Ormai non passa settimana senza che venga scoperto un nuovo esopianeta, al punto che ci siamo resi conto che l’universo è davvero ricco di nuovi mondi, molti dei quali ancora da scoprire, altri con caratteristiche simili al nostro, altri ancora invece con peculiarità talmente incredibili e impensabili da superare perfino la fantasia degli scrittori di fantascienza.
Ad oggi sono 4.164 gli esopianeti accertati e altri 5.220 quelli in attesa di conferma. Tra questi ultimi ce n’è uno che potrebbe essere molto simile alla Terra e che sembra ruotare attorno a una stella che ricorda da vicino il Sole: una coppia che forma, forse, un sistema planetario davvero molto simile al nostro.
A questa ipotesi è giunto un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research (Germania), dell’Università della California (Santa Cruz) e della NASA. Il team ha sottoposto a nuova analisi i dati raccolti negli scorsi anni dal telescopio spaziale Kepler, che aveva a lungo osservato la stella Kepler-160. La nuova indagine farebbe pensare che attorno alla stella possa esistere un esopianeta che non era mai stato rilevato, che è stato chiamato KOI-456.04. Il pianeta sembra essere una Super-Terra, ossia un corpo celeste roccioso più grande del nostro, la cui distanza dalla propria stella è tale da permettere la presenza di acqua liquida e quindi, in ultima analisi, la vita.
Questa notizia è diversa dalle tante che raccontano della scoperta di nuovi pianeti perché Kepler-160 è una stella molto simile alla nostra, con una temperatura superficiale che è di soli 300 °C inferiore a quella del Sole. Situata a 3.000 anni luce da noi, fino ad oggi si sapeva che la stella ha due pianeti, chiamati rispettivamente Kepler-160b e Kepler-160c, che però orbitano troppo vicino all’astro per poter ospitare la vita così come la conosciamo. La loro presenza è stata scoperta, come spesso accade, grazie al fatto che essi transitano tra la stella e la Terra, causando un calo di luminosità della stella stessa: al passaggio davanti alla stella (“davanti” quindi rispetto al punto di osservazione, è naturale) producono una piccola riduzione di luminosità, molto piccola, ma che può essere misurata dai nostri strumenti. Anche il terzo pianeta è stato rilevato grazie a questo metodo, chiamato “metodo del transito”: l’analisi dei dati ha confermato che il tracciato delle variazioni di luminosità è differente da quello degli altri due pianeti. Il fatto che KOI-456.04 sia stato scoperto solo ora è dovuto alla messa a punto di nuovi algoritmi che sono stati in grado di misurare variazioni di luminosità estremamente deboli dell’astro, prima impossibili da rilevare, e che fanno appunto pensare all’esistenza di 3, se non addirittura 4 pianeti attorno alla stella. Il nuovo esopianeta avrebbe un diametro circa il doppio di quello terrestre e ruoterebbe attorno a Kepler-160 in 378 giorni (un anno!) a una distanza compresa tra 130 e 200 milioni di chilometri (la Terra orbita alla distanza media di 150 milioni di chilometri dal Sole). Sono tutte caratteristiche che leggiamo come quelle tipiche di un mondo potenzialmente abitabile. Al momento, tuttavia, la certezza dell’esistenza del terzo pianeta del sistema è dell’85 per cento e per arrivare al 99% bisognerà attendere il nuovo telescopio spaziale della Nasa, il James Webb, il cui lancio, che era fissato per marzo 2021, è stato rimandato a causa della pandemia di COVID-19. Se il pianeta dovesse realmente esserci, allora è assai probabile che ne esista un quarto, in quanto la sua orbita appare come perturbata da un oggetto che potrebbe avere una massa compresa tra 1 e 100 volte quella della Terra e un periodo di rivoluzione attorno alla stella compreso tra 7 e 50 giorni. L’orbita del presunto quarto esopianeta non passa però tra la Terra e la stella e quindi l’oggetto risulta al momento “invisibile”.
