I MYSTERI DELL’EROS 05: L’EROS DELLA STANZA DI GIADA E LA PORTA DI CINABRO ALL’OMBRA DELLA GRANDE MURAGLIA CINESE

Forse, in Cina, la visione dualistica del mondo, basata sulla perenne contrapposizione di due forze, di due elementi antagonisti – yin e yang, lunare e solare, ecc. – nacque proprio dall’eterna contrapposizione delle due metà del Cielo, con cui la vita intelligente, la cultura, il sapere, la Conoscenza si è perpetuata sulla Terra: l’Uomo e la Donna.

La contemplativa mentalità cinese fu, evidentemente, portata ad una visione poetica del mondo, una visione in cui alcuni peculiari aspetti dell’universo che ci circonda erano considerati appartenenti alle eteriche forze denominate yin mentre altri erano definiti yang. Così, ogni eclatante manifestazione vitale, ogni “esplosione” energetica, la luce, il fuoco, l’astro solare erano considerati yang mentre l’oscurità, l’acqua, il nostro satellite naturale, la morte stessa erano definite yin.

Sopra, su un antico amuleto cinese, il simbolo del dualismo yin e yang simboleggia anche l’eterna contrapposizione e unione delle due “metà del Cielo”, l’Uomo e la Donna (sotto).

E tutto ciò, come a volte accade, si estese anche al mondo delle arti visive, della poesia  e nel modo di scrivere gli ideogrammi.

Ritenuti dapprima nati insieme alle incisioni su gusci di tartaruga e su ossa di bovini al tempo della dinastia Shang, del XIV secolo a.C., i primi ideogrammi sono stati in realtà retrodatati al XXIII secolo a.C. dopo la scoperta avvenuta nel 1992, nel villaggio Dinggong (Cina orientale), di un frammento fittile riportante undici differenti caratteri esprimenti in estrema sintesi concetti a volte molto complessi.

Antichissimi ideogrammi cinesi forse utilizzati anche come “ossi oracolari”, un po’ come il nostrano “Fegato di Piacenza”…

Riguardo al concetto di eros e di sessualità nell’antica Cina, la Dottoressa Marina Miranda, studiosa degli aspetti medici legati alla sinologia, in un suo articolo pubblicato nel 1995 sulla Rivista Italiana di Medicina Tradizionale Cinese, ebbe modo di illustrare efficacemente come alcuni ideogrammi derivino direttamente dall’armonica fusione di concetti legati alla sessualità.

Vediamo così che l’ideogramma cao – “rapporto sessuale” – si esprime graficamente mediante il radicale “entrare” posto sopra il simbolo che significa “carne”. Identifichiamo nell’ideogramma – “terra” – un simbolo spesso inciso sui gusci di tartaruga, sulle ossa di bue e sugli antichi bronzi e che ricorda l’altare del dio Sole, datore di “vita”, espresso anche in forma fallica.

Ideogramma “tú” – “terra” – simbolo inciso anche sui gusci di tartaruga (a destra), sulle ossa di bue e sugli antichi bronzi e che ricorda l’altare del dio Sole, datore di “vita”, a volte espresso anche in forma fallica.

Apprendiamo che l’ideogramma – “madre” – è raffigurato da una figura molto  stilizzata di donna che fecondata  dall’organo maschile, una linea orizzontale, sviluppa i seni necessari all’allattamento e così via.

Ma molto spesso, consultando testi letterari sull’antica arte d’amare cinese ci imbattiamo anche in termini apparentemente astrusi ma che riflettono invece la poetica visione della vita che ha caratterizzato – soprattutto in passato – quest’antica civiltà.

Vediamone alcuni…

La poesia dell’Ars amandi

Stelo di Giada, Porta di Cinabro, Terrazza Preziosa, Vene di Giada?

Cosa mai si celava, nell’antica Cina, dietro queste poetiche descrizioni che avrebbero suscitato certamente la malcelata invidia dell’immaginifico poeta Gabriele D’Annunzio se fosse vissuto all’ombra della Grande Muraglia?

