchio film della RKO “La pericolosa partita”, incentrato sulla figura di un sadico cacciatore di prede umane su un’isola sperduta. Le analogie tra film e cronaca nera sono solo all’inizio. Il 27 settembre 1969 Zodiac, mascherato con un cappuccio, aggredisce una coppia nei pressi del Lake Berryessa. La ragazza verrà trucidata e colpita col coltello al torace, al petto e all’inguine, in un’esplosione di violenza all’arma bianca che rimanda al martirio della povera Stefania Pettini. A differenza del mostro però, Zodiac è più imprevedibile: l’11 ottobre del ’69 ammazza con un colpo di pistola a bruciapelo un taxista. Il 14 ottobre arriverà a minacciare, in una nuova missiva delirante, di sparare su uno scuolabus di bambini. Come per il caso del MdF, anche la storia di Zodiac è costellata di morti collaterali, delitti insoluti e nemmeno facilmente attribuibili al killer. Una ragazza, Elaine Roberts, non fu mai ritrovata. Il 19 aprile del 1970 il design Robert Salem fu quasi decapitato nel suo appartamento. Sul muro scritte inneggianti a satana e la parola “zodiac”. Un copycat? Un emulatore? Sempre tra queste vittime incerte mi colpì la morte della diciottenne Kathy Bilek, appartata nel parco di Villa Moncalvo l’11 aprile del 1971 per leggere un libro e pugnalata innumerevoli volte alla schiena, al torace e al seno, in una zona alberata in cui, il 3 agosto del ’69, erano state trucidate con più di trecento coltellate altre due ragazze. A Firenze avremo la prostituta Clelia Cuscito ammazzata nel suo appartamento con un coltello, e ancora la coppietta di Lucca, ammazzati a colpi di pistola nel 1984, lungo le sponde del fiume Serchio. Per non parlar dei resti carbonizzati di una donna nel luglio dell’84, dalle parti del Mugello. Nel luglio dell’84 altra prostituta strangolata e così via. Nell’ottobre del 1970, qualcuno (un “cittadino amico”) spedì una lettera a Paul Avery, cronista investigativo del Chronicle di S. Francisco, dicendo che forse Zodiac aveva già colpito prima del ’68, uccidendo una ragazza dalle parti di Riverside. La ragazza si chiamava Cheri Jo, era una matricola del college di Riverside. L’omicidio risale all’ottobre del 1966 e la ragazza era stata ritrovata con la testa quasi staccata dal corpo; Avery scoprì anche una confessione mandata da un anonimo e spedita da una buca per lettere isolata, in campagna, cosa che ci riporta alla busta imbucata dal MdF dalle parti di San Piero a Sieve. Il 30 gennaio del ’74 Zodiac si rifà vivo per commentare negativamente l’uscita del film “L’esorcista”; la cosa non verrà dimenticata dall’autore del libro, W. P. Blatty, il quale, nel 1983, scriverà un bellissimo seguito in cui intreccerà abilmente le vicende sataniche del primo libro coi delitti di un killer fortemente ispirato a Zodiac. Il punto più alto del libro è quando l’autore rintraccia un vecchio proiezionista che aveva lavorato in un vecchio cinema di Los Angeles coi soffitti affrescati da segni dello zodiaco. L’uomo parla di un suo collega proiezionista, anche lui amante dei vecchi film muti; la pista (ripresa in modo identico nel film) è splendida e suggerisce abilmente che Zodiac possa essersi ispirato ai manifesti dei vecchi film per scrivere i suoi messaggi e lettere. Lo scrittore e il vecchio proiezionista risalgono ai registri del cinema di Los Angeles e scoprono che proprio nel ’69 il film “La pericolosa partita” era stato proiettato in date sovrapponibili a quelle dei delitti. E qui la vicenda si annoda e intreccia con quanto suggerito da Filastò e De Gothia sul rapporto tra il MdF e il film “Maniac”, proiettato a Firenze nell’81.