La ricerca dei nuovi mondi e lo studio degli esopianeti è una delle cose più affascinanti di questo periodo, grazie soprattutto alle nuove tecnologie che ci permettono di riuscire a “vedere meglio” l’universo. Dare la caccia a possibili tracce di vita osservando l’atmosfera di un migliaio di pianeti esterni al Sistema Solare, è ad esempio l’obiettivo ambizioso della missione europea Ariel, in programma nel 2028 e guidata dall’italiana Giovanna Tinetti, che dal 2007 lavora nell’University College di Londra e che coordina la missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Il risultato di una ricerca simile potrà essere una “seconda rivoluzione copernicana”, ha detto all’ANSA la stessa Tinetti, a margine di un ciclo di lezioni sulla fisica degli esopianeti della cattedra “Enrico Fermi” organizzato dall’Università Sapienza di Roma qualche tempo fa. “Ci aspettiamo grandi sorprese da Ariel (Atmospheric Remote-Sensing Infrared Exoplanet Large-survey), sia dal punto di vista chimico che fisico, che potrebbero smentire le nostre attuali conoscenze teoriche”, ha osservato Tinetti. “La ricerca sui mondi esterni al Sistema Solare è un campo entusiasmante – ha aggiunto – proprio perché c’è ancora un po’ tutto da scoprire”. Da quando, negli anni ’90, i planetologi hanno iniziato a scoprire nuovi mondi al di fuori del Sistema Solare, sono circa 4.000 i pianeti scovati.
Per la studiosa,”in media, ogni stella della nostra galassia potrebbe ospitarne almeno uno”. Tinetti e colleghi sono, in particolare, interessati alle Super-Terre. “Sono pianeti con massa intermedia tra la Terra e Nettuno, che orbitano spesso vicino a stelle più piccole e fredde, ma più longeve e brillanti del nostro Sole”, ha spiegato la planetologa. “Mondi come le Super-Terre non sono presenti nel Sistema Solare e hanno una grande diversità: alcuni di essi potrebbero essere buoni candidati a ospitare la vita. La sfida astrofisica dei prossimi anni – ha concluso – è capire le ragioni della loro estrema variabilità. È un po’ come una seconda rivoluzione copernicana, in cui il Sistema Solare non è più un paradigma di come si dovrebbe presentare un sistema planetario”.
E a proposito di ricerca degli altri pianeti, bisogna segnalare che la maggior parte delle stelle della Via Lattea ne ha in orbita almeno uno, ma ci sono anche pianeti “erranti” e solitari, pianeti che orbitano attorno a due stelle, pianeti attorno ad altri pianeti… A fronte degli entusiasmi però, il numero di esopianeti potenzialmente adatti alla vita potrebbe essere vicino allo zero. Di norma un pianeta si considera abitabile se la sua superficie ha la temperatura giusta per ospitare acqua liquida, e quindi se si trova alla giusta distanza dalla sua stella: l’area in cui queste condizioni sono permesse è detta zona abitabile. Tuttavia, trovarsi in questa fascia non è una garanzia: occorre che i raggi della stella madre forniscano abbastanza energia per la nascita della vita, senza eccessi che rischierebbero di sterilizzare completamente la superficie. La zona in cui questo è permesso è detta, secondo criteri messi a punto nel 2018, di abiogenesi (un termine che indica la generazione spontanea di organismi viventi in condizioni primordiali e a partire da composti semplici).
Marcos Jusino-Maldonado e Abel Méndez, due ricercatori dell’Università di Porto Rico, hanno applicato i requisiti della zona di abiogenesi alla lista dei esopianeti che si trovano nella zona abitabile della propria stella: solo 8 di questi mondi incontrano entrambe le condizioni. Ma anche in questo elenco ristretto di 8 ci sono problemi. Molti hanno un raggio troppo lungo per essere rocciosi: da studi precedenti sappiamo che i pianeti con raggio superiore a 1,7 raggi terrestri sono più probabilmente gassosi (una condizione sfavorevole alla nascita della vita così come la conosciamo). Degli 8 esopianeti rimasti, soltanto uno sembra avere un raggio più corto, e neanche di molto: Kepler-452b, che orbita attorno a una stella simile al Sole a 1.400 anni luce da noi, ha un raggio pari a 1,63 raggi terrestri. Insomma c’è la possibilità che neanche lì sussistano le condizioni ottimali per la vita. Conviene non accontentarsi di quota 4.000, e continuare a cercare.
Iniziamo ora una panoramica delle scoperte degli ultimi tempi a cominciare proprio da una delle più recenti.
La NASA ha annunciato non molto tempo fa che il satellite TESS, una specie di “cacciatore di pianeti”, ha scoperto un mondo delle dimensioni della Terra sul quale potrebbe esserci acqua e che potrebbe risultare abitabile. Il pianeta, chiamato “TOI 700 d“, è relativamente vicino alla Terra: a soli 100 anni luce di distanza. “Si tratta di un pianeta delle dimensioni della Terra e posto a una distanza dalla sua stella che lo rende potenzialmente abitabile per temperatura e luce“, hanno detto dalla NASA.