Un minimo di fantasia ci aiuterebbe sicuramente nell’individuare nello Stelo di Giada l’organo generatore maschile, nella Porta di Cinabro il complementare organo femminile, nella Terrazza Preziosa il clitoride e nelle Vene di Giada le cosiddette “piccole labbra”.

È un modo altamente poetico per descrivere le parti del corpo umano che da sempre suscitano un certo imbarazzo in chi è costretto a menzionarle.

I Cinesi, con la loro concezione altamente filosofica dell’esistenza, superarono felicemente l’ostacolo, chiedendo al lettore solo un minimo sforzo di fantasia, un aggancio mentale tra l’immaginifica descrizione e… l’oggetto del desiderio.

Basti un esempio: il letterato Li Yu (1611 – 1680) nel descrivere una raffinatissima tecnica dell’arte erotica cinese volta a ‘sublimare’ le energie sessuali per raggiungere l’immortalità – che i Cinesi intendevano anche in senso strettamente fisico, quasi una trasformazione alchemica del corpo – scrive che “… la donna sacrifica il proprio succo a favore dell’uomo…” e lo scrive  nel Rou-bu-tan, ossia Il Tappeto da Preghiera di Carne.

“… la donna sacrifica il proprio succo a favore dell’uomo…”. Il commediografo cinese Li Yü (1611 – 1680) è l’autore del testo “Tappeto da preghiera di carne”. Come autore di testi teatrali ebbe la possibilità di conoscere e frequentare moltissime attrici e ballerine con le quali approfondì i “dettagli” più segreti della sessualità femminile.

E non è affatto difficile anche per noi occidentali cosa intendesse per…Tappeto da Preghiera.

I Cinesi superarono sempre sé stessi nel fornire alla coppia raffinati consigli per prepararsi psicologicamente e per armonizzare i singoli desideri dei partners. Similmente a quanto poi si vedrà per l’antica India, i taoisti suggerivano almeno nove particolari posizioni fisiche – che potevano diventare anche trenta per i più “dotati” – descritte al solito in termini talmente suggestivi e poetici che… sembra di trattare tutt’altro argomento.

Dobbiamo così immaginare come si articolasse il congiungimento delle cicale e cosa accadesse nella Stanza di Giada, nell’alcova, quando si faceva svolazzare la fenice. E non poca fantasia ci viene questa volta richiesta nell’immaginare cosa accadesse durante l’atto di lambire il coniglio oppure durante il complicato intreccio dei colli delle gru!

Nel caso non ci riuscissimo, potremmo sempre attenerci a più noti e collaudati metodi occidentali…

La raffinata Alchimia dell’Estasi

Ma ciò che nell’antica Cina era ritenuto alla base di ogni pratica sessuale era il “soffio” – il qi – e l’essenza vitale – il jing.

Sopra, l’ideogramma del Qi, il “soffio”, “…se esso si concentra, è la vita, se esso si disperde è la morte”, secondo il filosofo taoista Zhuang Zi. Sotto, ideogramma del simbolo Jing, letteralmente “riso raffinato”, metaforicamente “essenza vitale” che sarebbe racchiusa nel liquido seminale e nelle femminili  secrezioni della “Porta di Cinabro”.

Per Zhuang Zi, filosofo taoista, ogni manifestazione vitale “…è concentrazione del soffio: se esso si concentra, è la vita, se esso si disperde è la morte”.

L’essenza vitale veniva concepita come racchiusa nel liquido seminale e nelle secrezioni della Porta di Cinabro.

Si pensava che sublimando con certe particolari pratiche ascetiche tale “essenza vitale”, la sua energia, risalisse attraverso la colonna vertebrale verso il cervello, tanto che ancor oggi gli afrodisiaci usati correntemente in Cina, quali le “pinne di pescecane” e altre “prelibatezze” del genere, vengono denominati bu-nao che significa “riparatori del cervello”.

Ma per armonizzare i due partners impegnati nelle fatiche d’amore, i testi taoisti di sessuologia ricordavano che “…Yin e Yang, i principi essenziali femminile e maschile, si influenzano scambievolmente. Quando lo Yang non ottiene la Yin è triste e se la Yin non ottiene lo Yang non vi sarà attività…”.