(2) A titolo di esempio riporto qui quanto avevo scritto su un albo a fumetti della collana Oltretomba Gigante uscito nel ’78: “Quel dannato figlio di Sam”, Oltretomba Gigante n. 59 dell’aprile 1978; è facile capire che il fumetto si riferisca ai recentissimi delitti avvenuti a New York per mano di David Berkowitz, un postino serial killer che uccise 6 persone tra il 1976 e il 1977. Berkowitz cominciò casualmente col ferire a coltellate una donna nel 1975 per poi passare a una serie di agguati con un’arma da fuoco. Tra le sue vittime anche alcune coppiette. Prima di essere arrestato, Berkowitz inviò varie lettere deliranti e sgrammaticate alla polizia e al New York Daily News, blaterando di cani, urina, vomito e del demone Behemoth (o Sam) che si aggirava per la spazzatura del Queens, circondato dai latrati dei cani e che gli ordinava di uccidere. Una volta catturato Berkowitz racconterà di aver sentito l’impulso di ritornare sui luoghi dei delitti per eccitarsi e masturbarsi e di aver cercato nei vari cimiteri le lapidi delle sue vittime (particolari che potrebbero rimandarci al mostro di Firenze). Nel fumetto la vicenda è praticamente riscritta, col nostro che diventa Hugo Berliowitz e mantiene una forte somiglianza col killer originale. New York coi suoi grattacieli rimane il fondale della storia, lontana dal gotico fatto di reincarnazioni, vampire e zombi degli altri albi. Siamo ormai nel 1978 e i fumetti neri cercano di stare al passo, succhiando nuove idee dai fatti di cronaca nera. Lo sceneggiatore anonimo dell’albo però impasta bene gli elementi, saturando il tutto come di consueto: il trauma di Hugo è legato alla calvizie e ad un certo odio contro i capelloni; il nostro cerca conforto nel sesso orale con una prostituta, ma anche questa finirà per deriderlo. Dopo un maldestro tentativo di suicidio, Hugo finirà per incontrare un tale Sam, un vecchio pazzo che lo trasformerà nel killer denominato appunto “Figlio di Sam”. Da qui in avanti Hugo, infagottato come un assassino dei thriller argentiani, si inerpicherà lungo le facciate dei grattacieli per introdursi negli appartamenti delle sue vittime. Dopo averle uccise il figlio di Sam le scalpa, in un modo praticamente identico ad un film di poco successivo, quel famigerato “Maniac” del 1980, pellicola che presenta sinistre analogie col caso del mostro di Firenze. Nella pellicola (di due anni successiva) il maniaco farà la stessa cosa alle vittime, anticipando un’ossessione per la cute e i peli che troverà nel maniaco fiorentino il suo più illustre esponente. Coincidenze? Casualità? A pag. 70 – 77 il figlio di Sam a fumetti ammazza una coppietta in macchina, lasciando la sua firma sul seno della donna e portandosi via i suoi preziosi trofei. Se è difficile immaginare che gli sceneggiatori americani della pellicola abbiano potuto incappare in questo fumetto, è ben più facile immaginare che il serial killer fiorentino (secondo i lunghi e documentati studi del dottor De Gothia) si sia cibato (negli anni di silenzio tra il delitto del 1974 e la ripresa nel 1981, a pochissimo dall’uscita della pellicola americana nelle sale italiane e fiorentine in particolare) di questo genere di prodotti culturali. Tracce, anticipazioni del mostro le abbiamo nei KKK (la perizia è di Daniele Vacchino e rimando al saggio fondamentale che ha dedicato a quella collana), nei thriller di allora e, perché no, in questi albetti da edicola per anonimi onanisti. L’albo a fumetti prosegue con un mitomane che sequestra una bella figa e prova a spacciarsi per il vero maniaco (un particolare che sembrerebbe alludere a quanto stava avvenendo nel