TESS ha scoperto in realtà tre pianeti in orbita, chiamati TOI 700 b, c e d. Solo il “d” è nella cosiddetta zona abitabile, non troppo lontana e non troppo vicina alla stella, dove la temperatura potrebbe consentire la presenza di acqua liquida. È circa il 20 per cento più grande della Terra e orbita attorno alla sua stella (più piccola del Sole) in 37 giorni. Il pianeta 700 d riceve l’86 per cento dell’energia che la Terra riceve dal Sole.
Resta da vedere di cosa è fatto TOI 700 d. I ricercatori hanno generato modelli basati sulla dimensione e sul tipo di stella per prevedere la composizione atmosferica e la temperatura superficiale di 700 d. In una simulazione, ha spiegato la NASA, il pianeta è coperto di oceani con “un’atmosfera densa, dominata dall’anidride carbonica, simile a quella che gli scienziati sospettano circondasse Marte”. Il pianeta è fissato in modo ordinato alla stella, il che significa che un lato è sempre rivolto verso la stella, come nel caso della Luna e della Terra.
Esiste davvero il pianeta Vulcano, del signor Spock il vulcaniano, nel cui cielo brillano tre stelle ed è proprio dove la saga di Star Trek lo aveva immaginato: ruota intorno alla stella 40 Eridani A, che è distante 16 anni luce dalla Terra. Ha una massa otto volte superiore a quella della Terra e potrebbe sostenere forme di vita, perché si trova nella zona abitabile del sistema, dove le temperature consentono la presenza dell’acqua liquida. Descritto sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”, è stato scoperto dai ricercatori coordinati dall’astronomo Jian Ge, dell’università della Florida, nell’ambito del programma “Dharma Planet Survey”.
“Questa stella è visibile a occhio nudo. Chiunque può vederla e indicare la casa di Spock”, ha rilevato Bo Ma, dell’università della Florida. Nella saga di Star Trek il pianeta dei Vulcaniani è stato immaginato proprio intorno alla stella 40 Eridani A, nella costellazione meridionale dell’Eridano, che è coetanea del Sole: ha infatti circa 4 miliardi di anni, e “un suo pianeta avrebbe avuto il tempo di evolvere un essere come Spock” scrisse nel 1991 l’inventore della serie, Gene Roddenberry, in una lettera alla rivista “Sky and Telescope”. Nel frattempo, una scoperta del 2016 aveva cominciato a confermare l’intuizione: 40 Eridani A fa parte di un sistema di tre stelle, proprio come il sistema stellare del pianeta dei Vulcaniani. Ora, è stato scoperto che la stella più grande del sistema ha davvero un pianeta. Inizialmente indicato con la sigla HD 26965b, il pianeta non ha potuto che essere chiamato Vulcano.
Nel frattempo, grazie allo “European Southern Observatory”, meglio noto come ESO, conosciamo l’esistenza e le caratteristiche di un altro pianeta piuttosto particolare: Proxima b. Questo esopianeta (pianeta al di fuori del sistema solare) è noto dal 2016 e fino ad oggi ci sono stati diversi studi che hanno indagato sulla possibilità che sia abitabile, ovvero che possa contenere acqua liquida sulla sua superficie ed abbia un’atmosfera. Fino ad ora i risultati degli astronomi non sono stati molto positivi: il pianeta Proxima b sarebbe troppo esposto alle eruzioni della stella Proxima Centauri, che gli impedirebbero di mantenere un’atmosfera e acqua allo stato liquido. Tuttavia, il nuovo studio della NASA ha nuovamente acceso le speranze degli astronomi e degli appassionati di spazio, indicando che il pianeta potrebbe avere ancora abbastanza acqua per sostenere la vita.