Quindi i maestri taoisti suggerivano alcuni segreti per “armonizzare” preliminarmente le energie vitali: “…prenda la donna il Palo di Giada (ormai sappiamo cos’è…) di lui nella mano sinistra mentre egli accarezza la Porta Dorata (che abbiamo già incontrata. Era di Cinabro… ma fa lo stesso) di lei con la mano destra; mossa dalla forza dell’elemento femminile, il suo Palo di Giada si eccita. Stimolata dalla stessa forza del maschio, la sua Porta Dorata comincia a traboccare, come un fiume che scorre in una valle. Quando si raggiunge questo punto si ottiene la sintonia degli umori…”.

Tutto sommato, ancora una volta “Nihil sub sole novum”, nulla di nuovo sotto il sole!

Il feticismo dei “Piccoli Gigli d’Oro”

Una delle più strane – per noi occidentali, s’intende! – usanze dell’antica Cina era quella della fasciatura dei piedi.

In realtà il culto quasi feticistico dei cinesi per i piedi femminili risale a periodi storici che precedono la predicazione di Confucio (551 – 479 a.C.).

Ma ancora non si parlava di “fasciarli”…

Secondo Zhang Bangi, vissuto nel XII secolo tale inconsueta pratica era nata infatti durante il regno di Li Houzhu (961 – 975 d.C.) appartenente alla dinastia del Tang meridionale.

Innamoratosi di una leggiadra danzatrice che frequentava il palazzo e che rispondeva al suggestivo nome di Fanciulla Soave, Li Houzhu fece costruire in suo onore un fiore di loto d’oro con un diametro di circa due metri, adornato di perle e chiese alla Fanciulla Soave di danzarvi sopra, facendole però prima fasciare i piedi con nastri di seta bianca in modo che assomigliassero alle estremità di una falce lunare. La cosa tanto piacque che… divenne usanza diffusa dapprima in ambienti di corte e poi anche tra la gente comune.

La pratica diffusasi – leggende a parte – dopo il X secolo tra i ceti più abbienti, consentiva al marito di limitare al massimo la libertà della sfortunata consorte poiché la strettissima fasciatura faceva passare immediatamente alla malcapitata qualsiasi velleità di allontanarsi da casa. Ma la fasciatura dei piedi – dai cinesi poeticamente denominati piccoli gigli d’oro – costringeva la donna a camminare ancheggiando più di quanto in realtà avesse voluto, suscitando chissà quali ardite fantasie sessuali nella sempre attenta altra metà del cielo.

“…la carne andava spesso in putrefazione, parti della pianta si squamavano e a volte cadevano una o più dita…”. Sopra, ecco come venivano deformate quattro dita dei piedi in modo che assumessero la struttura illustrata anche nella foto a sotto.

Inoltre si riteneva che la costrizione del piede portasse ad una sorta di atrofia dei muscoli gemelli – del polpaccio – che unita da un’ipertrofia dei muscoli sartori – delle cosce – e della muscolatura del mons Veneris aumentasse enormemente le capacità amatorie della gentile dama di corte.

Le nobildonne cinesi criticavano e dileggiavano aspramente le donne che avevano i piedi ‘naturali’, ritenuti poco femminili. Anzi le definivano Piede d’anatra e Barca di Loto!

Ovviamente non ci si poteva opporre alla fasciatura dei piedi – in voga fino a non moltissimi anni fa – e fin dall’infanzia si inculcava il concetto che a tale pratica ci si doveva sottoporre stoicamente, senza dar segno di sofferenza poiché ciò avrebbe addolorato… i genitori della fanciulla e avrebbe dato prova di scarsa ammirazione per i canoni della bellezza in uso da secoli.

L’operazione di fasciatura era altamente complessa e mirava a far sì che le dita si curvassero sotto la pianta del piede tanto che dopo un po’ “… la carne andava spesso in putrefazione, parti della pianta si squamavano e a volte cadevano una o più dita. Il dolore persisteva per circa un anno e quindi diminuiva di intensità, finchè, verso la fine del secondo anno, i piedi perdevano ogni sensibilità e risultavano praticamente morti”, scrisse, verso la fine del XIX secolo la missionaria Adele Fielde.