caso ancora aperto dello squartatore dello Yorkshire) e finisce col vecchio Sam (di lui si scoprirà che era stato tantissime cose, un collaborazionista nei campi di concentramenti, un becchino profanatore di tombe che amava depredare le salme e abusarne, un poco come – ma non lo si poteva ancora sapere – faceva il vero squartatore dello Yorkshire, al secolo Peter Sutcliffe) bruciato sulla sedia elettrica, anzi polverizzato sulla sedia elettrica, tanto che l’intera città cadrà in un apocalittico black out! Albo splendido fin dalla copertina, questo è chiaro. Ma vorrei tornare a quei particolari: perché lo sceneggiatore devia così tanto dalla vicenda originale (già di suo parecchio sconcia)? Perché inserire quella pulsione ossessiva per i capelli (i peli…)? Perché far sì che il maniaco si camuffi, mettendosi una sorta di parrucchino ricavato dai feticci delle varie vittime? Perché insistere graficamente così tanto sulle coppiette appartate (in macchina, nei giardini)? E’ il 1978 e il mostro di Firenze non esiste ancora per i media. Eppure ha già colpito nel 1974. Un delitto feroce. Poi ci sarebbe la questione mai risolta del 1968. Era lui? No? L’arma era la stessa? A otto colpi? A dieci? Non lo sapremo mai. Però possiamo ricostruire la fascinazione morbosa che questi fumetti devono aver esercitato su un certo numero di persone e non è escluso (io anzi mi sentirei quasi certo) che il mostro fosse tra questi. Cosa deve aver provato nel veder fissato su carta (e non come sul grande schermo dove le immagini, i sogni ad occhi aperti volavano via, svanivano, conservandosi solo parzialmente nella memoria…) azioni e ossessioni che di lì a tre anni avrebbe ripreso a praticare? Anzi. Facciamo finta che il mostro abbia visto per la prima volta in questo fumetto un’anticipazione di quello che avrebbe voluto fare. Nel 1974 era ancora tutto confuso. Leggo dalla perizia del dottor De Fazio, l’illustre criminologo incaricato dalla Procura di Firenze di stilare una relazione clinica sui delitti del mostro (un lavoro unico e straordinario per allora): “E’ possibile che la ragazza, sicuramente ancora in vita dopo che l’omicida smise di sparare, emettesse grida d’aiuto o di terrore, e che l’omicida abbia in un primo tempo tentato di tapparle la bocca con una mano. Le urla della ragazza, o un morso ricevuto da quella, potrebbero aver scatenato nell’omicida lo stato emotivo (ira, furore, eccitazione) in preda al quale ha poi inferto i primi colpi da arma da punta e da taglio. Gli stessi motivi potrebbero giustificare i colpi inferti al viso, quasi come un istintivo attacco alla parte della donna che in quel momento si mostrava più vitale ed aggressiva (…) L’introduzione del tralcio di vite abbia fatto parte di una serie di atti esploratori compiuti dall’omicida sulla donna, come si trovasse di fronte ad un oggetto relativamente estraneo.” Nel 1981 ormai è già tutto tracciato, segnato, compiuto. O quasi. Dopo i colpi di pistola, dopo quelli di arma da taglio. “Sono stati escissi, infatti, con mezzo molto tagliente, con colpi precisi e con tecnica sicura, il pube e parte della vagina (…) Il precipuo interesse dell’autore per la cute e per i peli del pube rispetto alla vagina, di cui è parzialmente asportato solo parte del grande labbro di sinistra (…) Privilegia la testa come bersaglio principale” dei colpi di arma da fuoco, esattamente come nel fumetto. E poi la pag. 65 di Oltretomba, con quel corpo femminile riverso sulla panchina del parco, il ventre scoperto, la vagina e i peli pubici in evidenza e strane scritte, simboli incisi sulla pancia. Cosa può aver provato il mostro ripensando a