Proxima Centauri è una nana rossa, una stella avente una massa 10 volte più bassa di quella del Sole, visibile nella costellazione del Centauro con un telescopio. Le nane rosse sono le stelle più comuni nella Via Lattea, mentre il Sole è un tipico esempio di nana gialla. La distanza di Proxima Centauri dal nostro pianeta è di poco più di 4 anni luce ed altro non è che la stella più vicina che conosciamo. Proxima b è un pianeta avente una massa 1,3 volte quella terrestre, orbitante ad una distanza di 0,05 AU dalla sua stella Proxima Centauri, dove 1 AU è all’incirca la distanza tra il Sole e la Terra. Tale vicinanza implica un periodo orbitale di soli 11,2 giorni terrestri, che altro non che è il lasso di tempo che impiega il pianeta per compiere un giro attorno alla stella. Infatti, l’accelerazione del pianeta è maggiore proprio per via di questa vicinanza, che si traduce in una maggiore intensità della forza gravitazionale che lo attira verso la stella. Nel recente studio “Habitable Climate Scenarios for Proxima Centauri b with a Dynamic Ocean”, lo scienziato Anthony D. Del Genio del “Goddard Institute for Space Studies”, insieme ad altri colleghi, ha analizzato l’abitabilità di Proxima b. Infatti, il pianeta è da tempo al centro di un lungo dibattito sulla sostenibilità o meno della vita al suo interno. La vicinanza di Proxima b alla sua stella non aiuta la possibilità che il pianeta presenti acqua liquida, nonostante si trovi nella zona considerata abitabile. A causa delle eruzioni solari, l’atmosfera dovrebbe essere stata completamente persa insieme all’acqua liquida che teoricamente potrebbe formarsi. Inoltre, le radiazioni come i raggi-X e i raggi ultravioletti, nonché il vento stellare, non farebbero altro che peggiorare la situazione. Gli scienziati sanno che senza atmosfera ed acqua liquida non è possibile che un pianeta ospiti la vita come la conosciamo, ma attualmente non sappiamo se questi elementi siano effettivamente presenti sul pianeta, perché non possiamo osservarli con la tecnologia attuale. Oltretutto negli ultimi anni sono state osservate delle eruzioni solari così intense provenienti da Proxima Centauri che sembra improbabile pensare che un pianeta nelle sue vicinanze possa ancora avere un’atmosfera, casomai ne avesse mai avuta una fin dal principio. Il nuovo studio ha ipotizzato però possibili scenari dove Proxima b è riuscito a mantenere il suo status di pianeta abitabile nonostante le condizione avverse. Il pianeta potrebbe essersi formato ad una distanza maggiore da quella che conosciamo oggi, senza essere esposto alle condizioni avverse che abbiamo descritto. Oppure la quantità di acqua nelle fasi iniziali della sua vita potrebbe essere stata 10 volte maggiore rispetto a quella della Terra, quindi potrebbe essere ancora presente un oceano liquido, nonostante la maggior parte di questo sia evaporato nel tempo per il calore. Esiste inoltre la possibilità che Proxima b avesse uno spesso strato di idrogeno, portato poi via dalle condizioni impervie, lasciando al di sotto un’atmosfera simile al nostro pianeta.
La ricerca è supportata da una serie di simulazioni effettuate tramite computer che riescono a ricostruire la storia del pianeta partendo da determinate condizioni iniziali. Sono state testate condizioni come l’atmosfera terrestre e di Marte, variandone lo spessore e le caratteristiche degli oceani al di sotto di essa, considerando anche diversi parametri orbitali come la rotazione del pianeta. La chiave della nuova ricerca è però l’idea di un oceano dinamico: fino ad ora le ricerche hanno sempre ipotizzato un oceano statico, mentre Del Genio e il suo gruppo hanno incluso le correnti oceaniche nelle loro simulazioni. Grazie ad esse, sembrerebbe che il pianeta abbia molte più possibilità di presentare dell’acqua liquida rispetto a quanto si sia pensato fino ad oggi. Anche nel caso Centauri b fosse costretto a guardare la sua stella con la stessa faccia (come la luna con la Terra) esiste la possibilità che lo scambio di calore tra il lato riscaldato e quello buio garantisca il mantenimento di acqua liquida. Qualora il sale nell’acqua sia presente con alta concentrazione, Proxima b potrebbe addirittura essere completamente coperto d’acqua. Chiaramente nell’ipotesi che un’atmosfera sia mai esistita sul pianeta, altrimenti le pessime condizioni climatiche dettate dalla stella non lascerebbero alcun dubbio sullo stato certamente spoglio di Proxima b. Questo esopianeta, purtroppo, non è rilevabile tramite il transito, metodo che identifica un pianeta qualora passasse tra noi e la stella che lo ospita. Poiché questo non ha un’orbita che passa davanti a Proxima Centauri rispetto al nostro pianeta, non possiamo sapere nulla sull’atmosfera dello stesso. Bisognerà aspettare l’arrivo dei telescopi di prossima generazione come il James Webb Space Telescope, l’Extremely Large Telescope (ELT), il Wide-Field Infrared Survey Telescope (WFIRST) o ancora il Giant Magellan Telescope (GMT) per avere maggiori informazioni su questo esopianeta.