Sopra, un libro reperibile facilmente sulle tecniche molto sommariamente descritte in questo articolo. Sotto, una delle innumerevoli stampe sull’Alchimia dell’Estasi nell’antica Cina.

Ma non furono sempre periodi “caldi” anche nell’antica Cina.

Con l’avvento del Confucianesimo, a cavallo tra il II e il III secolo d.C., ogni pratica destinata ad accrescere l’interesse verso l’erotismo fu bandita. Furono vietati i liberi rapporti tra uomini e donne, vennero imposte restrizioni anche riguardo normali incontri tra i due sessi non tanto in ossequio a principi d’ordine religioso o etico quanto in base ad una discutibile concezione del concetto di quella che oggi definiremmo “privacy”.

In sostanza ognuno era libero di fare quel che il proprio istinto, la propria libido gli suggeriva: l’importante è che tutto ciò non influenzasse “negativamente” i suoi simili, gli altri membri della società in cui l’individuo agiva. Per il Confucianesimo, infatti, la sessualità e più ancora l’erotismo costituivano un latente pericolo sociale poiché incanalavano… “altrove” energie che avrebbero potuto più proficuamente essere devolute al lavoro e ad altre attività utili alla collettività. Il Confucianesimo teorizzava al massimo il pur sempre valido concetto dell’historia magistra vitae e ammoniva a non ricadere nell’errore commesso dalle dinastie che si erano avvicendate fino ad allora e che avevano causato esse stesse la loro caduta per l’eccesso di “lussuria” e che per indegnità si erano visti “revocare” la divina investitura a regnare.

Un anello per lo “Stelo di Giada”

Ma se un pur focoso amante avesse trovato qualche “difficoltà” – definiamola così… – nel mostrare all’amata la virile energia che animava il suo corpo, l’inesauribile fantasia cinese aveva trovato sicuro rimedio.

L’accessorio che oggi è possibile trovare in qualche negozio “specializzato”, il cosiddetto Cock ring, era già noto nell’antica Cina e citato in molti racconti erotici redatti al tempo della dinastia Ming. Per le classi più abbienti realizzato di solito con  l’avorio, o altri materiali pregiati opportunamente lavorati per offrire il massimo “conforto” alla Porta di Cinabro della dama di turno, oppure mediante un semplice nastro di stoffa stretto attorno alla base dello Stelo di Giada – per le genti più povere – l’anello aveva la funzione di mantenere il più a lungo possibile la condizione necessaria ad un completo rapporto sessuale.

Una specie di Viagra meccanico ante litteram, dunque!

Forse solo un amuleto cinese in giada, forse una sorta di “Cock ring” dell’antica Cina…

E per la donna? Una sorta di par condicio di là da venire assicurava anche al gentil sesso soluzioni che garantivano il completo raggiungimento dell’obiettivo finale in quella complessa alchimia dell’estasi che è il rapporto sessuale.

Descritte dapprima dal nobile viaggiatore veneziano Niccolò dei Conti (XV secolo) e successivamente anche dall’esploratore inglese Ralph Fitch come campanelli birmani perché molto in voga in questo stato, alcune sferette denominate dai giapponesi rin-no-tama, offrivano alle donne la possibilità di incrementare all’infinito le stimolazioni sulla  Terrazza di Giada.

In una stampa degli inizi dell’Ottocento sono raffigurati vari accessori usati per accrescere il piacere femminile: un “Dildo” e le famose “Palline cinesi” che in realtà nascono nell’antico Giappone e hanno il nome di “rin-no-tama”.

Non poteva mancare anche un completo kit che comprende dei “Cock ring” e altri accessori che oggi non sfigurerebbero in un qualsiasi “Sex shop”!

I campanelli birmani – cinesi o giapponesi che fossero! – venivano usati durante il rapporto ponendoli all’interno della Porta di Cinabro prima che lo Stelo di giada completasse l’unione, ma venivano utilizzate anche… in assenza dello stelo stesso sotto forma di due sferette d’argento, una contenente una goccia di mercurio e l’altra munita di una piccola escrescenza, in modo da assicurare interne, intense e ripetute stimolazioni ad ogni movimento della solitaria dama.