quanto aveva fatto quattro anni prima ai danni della povera Stefania Pettini uccisa in quel terribile 14 settembre del 1974? Quando l’omicida “ha quasi circoscritta la zona del ventre attorno all’ombelico e la linea superiore del pube, e ha descritto linee o cerchi sulle cosce.” Feticismo? Feticismi di carta e carne? Emerge, nell’operato del mostro, una ricerca inappagata, un “oggetto feticistico” fissato, in seguito, sul pube femminile, ma non necessariamente partito da quello. Lo spostamento dei cadaveri e le ulteriori attenzioni post-mortem sono spoglie di immediati contenuti sessuali e solamente funzionali al possesso dell’oggetto feticistico. Il mostro di Firenze non si abbandona ad un’orgia di sangue e visceri, non è un antropofago e non indugia in atti masturbatori sulle vittime. Il suo contatto fisico coi cadaveri si limita a mere manovre di denudazione della vittima femminile operate con la punta del coltello. All’inizio l’interesse dell’assassino si concentra sul pube e non sul seno. Un interesse, specificato anche nella relazione del dottor De Fazio, nutrito con buona probabilità da un erotismo letterario (i KKK? I Racconti di Dracula?) e pornografico (i fumetti neri di allora, con particolare attenzione ad una collana cruda e feticistica come appunto Oltretomba). Riviste, film porno, letteratura erotica con palesi componenti sadiche. Non è un caso che nel delitto del 10 settembre 1983 a Giogoli, vicino al furgone camper dei due ragazzi tedeschi, vengano ritrovate delle pagine tagliate di un fotoromanzo porno. Sintomi di un’impotenza assoluta? De Fazio ne era convinto e noi con lui. Chiudiamo con un’ultima riflessione. Cosa ha fatto il mostro dal ’74 al 1981? Come è riuscito a soddisfare i suoi impulsi? E qui De Fazio apre gli studi che saranno seguiti con estrema brillantezza dal dottor De Gothia nei suoi lavori degli anni ’90. Simulando le situazioni che lo ossessionavano, anche attraverso spunti sul piano immaginativo, come appunto la lettura compulsiva di riviste e fumetti spinti e sadici, fumetti e riviste che abbondavano di situazioni morbose e feticistiche, molto orientate verso un auto-soddisfacimento narcisistico. Ecco allora che nel delitto del 1974 il progetto dell’escissione del pube non è ancora nella sua mente, ma un fumetto come “Quel dannato figlio di Sam” mette in scena una evoluzione voyeuristica che addirittura anticipa un film come “Maniac” e si concentra proprio su un feticismo genitale come quello dei peli, della cute (ancora capelli, ma il passo è breve per arrivare al pube…).
(3) Umberto Eco, La voglia di morte, La Repubblica, 14 febbraio 1981.
(4) Su questo mi permetto ancora un’ultima, piccolissima, nota: il cinema slasher degli anni ’80 non solo accompagna le mattanze del folle fiorentino, ma ne sostanzia visivamente le mutilazioni sui corpi. Non è un caso che i titoli più rappresentativi di quegli anni (“Zombi”, “Venerdì 13”, “Maniac”, “Rosemary’s Killer”, “The Burning”) siano curati nel make up da un genio come Tom Savini. Non credo sia da sottovalutare l’impatto visivo che Savini ha dato a quei film e al suo lavoro, reinventando completamente il modo di concepire i trucchi; Savini ha un passato da fotoreporter in Vietnam, esperienza che l’ha portato a sviluppare una resa iper-reale negli effetti speciali; Savini porta l’effettistica nei saloni della Morgue, studia su manuali di anatomia umana e imprime alle sue mutilazioni, al colore del sangue, un realismo devastante, una sorta di deflagrazione della violenza che annulla il cinema precedente, relegandolo nei confini fantastici e irreali di un gotico in costume, rassicurante.