Un altro studio però si contrappone a quello dell’oceano dinamico e sostiene che Proxima b potrebbe invece avere le condizioni per ospitare la vita trattandosi di un pianeta roccioso. Inoltre sembra che la pioggia di raggi ultravioletti (Uv) alla quale è esposto sia inferiore a quella subita dalla Terra primitiva nel periodo in cui la vita cominciava a evolversi, quasi 4 miliardi di anni fa. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society” dal gruppo della Cornell University americana. Questo risultato arriva dopo l’ipotesi che inizialmente aveva escluso la possibilità di vita su Proxima b a causa di una gigantesca eruzione solare avvenuta sulla sua stella e, in seguito rivista, dopo che la Nasa aveva scoperto acqua nell’atmosfera del pianeta. Utilizzando allora modelli al computer, il gruppo guidato da Lisa Kaltenegger e Jack O’Malley-James ha ricostruito il bombardamento di raggi Uv che subiscono Proxima b e altri pianeti esterni al Sistema Solare. “Si tratta di pianeti che orbitano intorno alle cosiddette nane rosse, stelle piccole e relativamente fredde, le più diffuse dell’universo. Queste stelle – spiegano i ricercatori – bombardano continuamente i pianeti vicini con radiazioni ultraviolette, più di quanto non faccia il nostro Sole con la Terra”.
I ricercatori hanno analizzato allora il tasso di sopravvivenza a dosi crescenti di raggi Uv di batteri terrestri, i cosiddetti estremofili, in grado cioè di sopravvivere in condizioni estreme, come in presenza di radiazioni. Hanno poi confrontato i loro dati con le condizioni presenti sulla Terra circa 4 miliardi di anni fa, quando ancora la sua atmosfera era priva di ossigeno e ozono, e quindi più esposta ai raggi Uv. La conclusione è che “questo bombardamento di raggi Uv non dovrebbe essere un fattore limitante per l’abitabilità di pianeti che orbitano intorno a stelle come le nane rosse”.
Il dibattito è dunque ancora aperto.
Frattanto i ricercatori dell’Università di Cambridge hanno scoperto una giovane stella attorno alla quale orbitano quattro pianeti delle dimensioni di Giove e Saturno. È la prima volta che un numero così elevato di pianeti dalla massa tanto imponente viene avvistato in un sistema così giovane, senza contare l’ampiezza record delle orbite di tali pianeti: quello più esterno ha una distanza mille volte maggiore dalla stella attorno a cui orbita rispetto a quello più interno. Queste caratteristiche danno adito a parecchi dubbi circa la formazione di questo sistema: la stella al centro ha “solo” due milioni di anni, ed è circondata da un gigantesco disco protoplanetario di polvere e ghiaccio dove nascono pianeti, lune e asteroidi. Nonostante la sua giovane età inoltre, tra gli oggetti astronomici che le orbitano intorno è presente anche un pianeta gioviano caldo, ovvero un pianeta extrasolare con massa pari o superiore a quella di Giove che orbita a distanza molto ravvicinata rispetto alla propria stella. E proprio la presenza del pianeta gioviano caldo – la cui massa suggerisce che non si sia formato in situ – ha suscitato la curiosità degli studiosi, che si sono serviti dell’Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array (ALMA) per osservare meglio la situazione. L’indagine ha rivelato la presenza di tre “buchi” nel disco protoplanetario, i quali – secondo i loro modelli teorici – segnalano la presenza di altri tre pianeti giganti gassosi.
I quattro pianeti in orbita attorno a CI Tau – questo il nome della stella – differiscono di molto per quanto riguarda le orbite: il più vicino, ovvero il pianeta gioviano caldo, ha un’orbita equivalente a quella di Mercurio, mentre il pianeta più lontano viaggia a una distanza pari a tre volte quella di Nettuno nel Sistema Solare. Anche la massa differisce: i due pianeti più esterni hanno una massa simile a quella di Saturno, mentre i due più interni hanno massa pari rispettivamente a una e dieci volte quella di Giove.