La nostra osservazione è di una banalità sconcertante, ma ciò che è raffigurato nelle antiche stampe cinesi mostra una ripetitività ben lontana dall’indiano “Kamasutra”…

Sfere metalliche. Collegate con un sottile filo di seta erano utilizzate dalle gentil donzelle orientali per accrescere il loro piacere sessuale.

Anche i dignitari di corte non tardarono ad utilizzarle introducendole sotto la pelle dello stelo e lo stesso imperatore le cambiava spesso, facendo dono ai suoi cortigiani di quelle… usate!

Ma se proprio si era insoddisfatti di quanto Madre Natura aveva elargito all’aspirante “Casanova” allergico ad ogni (quasi) cruento intervento per “accrescere” la propria prestanza fisica, si poteva sempre ricorrere – come avvenne anche in un medievale Occidente… – alle arti magiche.

“…Ridurre in polvere la Bischiniaka glabra (chissà mai dove potevano procurarsela!), aggiungere polvere di zostera (un’alga marina), setacciate il tutto e unitevi estratto di fegato di cane bianco ucciso sotto la luna. Applicare l’unguento così ottenuto sullo “Stelo di Giada” e aspergetelo poi con acqua di pozzo prelevata al sorgere del sole…”.

La “Zostera marina”, fanerogama della famiglia Zosteraceae distribuita nelle aree settentrionali dell’Oceano Atlantico e dell’Oceano Pacifico, fino al Circolo Polare Artico. Ma anche in area mediterranea in acque caratterizzate da caratterizzate da salinità e basse temperature. Ora però… manca tutto il resto della magica ricetta!

Così infatti prescrivevano antichi testi cinesi confidando forse più sull’effetto placebo che sulla reale efficacia degli improbabili componenti del disgustoso unguento! Ma tra gli ausili suggeriti dalla medicina tradizionale cinese il posto d’onore – almeno da noi in Occidente – è rivestito dal Gin-seng, in particolare da quando esperimenti condotti in ambito medico ne hanno effettivamente constatata l’efficacia, soprattutto per quanto riguarda il Gin-seng rosso.

Però, nel caso fosse difficile reperire questa pregiata e tanto decantata radice vorrei suggerire ai lettori – non si sa mai… – la semplice ricetta per una “tisana” afrodisiaca  che qualsiasi erborista riuscirà a comporre ma che andrebbe assunta cum grano salis.

Debbono essere mescolate assieme uguali quantità di corteccia di cardamono verde e di cinnamomo già polverizzate in un mortaio. Si deve ora aggiungere una pari quantità di radice di zenzero fresco, insieme a qualche grano (non troppi!) di pepe nero, a qualche chiodo di garofano, ad un pizzico di zafferano e ad uno di noce moscata. Porre il tutto in una teiera, mescolare bene e far bollire a fuoco lento per circa dieci minuti. Successivamente filtrare, e bere come se fosse una qualsiasi tisana, dolcificando, se possibile, con miele.

Non assumiamo responsabilità di sorta sull’uso di tale intruglio, ma l’effetto – così affermano gli antichi testi cinesi – sembrerebbe assicurato…

Roberto Volterri

Porte Magiche? Porte Alchemiche? Porte Mistiche? Porte interdimensionali?

Il nostro Bel Paese, qua e là, nasconde testimonianze provenienti da un lontano passato, testimonianze che riconducono ad un epoca in cui l’Uomo ha cercato di squarciare, anche per un solo attimo, il “velo di Maya”, il “velo” che secondo una non del tutto ben compresa interpretazione del pensiero buddista – rappresenterebbe l’illusorietà della realtà che ci circonda. Un viaggio che ci porterà in molti luoghi italiani dove, davanti agli occhi di ignari passanti, si celano e nascondono delle porte che possiedono antiche e profondi significati iniziatici, esoterici e magici. Con Enigma Edizioni, eccovi il viaggio di Volterri e Ferrante attraverso le porte magiche d’Italia vi condurrà all’interno di un mondo inesplorato e ancora sconosciuto con molte sorprese.