La scoperta, come anticipato, solleva diverse domande. Solo l’1% delle stelle presenta dei pianeti gioviani caldi, e la maggior parte di loro sono centinaia di volte più vecchi rispetto a CI Tau. Come ha osservato la professoressa Cathie Clarke, autrice dello studio: “Al momento è impossibile dire se l’architettura planetaria estrema riscontrata in CI Tau sia comune nei sistemi che contengono pianeti gioviani caldi, perché il metodo utilizzato per trovare gli altri pianeti gassosi in orbita intorno alla stella – ovvero attraverso il loro effetto sul disco protoplanetario – non funzionerebbe in sistemi più antichi che non hanno più un disco protoplanetario”. Allo stesso modo, non è chiaro se la presenza degli altri pianeti gassosi abbia giocato un ruolo nel determinare l’orbita molto piccola del pianeta gioviano caldo, e se tale meccanismo sia comune a tutti i pianeti siffatti. Un altro dubbio riguarda poi la formazione dei due pianeti più esterni, così distanti dalla giovane CI Tau: i modelli di formazione dei pianeti attualmente in uso faticano a spiegare come si siano potuti formare due pianeti di quella massa a una distanza così elevata dalla stella.
L’obiettivo adesso è studiare questo misterioso sistema a diverse lunghezze d’onda, per ricavarne ulteriori dettagli circa le caratteristiche del disco e dei suoi pianeti, in attesa che ALMA – il primo telescopio in grado di rivelare i pianeti in formazione – sveli nuovi sorprendenti informazioni riguardo la formazione dei sistemi planetari.
Proseguiamo il nostro giro fra i pianeti dell’universo, segnalandovi che gli astronomi hanno scoperto anche un pianeta ghiacciato grande 3 volte la Terra che orbita attorno a una stella distante “solo” sei anni luce dal Sistema Solare. La sua stella solitaria, chiamata “stella freccia di Barnard”, è una delle più vicine al nostro Sole anche se non visibile ad occhio nudo e ciò rende questo nuovo pianeta scoperto il secondo più vicino a noi al di fuori del Sistema Solare.
La sua scoperta, pubblicata dalla rivista “Nature”, arriva dopo aver confrontato i dati di 20 anni, tra cui 771 misurazioni individuali, da sette strumenti diversi. Il pianeta, che copie una rivoluzione intorno alla sua stella in 233 giorni, è debolmente illuminato e leggermente più freddo di Saturno. I ricercatori ritengono che si tratti di un deserto ghiacciato senza acqua liquida, un ambiente ostile in cui la temperatura media della superficie è di circa -170 gradi Celsius. La sua stella nana rossa emette solo lo 0,4% della luminosità del Sole, quindi il pianeta riceve soltanto il 2% dell’intensità luminosa che riceve la Terra. È la prima volta che un pianeta così piccolo e distante dalla sua stella è stato rilevato usando la tecnica della velocità radiale. Data la sua vicinanza, le future tecnologie di osservazione potrebbero essere in grado di dirci qualcosa sulla composizione della superficie e sull’atmosfera di questo esopianeta.
Invece gli astronomi polacchi hanno appena scoperto due nuovi pianeti nella nostra galassia. Questa bella notizia però lo è anche perché questi pianeti sono diversi dagli altri. Infatti, a differenza di quasi tutti i pianeti noti, come riporta “New Scientist”, questi due non orbitano attorno a una stella, in quanto vagano senza meta attraverso il freddo spazio vuoto.
I pianeti liberi di fluttuare sono difficili da individuare rispetto a quelli che orbitano attorno alle stelle: molte scoperte planetarie accadono quando un astronomo guarda il cielo e nota qualcosa che passa davanti a quella stella. Ma non è questo il caso. Per individuare questi due nuovi vagabondi, gli astronomi dell’Università di Varsavia hanno usato una tecnica chiamata microlensing gravitazionale. La loro ricerca, pubblicata sul server di preprint “ArXiv”, descrive come hanno usato questa tecnica per trovare punti in cui la luce di stelle lontane era deformata e distorta dall’attrazione gravitazionale di un pianeta che si era allontanato nel percorso di quella luce. Poiché le prove di questi due pianeti non sono così chiare, gli scienziati non sono sicuri di quanto siano grandi. A seconda di quanto siano lontani, il “New Scientist” ha notato che uno dei pianeti potrebbe essere da due a venti volte la massa di Giove mentre l’altro è da 2,3 a 23 volte più massiccio della Terra. Gli scienziati che hanno trovato questi pianeti non vogliono escludere la possibilità che possano essere abitabili. Ma senza la luce e il calore di una stella vicina, sembra improbabile. in ogni caso, i ricercatori hanno suggerito che potrebbero essercene molti altri di questi piccoli vagabondi solitari che vagano tra le stelle nella galassia, che potremo trovare attraverso migliori indagini sulla galassia che potremmo trovare sempre di più nel prossimo futuro.
Torniamo vicino alle stelle, in quanto gli scienziati hanno appena scoperto che un pianeta extrasolare, che fa parte di una tipologia chiamata “Nettuno caldo” e denominato GJ 3470b, sta sorprendentemente perdendo la sua atmosfera a un ritmo incredibile. Un pianeta nettuniano caldo è estremamente raro e per questo motivo si tratta di una scoperta importante. Stando a quanto riportato anche da SlashGear e ANSA, l’esopianeta dispone di dimensioni simili a Nettuno, è molto vicino alla sua stella e si sta pian piano restringendo. La scoperta è stata pubblicata sulla nota rivista “Astronomy and Astrophysics” da un gruppo dell’Università di Ginevra guidato da Vincent Bourrier. Gli scienziati potrebbero quindi aver finalmente scoperto il perché i pianeti extrasolari di questo tipo sono molto rari: a quanto pare essi si “autodistruggono” con il tempo. In realtà, il team ritiene che potrebbero diventare delle Super Terre o dei mini-Nettuno. L’esopianeta è molto caldo in quanto orbita attorno alla nana rossa distante circa 97 anni luce dalla Terra. Per quanto riguarda GJ 3470b, esso si trova a 3,7 milioni di chilometri dalla sua stella, ovvero circa un decimo della distanza tra Mercurio e il Sole. La perdita dell’idrogeno dell’atmosfera è dunque causata da una situazione di eccessivo calore. Pensate che gli astronomi hanno calcolato che l’esopianeta ha già perso oltre un terzo della sua massa. “È la prima volta che osserviamo un pianeta perdere la propria atmosfera così rapidamente da modificare radicalmente la sua storia evolutiva”, ha dichiarato Vincent Bourrier, a capo del gruppo che ha condotto lo studio. Forse quello che è successo anche a Marte?
Ma torniamo alle Super-Terre abitabili: a soli sei anni luce da noi, si trova il pianeta GJ 699 B, orbitante intorno alla Stella di Barnard, di cui abbiamo già parlato. L’oggetto di massa pari a tre volte la Terra si colloca nella categoria che si frappone tra i piccoli pianeti rocciosi, come il nostro, e i giganti gassosi di massa paragonabile a Urano e Nettuno. Alla luce dei primi dati inviati dagli osservatori, sembrava che GJ 699 B avesse caratteristiche inadatte ad ospitare forme di vita, per l’estrema debolezza del calore prodotto dalla sua stella, pari al 2% rispetto a quella emessa dal Sole verso la Terra.
La teoria iniziale potrebbe, però, essere smentita dall’Università di Villanova attraverso uno studio pubblicato in occasione del 223° incontro della “American Astronomy Society” a Seattle. Nonostante i 170 gradi sotto zero, l’oggetto potrebbe avere un nucleo di ferro e nichel; dunque un’attività geotermica. Tali fenomeni produrrebbero in profondità condizioni adatte allo sviluppo di forme di vita, come accade nei laghi antartici terrestri. Insomma al di sopra del guscio di ghiaccio che circonda il pianeta, potrebbero svilupparsi semplici forme di vita, adatte a vivere anche in ambienti estremi. Nuove informazioni giungeranno, in futuro, grazie ai nuovi telescopi di ultima generazione che potranno far luce sull’atmosfera del pianeta, sulla sua superficie e sulla potenziale capacità di ospitare la vita.
Altra scoperta interessante molto interessante è quella che riguarda il rilevamento di vapore acqueo nell’atmosfera di un pianeta dalla massa simile a quella alla Terra e distante 110 anni luce: si tratta della prima volta. Il suo nome è K2-18 b e si trova alla distanza giusta dalla sua stella per avere temperature compatibili con l’esistenza di forme di vita. K2-18 b, per la precisione, è un esopianeta, essendo esterno al Sistema Solare, ha una massa otto volte superiore alla Terra – per questo fa parte del gruppo delle “Super-Terre” – e la sua stella, chiamata K2-18, è una nana rossa più piccola e fredda del Sole, ma molto attiva, tanto che l’ambiente potrebbe essere un ambiente più ostile della Terra perché potenzialmente esposto a più radiazioni.
Pubblicata sulla rivista “Nature Astronomy”, la scoperta è frutto del lavoro di un gruppo di studiosi dell’University College di Londra coordinato da Angelos Tsiaras e di cui fa parte anche la già citata italiana Giovanna Tinetti che ha commentato: “E’ un lavoro durato quindici anni e il risultato è stato ottenuto grazie allo sviluppo di algoritmi che permettono di estrarre piccolissimi segnali grazie all’intelligenza artificiale. E questo con i telescopi di oggi, quando ne avremo altri più potenti – nei prossimi dieci anni – arriveremo ancora più lontano”. L’esopianeta e’ stato scoperto nel 2015 dal telescopio spaziale Kepler, mentre le osservazioni che hanno reso possibile l’individuazione di vapore acqueo sono state realizzate nel 2016 e nel 2017 con il telescopio Hubble.
Gli scienziati considerano questa scoperta solo il primo passo che aiuta però a rispondere alla domanda: la Terra è unica? In effetti, ha rilevato Tinetti, “la nostra scoperta rende K2-18 b uno dei pianeti più interessanti per gli studi futuri”. Ad oggi, infatti, “sono stati rilevati oltre 4.000 pianeti extrasolari, ma non sappiamo molto sulla loro composizione e natura. Osservando un ampio campione di pianeti, speriamo di scoprire come si formano e come evolvono nella nostra galassia”. E’ anche la prima volta che viene osservata l’atmosfera su un pianeta che si trova nella cosiddetta “zona abitabile”, ossia la zona compatibile con temperature che permettono l’esistenza di acqua allo stato liquido. Non si esclude che nell’atmosfera di K2-18 b possano esserci anche azoto e metano. Saranno necessarie ulteriori osservazioni per capire se ci sono nuvole e la percentuale di acqua presente nell’atmosfera.
L’ultima scoperta in ordine di tempo è una nuova Super-Terra: forse è abitabile ed è vicina a noi. Il cacciatore di esopianeti Tess, il telescopio orbitante della Nasa, ha trovato un altro sistema planetario, stavolta davvero vicino a noi: tre esopianeti che ruotano attorno alla stella GJ 357, a soli 31 anni luce di distanza. E la cosa eccitante – fa sapere la Nasa – è che uno di questi, per l’esattezza GJ 357 d, è una Super-Terra potenzialmente abitabile.
I ricercatori hanno individuato il nuovo sistema planetario analizzando le scansioni del cielo effettuate da Tess a febbraio scorso. Tess, che utilizza il metodo del transito per scovare i possibili pianeti extrasolari, aveva registrato in un mese di osservazione un affievolimento periodico (ogni 3,9 giorni) della luce della stella GJ 357, una nana di tipo M che ha dimensioni e massa pari a circa un terzo di quelle del nostro Sole, ed è anche il 40% circa più fredda. Un indizio del fatto che un corpo celeste le orbitasse attorno. A quel punto sono intervenuti i telescopi da Terra, che hanno verificato l’effettiva presenza di campi gravitazionali. Il transito osservato era quello di GJ 357 b, che secondo gli esperti della Nasa dovrebbe essere un pianeta un po’ più grande della Terra (di circa il 22%) ma molto, molto più caldo (254°C) perché orbita a una distanza dalla sua stella 11 volte inferiore a quella che esiste tra Mercurio e il Sole. Una Terra calda, la definisce Enric Pallé dell’Istituto di Astrofisica delle isole Canarie e responsabile della ricerca, degna di nota come il terzo pianeta extrasolare roccioso conosciuto più vicino a noi.
Osservando meglio GJ 357, però, i ricercatori hanno scovato anche GJ 357 d. Una gradita sorpresa, visto che si tratta di un esopianeta che risiede al limite esterno della fascia abitabile del suo sistema e che potrebbe pertanto sostenere acqua in forma liquida. L’esopianeta avrebbe una massa circa 6 volte maggiore di quella della Terra e completa un giro attorno alla sua stella ogni 55,7 giorni, a una distanza pari al 20% di quella che esiste tra le Terra e il Sole. Composizione e dimensioni sono al momento sconosciute, ma se si rivelasse un pianeta roccioso dovrebbe essere da una a due volte più grande del nostro pianeta. Una super-Terra, insomma.
Il viaggio, come potete vedere, è solo all’inizio… occhi al cielo dunque!